proponiamo alcune brevi considerazioni sull’emendabilità della dichiarazione post verifica fiscale formalizzata da un PVC, alla luce dell’ultimo intervento della Corte di Cassazione
Con la sentenza n.6381 del 19 marzo 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto non più emendabile la dichiarazione dopo la notifica del Pvc.
La Corte, dopo aver precisato che “i giudici d’appello non hanno espressamente affrontato il problema della sanzione applicabile nella specie (né eventuali problemi connessi) essendosi sostanzialmente limitati al rilievo -a loro parere precludente ogni altra questione- della sussistenza di dichiarazioni integrative destinate a correggere gli errori ed omissioni rilevati, sanandoli, con la conseguenza che, non sussistendo più violazione, non sussisterebbe neanche la necessità di affrontare il problema della sanzione”, ha ritenuto errata la decisione di secondo grado, “anche alla luce della recente giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) secondo la quale costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore, (cfr. cass. n. 5398 del 2012 riferita proprio ad ipotesi di dichiarazione integrativa presentata dopo la notifica del processo verbale di constatazione, in relazione a contestazioni concernenti operazioni di importazione da fornitori con sede in Paesi a fiscalità privilegiata). In proposito, è infatti sufficiente osservare che, dopo la contestazione della violazione, non può che essere preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, posto che, ove fosse possibile, come ritenuto dai giudici d’appello, porre rimedio alla mancata separata indicazione delle deduzioni in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della violazione, ogni integrazione – correzione finirebbe inammissibilmente per configurarsi (v. in proposito anche C. cost. n. 392 del 2002) in un mezzo per eludere le sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione”.
Brevi considerazioni
Il Legislatore, attraverso l’attuale formulazione dell’art. 2, cc 8 e 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998, ha distinto l’ipotesi della rettifica della dichiarazione pro fisco e della rettifica pro contribuente; in particolare:
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il comma 8 (rettifica pro fisco e, quindi, di un errore e/o omissione che ha comportato un minor debito d’imposta) prevede che, fatta salva l’applicazione delle sanzioni, le dichiarazioni possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n.600/73;
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il comma 8 bis (rettifica pro contribuente) prevede che le dichiarazioni possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997.
In ordine agli effetti sul piano sanzionatorio di una dichiarazione integrativa e/o rettificativa pro fisco, presentata nei termini di cui al comma 8 dell’art.2 del D.P.R. n. 322/1998, ma successivamente all’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli organi ispettivi, occorre rilevare preliminarmente che – in punto di diritto – l’avvio di un’attività di controllo non costituisce, di per sé, causa ostativa all’esercizio della facoltà di emendabilità della dichiarazione nelle forme e nei termini prescritti.
In realtà, occorre verificare gli effetti che produce giuridicamente la condotta del soggetto che, dopo aver presentato una dichiarazione fiscale infedele, in conseguenza e successivamente all’apertura di una verifica da parte dell’Amministrazione Finanziaria o della Guardia di Finanza, procede a presentare una dichiarazione di rettifica che quantifica la sua capacità contributiva in misura maggiore a quella originariamente indicata e, quindi, con una maggiore base imponibile.
Se è vero che la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa non è preclusa dall’inizio di accessi, ispezioni e verifiche, a differenza di quanto espressamente previsto per l’istituto deflattivo del contenzioso del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/19971, è pur vero che restano comunque applicabili le sanzioni. In altre parole, la condotta del contribuente continua ad avere rilevanza per quanto concerne il piano sanzionatorio, non avendo perduto il proprio disvalore giuridico e nonostante la resipiscenza del soggetto, visto che la stessa è da ritenersi tardivamente indotta dal controllo in atto.
Pertanto, l’originaria presentazione di dichiarazione infedele, benché successivamente integrata/rettificata, continua a costituire una condotta rilevante ai fini sanzionatori amministrativo – tributari di cui al D.Lgs. n. 471/1997 e ai fini penal –tributari di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.Lgs. n. 74/2000. Ragionando a contraris potrebbe accertarsi l’effetto di svilire l’efficacia dissuasiva dell’attività di controllo e della vis punitiva, penale ed amministrativa, dello strumento sanzionatorio pubblico.
