Il patto di prova nel rapporto di lavoro: limiti, regole e orientamenti giurisprudenziali

col patto di prova si intende quel periodo di tempo che le parti possono prevedere contrattualmente, allo scopo di permettere ad entrambe di valutare l’opportunità di proseguire o meno nel rapporto di lavoro che s’intende iniziare

Nell’ambito dei contratti di lavoro assume particolare rilevanza l‘apposizione del patto di prova, tanto da renderne obbligatoria la forma scritta.

Vediamo meglio di che cosa si tratta.

Per patto di prova si intende quel periodo di valutazione che le Parti possono prevedere contrattualmente allo scopo di permettere ad entrambe le Parti di valutare l’opportunità di proseguire nel rapporto di lavoro.

Si tratta quindi di una pattuizione volontaria che assume tra l’altro anche la caratteristica di clausola condizionale, ovvero il proseguimento del contratto è subordinato al buon esito del periodo di prova stessa.

Qualora quindi alla fine di questo periodo la valutazione sia reciprocamente positiva il contratto proseguirà secondo le pattuizioni (anche temporali) già previste nel contratto originario.

Durante il periodo di prova il contratto è validamente in atto, efficace e reciprocamente operante e sono pienamente validi tutti i diritti e gli obblighi delle Parti.

Il lavoratore per esempio matura tutti i diritti alle prestazioni accessorie dipendenti dal contratto di lavoro quali ad esempio le ferie e l’indennità di fine rapporto.

Il periodo di prova si applica a tutti i tipi di rapporto di lavoro, anche quelli che prevedono per esempio precedenti esperienze condivise tra le Parti (purché ora riferibile a mansioni diverse) o operatori invalidi assunti con il sistema del collocamento obbligatorio.

La Corte di Cassazione ha precisato che nel caso in cui si attui un periodo di prova ad un lavoratore già precedentemente inserito con medesime mansioni e la prova abbia esito negativo, il lavoratore può chiedere la nullità del patto di prova con la conseguenza che ne derivano se riesce a dimostrare di avere già svolto in passato con lo stesso datore di lavoro le stesse mansioni; giusta Sentenza della Corte di Cassazione n. 27330 del 2008).

La caratteristica più importante del patto di prova è che durante questo periodo di “valutazione reciproca” entrambe le Parti possono recedere anticipatamente, senza preavviso, senza motivazione e senza diritto all’indennità, ad eccezione del caso in cui il patto preveda un termine minimo, anche se l’interesse ritenuto prevalente è quello del datore di lavoro il quale nell’ambito del periodo di prova può testare l’idoneità fisica e le attitudini del lavoratore a rendere la prestazione oggetto del contratto stesso.

Il datore di lavoro valuta quindi la capacità professionale, l’idoneità e la propensione allo svolgimento delle mansioni ad egli attribuite, per contro il lavoratore valuta la convenienza alla svolgimento dell’attività proposta.

Il contratto originario deve prevedere un termine al periodo di prova così come definito dal Codice Civile o sulla base delle indicazioni dei Contratti Collettivi Nazionali.

Vediamo nel dettaglio le indicazioni contenute nel Codice Civile:

 

Libro Quinto – Del Lavoro – art. 2096:

“ … L’assunzione del prestato di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.

L’imprenditore e il prestatore sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Durante il periodo di prova ciascuna delle Parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o dell’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. (*)

Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro …”.

 

Note:

(*) il presente comma è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non riconosce il diritto all’indennità di anzianità al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo; giusta Sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 16.12.1980;

La forma scritta indicata per il contratto di lavoro che prevede il patto di prova, all’articolo 2096 del Codice Civile, deve intendersi “a pena di nullità” con la conseguenza che in mancanza della stessa il patto di prova deve considerarsi nullo e l’assunzione deve ritenersi definitiva a decorrere dal giorno di inizio lavoro.

Tutti i diritti maturati durante il periodo di prova confluiranno nel contratto definitivo di rapporto di lavoro.

In tal senso si sono espresse numerose sentenza della Corte di Cassazione di cui, a solo titolo esemplificativo, di seguito nei indichiamo alcune:

– Sentenza n. 1756 del 09.03.1983;

– Sentenza n. 6982 del 20.08.1987;

– Sentenza n. 9101 del 24.08.1991;

– Sentenza n. 11427 del 19.11.1993;

– Sentenza n. 5811 del 26.05.1995.

Inoltre. la sottoscrizione del patto di prova deve essere contestuale alla sottoscrizione del contratto o della lettera di assunzione.

Infatti mancanza di una precisa disposizione di Legge, la giurisprudenza è orientata a ritenere che il patto di prova debba essere firmato contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima della esecuzione dello stesso; giusta Sentenza n. 8038 del 03.06.2002.

E’ ritenuta valida la proposta di assunzione che contenga gli elementi essenziali del contratto, compreso il patto di prova, e che sia stata sottoscritta in calce per ricevuta e accettazione, anche prima dell’inizio del rapporto.

