Il principio di inerenza va sempre rispettato

in caso di contestazioni del Fisco sull’inerenza delle spese dedottte spetta al contribuente provare l’inerenza dei costi sostenuti

Con la sentenza n. 11160 del 21 maggio 2014 (ud. 7 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che spetta al contribuente provare l’inerenza di un costo sostenuto, ai fini della deducibilità dal reddito.

Il principio

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza, la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, nonchè la loro congruità, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria, incomba sul contribuente, nella disciplina di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile ratione temporis). In difetto di tale prova è, per vero, legittima la negazione della deducibilità dal reddito di impresa di un costo non funzionale, oppure sproporzionato, ai ricavi o all’oggetto dell’impresa stessa (cfr., ex plurimis, Cass. 4554/10; 7701/13)”.

NOTA

Gli uffici fiscali si preoccupano, in sede di controllo, di intercettare tutti quei costi che, pur regolarmente indicati in contabilità, potrebbero nascondere operazioni sospette; ciò si verifica più frequentemente nelle aziende di medie dimensioni che nelle aziende di grandi dimensioni, dove le differenze di ruolo fra management e proprietà sono più marcate.

In un nostro precedente intervento sul tema avevamo avuto modo di affermare che “in via di principio, le spese e gli altri componenti negativi sostenuti per l’utilizzazione di veicoli sono integralmente deducibili nella determinazione del reddito a condizione che si riferiscano esclusivamente ad attività o beni da cui derivano ricavi o proventi1.

Autorevole dottrina ha ancora rilevato che “poiché l’inerenza deve intercorrere tra i componenti negativi e le attività o i beni da cui derivano componenti positivi tassati, e non tra i componenti negativi e i componenti positivi tassati, ne consegue che sono deducibili anche i componenti negativi che si riferiscono ad attività o beni da cui, in proiezione futura, deriveranno componenti positivi che concorreranno a formare il reddito”2 e “l‘inerenza dei costi va intesa, pertanto, quale rapporto di causa ed effetto dei componenti negativi con l’attività produttiva.Il concetto di inerenza, pertanto, ha subito nel tempo un notevole ampliamento, in quanto esso si collega – come abbiamo visto – non più solo ai ricavi e/o proventi ma all’intera attività, con la conseguenza che si devono considerare deducibili tutte quelle spese dalle quali derivano ricavi e/o compensi in successione di tempo. In ogni caso lo stabilire con certezza – in concreto – l’inerenza di una spesa non è mai cosa facile : vanno infatti guardate il tipo di attività svolta, i rapporti con l’attività dell’impresa, le eventuali utilità personali che si possono ricevere dal sostenimento di quel costo, ecc…”3.

La sentenza in commento si inserisce, quindi, in quel filone giurisprudenziale, da ritenere ormai costante e maggioritario, che addossa sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza e la certezza di una spesa all’esercizio dell’impresa4 e, quindi, la deducibilità delle somme versate dal reddito d’impresa.

Sempre la Corte di Cassazione, a più riprese, ha avuto modo di far sentire la sua voce.

  • Con la sentenza n. 12330 dell’8 ottobre 2001 (ud. del 24 maggio 2001), ha imputato al contribuente l‘onere della prova circa l’esistenza dei fatti che dannoluogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell’inerenza edell’imputazione ad attività produttive di ricavi.

  • Con la sentenza n. 16730 del 27 luglio 2007 (ud. del 24 maggio 2007), ha affermato che ai fini della legittimità della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta sugli acquisti, il contribuente deve porre in essere operazioni inerenti all’attività svolta in concreto, qualificabili come strumentali per il conseguimento delle finalità tipiche dell’attività esercitata. Tale imprescindibile presupposto deve altresì essere provato dal medesimo contribuente diversamente da quanto statuito dalla corte di merito. “Appare sufficiente rilevare che, cosi, dimostrando di evocare l’esigenza, ai fini considerati, di una strumentalità valutata in concreto e non in termini puramente teorici, la giurisprudenza di questa corte, da cui non vi è motivo di discostarsi, ha consolidatamente affermato che, in tema di Iva, l’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività ed inoltre – non introducendo deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova – lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato (cfr. Cass. n. 3518/2006, n. 7418/2001, n. 4517/2000)”.