Poniamo il caso di un contribuente che, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, presenta una dichiarazione fraudolenta e, successivamente all’inizio di un controllo fiscale, provveda a presentare una dichiarazione rettificativa nella quale non vengono più indicati gli elementi rivenienti dalla documentazione falsa. Se, in conseguenza della sopra descritta interpretazione dell’art. 2, c. 8 del D.P.R. n. 322/1998 dovesse essere esclusa la rilevanza penale della condotta connessa all’originaria dichiarazione fiscale, si finirebbe per abdicare alle finalità preventive e repressive sottese al sistema penal–tributario di cui al D.Lgs. n. 74/2000; d’altra parte, lo stesso art. 2, c. 8, del suddetto D.P.R. n. 322, contiene l’espressa clausola in ragione della quale l’emendabilità delle dichiarazioni pro fisco è consentita “salva l’applicazione delle sanzioni”. E in ogni caso, il reato si dovrebbe ritenere già comunque consumato al momento della presentazione della prima dichiarazione.
Peraltro, la Corte di Cassazione (sentenza 4 aprile 2012, n. 5398, richiamata nella sentenza che si annota) aveva già osservato che “dopo la contestazione della violazione, è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione. Invero, ove fosse possibile, come preteso dalla società ricorrente, porre rimedio alla mancata separata indicazione delle deduzioni in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della violazione, la correzione stessa si risolverebbe (come rilevato da C.cost 392/02) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione”.
Quindi, al di là di ogni considerazione giuridica sul momento di emendabilità della dichiarazione, giocata sulla considerazione che la possibilità di rettifica non incontra limiti nella natura della dichiarazione perché questa non si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, sempre modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti (anche in sede contenziosa), è indubbio che, una volta constatata la violazione, la ritrattazione/emendabilità non produce effetti né sul piano sanzionatorio amministrativo nè sul piano sanzionatorio penale.
12 maggio 2014
Gianfranco Antico
1Istituto assimilabile, per certi versi, è il ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97, che permette al contribuente di chiudere spontaneamente le violazioni ed omissioni commesse. L’accesso all’istituto è consentito dietro il pagamento di una sanzione ridotta rispetto a quella ordinaria, incentivando così lo stesso contribuente a definire, anticipatamente, la propria posizione fiscale, con il versamento di sanzioni ridotte, la cui entità varia a seconda della tempestività del ravvedimento e del tipo di violazioni. L’istituto permette, quindi, all’autore di una o più violazioni tributarie (nonché ai soggetti solidalmente obbligati) di regolarizzare spontaneamente la propria posizione, usufruendo di rilevanti riduzioni delle sanzioni amministrative. A tale fine, la regolarizzazione deve avvenire entro determinati limiti temporali e, comunque, sempre prima che vi sia stata constatazione della violazione stessa, abbiano avuto inizio accessi, ispezioni o verifiche, ovvero siano iniziate altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore della violazione o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza. Possono quindi accedere al ravvedimento di cui all’art. 13, del D.Lgs. n. 472/1997 tutti i contribuenti, titolari o meno di partita Iva, a condizione, come abbiamo già visto, che non siano ancora iniziate attività di controllo o altre attività amministrative. L’avvenuta constatazione della violazione non comporta particolari problemi interpretativi, atteso che l’art. 13 del D.L.gs n. 472/97 si riferisce alle constatazioni ” esterne” o, comunque, già portate a conoscenza degli interessati, attraverso la notifica dell’atto: il ravvedimento, quindi, deve intendersi consentito in ordine a quelle violazioni già constatate dall’ufficio ma non ancora formalmente portate a conoscenza. Relativamente alla seconda categoria (inizio di accessi, ispezioni e verifiche disciplinati dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/73, che, nella sostanza, rinvia all’art. 52 del D.P.R. n. 633/72 ) viene in soccorso la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998, documento che ha consentito di effettuare il ravvedimento per un periodo d’imposta diverso da quello per il quale è iniziata una verifica, e per un tributo diverso da quello oggetto di controllo. La stessa circolare n. 180/E/1998 si è soffermata diffusamente sul significato di “altre attività amministrative di accertamento“, intendendo per tali la notifica di “inviti“, “richieste”, “questionari“… di cui agli artt. 51, c. 2, del D.P.R. n. 633/72 e 32 del D.P.R. n. 600/73. Posto che la norma fa espresso riferimento al carattere “amministrativo” dell’attività tendente all’accertamento dell’infrazione, non costituisce causa ostativa alla regolarizzazione l’avvio di indagini di natura penale (ispezioni, perquisizioni, sequestri, avvisi di garanzia…) dalle quali, eventualmente, possono emergere notizie di violazioni tributarie.