Il patto di prova può quindi configurarsi come uno degli elementi “accidentali” del contratto di lavoro che presenta:

– l’apposizione del termine (minimo e massima);

– l’indicazione della condizione (il suo buon esito è condizione indispensabile per il proseguimento del contratto).

 

Per quanto attiene alla durata genericamente si fa riferimento ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato; pertanto qualora il contratto di lavoro sottoscritto afferisca ad un “tempo determinato” la durata del periodo di prova dovrà essere riproporzionata in relazione alla durata contrattuale, qualora i contratti collettivi non dispongano esplicitamente la durata del periodo di prova.

 

Ovviamente il periodo di prova non potrà superare la durata (nel contratto a tempo determinato) del contratto stesso.

 

La Legge prevede una durata massima di 6 mesi per i dirigenti e gli impiegati di prima categoria e di 3 mesi per le altre categorie impiegatizie, viaggiatori e piazzisti.

I contratti collettivi possono prevedere una durata inferiore.

Qualora la durata, se riconducibile ai contatti collettivi, sia espressa in giorni di calendario le eventuali assenze non comportano la proroga del periodo stesso.

 

Il calcolo del periodo di prova:

Al fine di definire la modalità operativa di calcolo dei giorni del periodo di prova è dovuto intervenire la giurisprudenza.

Ecco quindi che la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro con propria Sentenza del 20.03.2009 n. 6915, ha deciso che il periodo di prova deve essere computato sulla scorta dei giorni effettivamente lavorati e non sui giorni di calendario, specie se le assenza del lavoratore in prova sono dovute per malattia.

Se il termine del periodo di prova è fissato in mesi, secondo un orientamento giurisprudenziale, in assenza di una specifica previsione contrattuale, si deve osservare il calendario comune, senza considerare i giorni effettivamente lavorati.

 

L’indicazione delle mansioni specifiche:

La clausola del patto di prova deve contenere le indicazioni specifiche delle mansioni affidate al lavoratore così da facilitare ad entrambe le Parti coinvolte la valutazione.

La mancanza di una indicazione così specifica delle mansioni oggetto del contratto costituiranno motivo di nullità del patto di prova.

La Corte di Cassazione con propria Sentenza n. 427 del 12.01.2005 ha ben precisato che “… il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova, presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate.

A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore, solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli professionali, il richiamato contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata…”.

 

Esito negativo della prova e recesso:

Nel caso di esito negativo o di recesso volontario, la disciplina del patto di prova prevede, come del resto per il contratto tradizionale, che al lavoratore spettino:

  • l’indennità di fine rapporto;

  • ferie retribuite o indennità sostitutiva.

 

Il licenziamento illegittimo:

Abbiamo visto nelle prime indicazioni che il contratto che prevede il patto di prova consente ad entrambe le Parti il recesso anticipato; ciò è vero ma possono configurarsi situazioni in cui il recesso da parte del Datore di Lavoro (ovvero licenziamento) durante questo particolare periodo valutativo sia illegittimo.

Il licenziamento è illegittimo quando:

  • la prova non sia stata effettivamente consentita;

  • la prova preveda un periodo minimo (al fine di valutare l’idoneità del lavoratore ad una particolare mansione che preveda conoscenze o capacità di apprendimento particolari) e tale periodo minimo non sia completamente compiuto;

  • la prova sia stata superata in modo positivo dal lavoratore, il quale ha pertanto dato atto di idoneità, di capacità e quindi di attitudine a svolgere le mansioni per le quali era stato assunto;

  • il datore di lavoro non abbia specificatamente indicato e conferito specifiche mansioni al proprio lavoratore, rendendo così impossibile la prova e soprattutto la valutazione delle attitudini del subordinato;

  • il recesso avvenga per motivi discriminatori;

  • il licenziamento sia riconducibili ad un motivo illecito o estraneo al rapporto di lavoro: in tal caso spetta al lavoratore dimostrare l’esistenza di una di queste situazioni per ottenere l’annullamento del recesso (Sentenza della Costituzionale n. 189 del 22.12.2980).

Questa situazione consolida di fatto i doveri del datore di lavoro mentre ricordiamo che per quanto attiene al lavoratore, oltre alla possibilità di recedere durante il patto di prova, tale diritto permane anche alla conclusione seppure positiva del periodo stesso consentendogli quindi di recedere liberamente dal contratto.

Secondo la Cassazione con Sentenza n. 2357 del 17.02.2003 si precisa che “… ai fini della corretta esecuzione del patto di prova, non è solo necessaria una durata dell’esperimento, che risulti adeguata, ma occorre, tra l’altro, anche l’adibizione effettiva del lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto in prova.

