La cancellazione della società dal Registro delle imprese: debiti e crediti passano ai soci

la cancellazione della società dal Registro delle imprese non comporta il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta ma determina un fenomeno di tipo successorio in favore dei soci

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 6070 del marzo 2013 ha stabilito che la cancellazione della società dal Registro delle imprese non comporta il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta ma si determina un fenomeno di tipo successorio in favore dei soci. Può accadere, però che, nonostante la cancellazione, siano pendenti rapporti attivi e passivi non definiti durante la fase di liquidazione.

Due sono i principi sanciti:

– i soci succedono alla società estinta nella misura prevista nel precedente rapporto societario;

– la cancellazione dal registro delle imprese, che coincide con l’estinzione, impedisce che la società possa agire o essere convenuta in giudizio.

 

La cancellazione della società dal Registro delle imprese: gli orientamenti della Cassazione

Riguardo alla natura giuridica della cancellazione delle società dal registro delle imprese, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha manifestato, nel tempo, diversi orientamenti.

 

Quando era ancora in vigore l’articolo 2456, cioè prima dell’inciso “ferma restando l’estinzione della società” introdotto dal legislatore della riforma del diritto societario, la Suprema Corte aveva prevalentemente optato per la natura dichiarativa della cancellazione. Secondo tale orientamento, l’estinzione della società si verificava solo quando fossero esauriti tutti i rapporti giuridici a essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, compresi i contenziosi in corso con i terzi.

Nell’ipotesi di sopravvenienze attive o passive, ovvero in caso di giudizi pendenti, doveva, dunque, riconoscersi alla società una limitata soggettività e capacità giuridica (cfr Cassazione, sentenze 10065/1996, 4953/2000, 15691/2003, 10555/2001, 9917/2005, 19732/2005, 12114/2006, 20377/2006, 646/2007, 29464/2008 e 25819/2008).

In altri termini, la società cancellata non perdeva la propria capacità processuale né, i suoi organi, la rappresentanza.

 Con la riforma organica del diritto societario l’art. 2456 del codice civile è stato sostituito dall’art. 2495 che dispone che dopo la cancellazione dal Registro delle imprese, i creditori sociali possono far valere i propri crediti:

  • solo nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione;

  • nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

 

La Corte di Cassazione si era già pronunciata sull’argomento con le sentenze del 22 febbraio 2010, n. 4060,4061,4062 in cui veniva affermato che la cancellazione della società determina l’estinzione della stessa indipendentemente dal fatto che fossero presenti debiti non soddisfatti

Con pronunce in massima parte successive alla riforma del diritto societario, la Cassazione ha mutato orientamento, affermando la natura costitutiva della cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione irreversibile della società, anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo non definiti (cfr Cassazione, sentenze 18618/2006, 25192/2008, 29242/2008 e 25563/2009).

Restava, tuttavia, aperto il problema relativamente alle società di persone.

Di recente, ben quattro sentenze a sezioni unite della Suprema Corte hanno attribuito natura costitutiva alla cancellazione delle società dal registro delle imprese, esprimendo definitivamente il principio della irreversibile estinzione di quest’ultima, anche in presenza di rapporti non definiti.

Alla stessa conclusione la Cassazione è giunta con riferimento alle società di persone, riconoscendo al novellato articolo 2495 cc “un effetto espansivo”, nonostante, in questo caso, la natura dichiarativa della cancellazione.

Debiti sopravissuti dopo l’estinzione della società

La sentenza della Corte di Cassazione n. 6070 del 12 marzo 2013 affronta in primo luogo i profili sostanziali inerenti ai rapporti passivi, affermando che, secondo l’art. 2495 c.c. le obbligazioni residuanti in capo alla società estinta per effetto della cancellazione dal registro delle imprese si trasferiscono ai soci, che ne rispondono solo nei limiti di quanto riscosso in base al bilancio finale di liquidazione.

Nel caso di soci illimitatamente responsabili, la loro responsabilità rimane illimitata anche a seguito dell’estinzione della società.

L’art. 2495 c.c. stabilisce che i creditori sociali rimasti insoddisfatti al termine del procedimento di liquidazione potranno fare valere i loro crediti nel caso in cui i soci abbiano riscosso somme di denaro in base al bilancio finale di liquidazione o nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi nella fase di scioglimento e liquidazione della società.

Come si deve comportare il Fisco per dare seguito al diritto di richiedere le somme dovute dai soggetti estinti? La cancellazione della società dal registro delle imprese comporta l’estinzione irreversibile della società anche nel caso in cui siano ancora presenti debiti insoddisfatti. Il provvedimento impositivo nei confronti della società estinta è privo di effetti. Allo stesso modo il ricorso proposto dal liquidatore per conto della società cancellata è inammissibile, in quanto notificato in nome di un soggetto non esistente poiché il liquidatore non può essere tale non avendo più potere di rappresentanza.

