La Cassazione conferma: il principio di competenza è inderogabile

In sede di determinazione del reddito d’impresa bisogna rispettare sempre il principio di competenza economica, eventuali errori porteranno a recupero da parte del Fisco.

Con la sentenza n.3484 del 14 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha confermato l’inderogabilità del principio di competenza.

 

La Cassazione sul principio di competenza

sentenza corte di cassazioneIn forza di quanto disposto dall’art. 75 del T.U. n. 917/86, ratione temporis vigente (anteriore alla riforma del 2004), i ricavi, costi e altri oneri concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare siano determinabili in modo oggettivo (dovendo altrimenti essere calcolati nel periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni).

Tale regola mira a

“contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare.
Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti alt atto della determinatone del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiaratone”
(Cass. n. 19671/2013).

Per converso, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza (Cass. nn. 8250/2008, 3368/2013).

La questione, quindi, concerne i limiti temporali entro i quali l’avvenuto conseguimento del carattere determinato dei componenti negativi possa ancora riferirsi, oltre che civilisticamente, anche fiscalmente all’esercizio in cui i corrispondenti componenti positivi sono stati conseguiti.

Nel caso in questione (quella in esame non riguarda una contestazione di omessa imputazione all’esercizio della produzione – id est 1999 – delle componenti negative, di cui sussistessero elementi idonei a censirne anche solo la determinabilità), il punto centrale riguarda la correttezza o meno della imputazione, da parte del contribuente, dei costi sostenuti con certezza dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma certamente incidenti sul netto ricavo determinato delle operazioni dell’anno già definito.

“Nella vicenda, non appare tema di controversia l’inerenza delle spese sostenute rispetto alla formazione di ricavi maturati nel corso del 1999, afferendo gli interventi della società contribuente a prodotti difettosi alienati a terzi e per i quali essa avrebbe sostenuto (anche) dopo il 31.12.1999 specifici costi di ripristino tecnico o commerciale.

Né è dubitata l’assunzione di tali costi tra le componenti negative del conto dello stesso esercizio 1999, anzi avendone la società sancito con l’approvazione del bilancio la più corretta imputazione, ai sensi della previsione prudenziale di cui all’art.2423 bis cod.civ. che, altresì nel testo allora vigente, al suo comma 4 indicava la necessità di “tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo”.

Ritiene, pertanto, la Corte

“che la correlazione tra i due principi, rispetto alla fattispecie per come accertata, permetta l’affermazione della conseguente regola per cui, ferma rimanendo l’obbligatorietà da parte del contribuente di attenersi al vincolo di cui all’art. 75, co.4, TUIR per cui “le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e altri proventi, che pur non risultando imputati al conto dei profitti e delle perdite concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi” nessuna facoltatività al medesimo contribuente — in ragione dell’inderogabilità del principio di competenza, Cass. 1648/2013 – derivi allorché ed appena risultano elementi obiettivi certi e determinati alla stregua di componenti reddituali negative per le quali egli debba adottare una condotta di considerazione normativa obbligatoria.

I costi sostenuti dalla società M., per le citate operazioni di ripristino su prodotti la cui alienazione già costituiva il titolo di una componente di reddito per il 1999, così come dovevano costituire elementi di rettifica del bilancio di quell’anno, perché divenuti noti — in quanto certi e precisi nell’ammontare — prima della delibera approvativa del risultato di esercizio, altrettanto concorrevano a formare il reddito d’impresa dello stesso anno, dunque legittimamente incidendo in flessione sullo stesso”.

 

Il criterio di competenza temporale

Il criterio di competenza temporale è coerente con la disciplina civilistica e in particolare con l’art. 2423 – bis, del codice civile, introdotto dall’art. 3 del D.Lgs. 9.4.1991 n. 127, il quale al comma 1, numero 3, stabilisce che, ai fini della redazione del bilancio di esercizio, si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio stesso, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento.

Sul punto, l’art.14 del D.P.R. n.600/73, dispone che le società e gli enti il cui bilancio è soggetto per legge o per statuto all’approvazione dell’assemblea, possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti conseguenziali all’approvazione stessa fino al termine per la presentazione della dichiarazione.

Proprio l’inderogabilità del principio ha portato, nel corso di questi anni, a diversi interventi di prassi, per mitigare gli eventuali effetti distorsivi.

 

L’Agenzia delle Entrate sul principio di competenza

Con la circolare n. 23/E del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti ed attesi chiarimenti in ordine alla rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito, riconoscendo la deduzione (nel periodo di imposta di effettiva competenza) di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta.

“Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica.

Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”.

L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva.

Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale. Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.

Successivamente, con la circolare n. 29/E del 27 giugno 2011 l’Agenzia delle Entrate, correttamente, ritiene di confermare che rientri tra gli atti “ad altro titolo”, che danno diritto alla presentazione dell’istanza di rimborso, gli atti di accertamento fiscale compresi gli strumenti deflattivi del contenzioso.

Recita testualmente la C.M. n.29/2011:

“il diritto al rimborso di cui trattasi consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”.

Con la circolare n. 35/E del 20 settembre 2012 emanata dall’Agenzia delle Entrate in ordine ai quesiti posti nel corso del Modulo di aggiornamento professionale (MAP) del 31 maggio 2012, si occupa, al punto 1.4. della rettifica dell’imputazione temporale dei componenti positivi di reddito, facendo così seguito alle indicazioni fornite in ordine ai componenti negativi con la circolare n.23 del 4 maggio 2010.

Infatti, in merito all’errata competenza, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23 del 4 maggio 2010 si riferisce ai componenti negativi di reddito, senza fornire chiarimenti sull’errata competenza dei componenti “positivi” di reddito, che presenta invece la stessa tipologia di rilievo di quelli negativi.

Nella risposta al quesito la circolare rileva, anzitutto, che il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo cui imputare i componenti negativi di reddito, stanti i principi contenuti nell’articolo 109 del TUIR e gli innegabili riflessi che ciò comporterebbe sulla determinazione del reddito imponibile.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui nella determinazione della base imponibile delle imposte sui redditi l’ufficio accertatore abbia imputato, per competenza, un componente negativo di reddito ad un periodo d’imposta diverso da quello nel quale era stato dedotto dal contribuente, e ciò abbia comportato un fenomeno di doppia imposizione, allo stesso contribuente deve essere concessa la possibilità di recuperare la deduzione (cfr. circolare 23/E del 4 maggio 2010 e circolare 31/E del 2 agosto 2012).

Precisato ciò, il documento di prassi estende i principi contenuti nella citata circolare 23/E del 2010 “anche alla ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi componenti hanno già concorso alla determinazione del reddito. Ciò in quanto anche in tale ipotesi si realizza un fenomeno di doppia imposizione che deve essere evitato”.

Da ultimo, è intervenuta con la circolare n. 31/E del 24 settembre 2013, per affermare che i principi prima sintetizzati, finalizzati ad evitare che in capo al contribuente si verifichino fenomeni di doppia imposizione, trovino applicazione non solo nell’ipotesi di rettifica da parte degli organi di controllo, ma anche nel caso in cui il contribuente abbia autonomamente rettificato precedenti errori contabili applicando correttamente i principi contabili.

19 marzo 2014

Francesco Buetto