Se ciò non avviene, non è configurabile un esito negativo della prova e l’eventuale licenziamento non è riconducibile alla recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro in prova non potendo il datore di lavoro avvalersi del patto di prova cui non abbia dato corretta esecuzione.

Nè può essere trascurata, in tale prospettiva la considerazione che il fatto di prova deve contenere – nella forma scritta, imposta ad substantiam – un’indicazione specifica delle mansioni, in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi, affinché non possa essere facilmente eluso l’intento della legge di richiamare l’attenzione degli stipulanti sull’importanza dell’atto, di garantire la serietà di quanto essi decidano di fare sulla base dell’atto stesso, e di rendere possibili, sempre e soprattutto, il controllo del contenuto della dichiarazione e dell’osservanza puntuale, nei fatti, di quanto da essa risultante…”.

Secondo la giurisprudenza risulta invece lecito il recesso da parte del datore di lavoro nel caso in cui abbia effettuato una valutazione negativa del comportamento generale del lavoratore e non solo in relazione alla mansione specifica oggetto del contratto di prova; giusta Sentenza della Cassazione n. 1762 del 17.02.2000).

 

Impossibilità a svolgere la prova e proroga del periodo:

La Legge prevede che l’impedimento allo svolgimento della prova per motivi non ponderabili e non prevedibili dalle Parti quali:

  • malattia;

  • gravidanza e puerperio;

  • infortunio;

  • permessi;

  • scioperi;

  • sospensione dell’attività del datore di lavoro comporti di fatto la sospensione del periodo di prova e la proroga del suddetto periodo per la durata dei sopra citati eventi.

Durante il periodo di prova non è invece ammissibile l’assenza per ferie.

 

Il patto di prova nell’ambito dei contratti con la Pubblica amministrazione:

Il patto di prova è previsto anche nell’ambito della contrattualistica con la Pubblica Amministrazione.

La Corte di Cassazione con propria sentenza n. 21586 del 13.08.2008 ha stabilito che “… il periodo di prova nelle Amministrazioni Pubbliche è obbligatorio e le assunzioni sono assoggettate all’esito positivo dello stesso…”.

Ciò premesso la giurisprudenza ha identificato valutazioni differenti del periodo di prova nel caso in cui anziché operare nell’ambito del contratto tra azienda e privati operi nell’ambito di Pubblica amministrazione e privati.

Il Tribunale di Milano con Sentenza del Giudice del Lavoro n. 413 del 26.01.2012 si è espresso nel senso che “… il valore del patto di prova non può ritenersi strettamente limitato alla sola valutazione circa l’idoneità allo svolgimento delle mansioni da parte del lavoratore, in quanto a tale aspetto (connaturato al patto) si affiancano ulteriori motivazioni strettamente connesse alla natura del rapporto che rendono quindi obbligatorio e non certamente facoltativo il medesimo patto…”.

 

Il patto di prova e le assunzioni obbligatorie:

Il patto di prova è applicabile anche alle assunzioni obbligatorie (invalidi), in questo caso la valutazione del periodo di prova dovrà essere compatibile con lo stato di invalidità del lavoratore e dovrà essere limitata alla residua capacità lavorativa dello stesso.

Non potrà in nessun caso essere invece utilizzato come strumento per la valutazione della natura e del grado di invalidità né come termine di paragone con le attitudini e le capacità di un lavoratore “medio”.

Nel caso di mancato superamento del periodo di prova, malgrado la normativa generale indichi la non necessità o obbligatorietà di giustificare il motivo del recesso, nel caso di patto di prova e assunzioni obbligatorie, il datore di lavoro è tenuto a giustificare i motivi della ritenuta inidoneità del soggetto alle mansioni indicate in caso di richiesta di motivazione da parte del lavoratore, rimanendo a carico di quest’ultimo l’eventuale obbligo di prova per quello che potrà ritenere un licenziamento illegittimo o discriminatorio.

In ambito giurisprudenziale questi sono gli orientamenti:

Sentenza di Cassazione n. 3689 del 1998: “… è ammissibile limitatamente alla verifica della residua ed effettiva capacità lavorativa all’espletamento di mansioni compatibili con lo stato fisico e l’handicap del lavoratore invalido…”.

Sentenza di Cassazione n. 15315 del 2001: “… l’invalido che attribuisce intento discriminatorio al recesso del datore di lavoro al termine del periodo di prova, in quanto basato sull’incompatibilità della prestazione richiesta con l’invalidità, deve fornire la prova relativa, poiché non è sufficiente la mera esistenza di vizi di natura formale del rapporto…”.

 

Recesso e Aspi:

In caso di recesso dal contratto da parte del datore di lavoro, per mancato superamento del periodo di prova, il contributo è dovuto se l’interruzione genera in capo al lavoratore il teorico diritto all’Aspi; giusto chiarimento dell’Inps con proprio messaggio n. 10358 del 27.06.2013.

6 febbraio 2014

Marta Bregolato