Pertanto secondo l’art. 2495 del c.c. l’unica possibile emanazione di atti impositivi per debiti sorti in capo a società estinte è:

  • Nei confronti del liquidatore se il mancato soddisfacimento del debito dipende da sua colpa;

  • Nei confronti dei soci nei limiti di ciò che è stato assegnato sulla base del bilancio finale di liquidazione.

Ai fini IRES la responsabilità tributaria è ascrivibile a tre soggetti:

  1. I liquidatori sono responsabili se non versano le imposte soddisfando crediti di ordine inferiore o se distribuiscono beni ai soci senza aver soddisfatto gli obblighi tributari;

  2. Gli amministratori sono responsabili se hanno posto in essere attività di liquidazione nei due periodi di imposta antecedenti la liquidazione;

  3. I soci sono responsabili limitatamente a quanto hanno ricevuto in denaro o beni nei due periodi di imposta precedenti la liquidazione e durante la stessa.

Rimborso di imposta ai soci di una società estinta: parere dell’Agenzia delle Entrate

La Cassazione ha precisato che l’estinzione della società cancellata dal registro delle imprese determina un fenomeno di tipo successorio e, di conseguenza, i soci subentrano nei rapporti giuridici attivi e passivi della società. Dal canto suo, l’Amministrazione Finanziaria ha preso atto che la Suprema Corte, attribuendo natura costitutiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese, ha affermato il principio della irreversibile estinzione della società dal registro delle imprese anche in presenza di rapporti non definiti. Così per la presentazione dell’istanza di rimborso assume particolare rilievo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate in ordine ai problemi:

  • della gestione delle sopravvenienze attive che emergono a seguito dell’estinzione della società;

  • dell’esecuzione dei rimborsi di imposta.

Riguardo alle sopravvenienze attive, né il Legislatore ha disciplinato tale problematica né la Corte di Cassazione ha affrontato tale problema. La dottrina ha cercato di dare una soluzione.

In particolare, da taluni si è ipotizzata la necessità della nomina di un curatore speciale, deputato al completamento delle attività non ultimate dal liquidatore prima della cancellazione. Altri hanno invocato il potere del giudice del registro di “cancellare la cancellazione”, dato che questa sarebbe stata effettuata in difetto delle condizioni richieste dalla legge.

Altri ancora hanno configurato un meccanismo successorio dal quale scaturirebbe una situazione di comunione tra gli ex soci.

A tale ultima tesi si allinea l’Agenzia delle Entrate, affermando che le sopravvenienze attive devono essere attribuite “proporzionalmente ai soci, tra i quali si instaura un rapporto di comunione ordinaria ai sensi dell’art. 1100 del c.c., simile, in linea generale a quello degli eredi.

Per quanto riguarda il soggetto al quale va eseguito il rimborso, l’Agenzia suggerisce ai soci titolari del diritto di delegare uno di loro o un terzo ( per esempio l’ex liquidatore) alla riscossione dello stesso; suggerimento volto ad evitare l’erogazione del rimborso a ciascun socio in proporzione alle quote sociali.

La stessa Amministrazione fiscale, con la circolare 255/2000, aveva chiarito, con riferimento ai soci di società di persone cessate, che il conferimento di una delega a un solo socio per la riscossione del rimborso non costituisce un obbligo, bensì una mera facoltà.

In genere si delega all’incasso l’ex liquidatore previa comunicazione all’Ufficio delle Entrate. I soci delle società di persone estinte indicano il loro credito nell’istanza di rimborso che devono trasmettere, mentre i soci delle società di capitali possono delegare uno di essi o l’ex liquidatore nella comunicazione telematica nella quale devono essere indicati gli estremi del conto corrente sul quale vanno versate le somme di cui si chiede il rimborso.

Effetti processuali della cancellazione della società dal Registro delle imprese

La cancellazione dal Registro delle imprese potrebbe verificarsi anche nel corso di un giudizio. La Corte di Cassazione precisa che una società non più esistente perché cancellata, non può intraprendere una causa né essere convenuta in giudizio. Nei processi in corso anche se non interrotti da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale si trasferisce ai soci e quindi ne diventano parti del processo, ex art. 110 c.p.c. (“successione nel processo”).

Pertanto quando l’estinzione della società cancellata dal Registro delle imprese interviene in pendenza di un giudizio si determina un evento interruttivo del processo, la cui prosecuzione è possibile solo da parte o nei confronti dei soci. Nel caso, invece, il giudizio si sia concluso senza che tale interruzione sia stata fatta valere, l’eventuale impugnazione della pronuncia deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti degli stessi.

Una eccezione è prevista dall’art. 10 L.F.. Detta norma prevede che una società entro l’anno dalla sua cancellazione da registro delle imprese, possa essere dichiarata fallita. Questo comporta che tanto il procedimento di dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi di impugnazione, si svolgano, nonostante la cancellazione, nei confronti della società.

7 marzo 2014

Maria Benedetto