  • Con la sentenza n. 6855 del 20 marzo 2009 (ud. del 26 febbraio 2009), ha rilevato che “ricade sul contribuente l’onere di dimostrarel’inerenza all’attività di impresa delle singole spese affrontate; ed ilgiudice di merito nel valutare se questa prova sia stata fornita deveprendere in esame la funzione dei beni e dei servizi acquisiti, prescindendodall’entità della spesa e dalla circostanza che i versamenti siano statierogati ad un soggetto diverso dal contribuente, il quale abbia a sua voltaprovveduto alla acquisizione dei beni o alla organizzazione dei servizi” (cfr. Cass. n. 10257/2008).

  • Con l’ordinanza n. 19489 del 13 settembre 2010 (ud. del 24 giugno 2010) ha confermato che comunque l’onere della prova circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente.

Come già sottolineato, quindi, l’onus probandi della sussistenza dell’inerenza di determinati componenti negativi è a carico del contribuente.

In proposito, infatti, è chiaramente possibile affermare che l’onere della prova della deducibilità di elementi concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività prova dei presupposti dei costi ed oneri produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.P.R. n. 597 del 1973 e del d.P.R. n. 598 del 1973, che del d.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente.

Inoltre, poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.

27 giugno 2014

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO_MONFREDA, Il principio di inerenza al test della Cassazione, in “il fisco” n. 42 del 15/2010, pag. 1-6782. Cfr. anche Corte di Cassazione, Sez. I,11 agosto 1995, n. 8818 che ha precisato, in termini generali, che la deducibilità dei costi è sempre condizionata ad una stretta inerenza degli stessi all’attività svolta; nello stesso senso Cass., Sez.Trib., Sent. n. 7071 del 29 maggio 2000.

2 P.Ceppellini-R.Lugano, Testo unico delle imposte sui redditi, sesta edizione, pag.571.

3ANTICO-MONFREDA, Il principio di inerenza al test della Cassazione, in “il fisco” n. 42 del 15/2010, pag. 1-6782.

4 Si segnala, la sentenza n. 3109 del 19 dicembre 2005, depositata il 13 febbraio 2006, con cui la Corte di Cassazione ha statuito che costituisce principio consolidato l’affermazione secondo cui grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza di una spesa all’esercizio dell’impresa e, quindi, la deducibilità delle somme versate dal reddito d’impresa (nella specie, la pronuncia è relativa alla locazione di un appartamento asseritamene adibito a foresteria). Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1421 del 20 dicembre 2007, dep. il 23 gennaio 2008, ha affermato che costituisce principio consolidato, che giustifica il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso del contribuente, l’affermazione secondo cui l’art. 19, c. 1, D.P.R. n. 633/72, consente al compratore di portare in detrazione l’Iva addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore solo quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiedendo un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale; inoltre, la norma lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato, senza che la sussistenza di detti requisiti possa presumersi in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente (nel caso di specie, una società esercente l’attività di commercio all’ingrosso di frutta aveva rilevato un immobile in leasing da altra società in difficoltà finanziarie ed il giudice di merito aveva escluso la detraibilità dell’Iva conseguente all’operazione). In senso conforme si attesta la migliore dottrina che ha avuto modo di affrontare la problematica, CROVATO-LUPI, Il Reddito d’impresa, Il Sole24ore, Milano, 2002, pag. 93, sostenendo che in ipotesi come quella descritta dalla sentenza in esame, spetti al contribuente provare il rapporto funzionale: “di fronte a spese di dubbio collegamento con l’attività aziendale, è il contribuente a dover addurre le circostanze che spiegano il costo nella logica imprenditoriale”.