L'emendabilità dell'errore materiale (codice tributo errato) anche in sede contenziosa

è possibile emendare, anche a contenzioso iniziato, l’errore meramente materiale consistente nell’indicazione di un codice tributo in F24 non corretto

Con la sentenza n. 22692 del 4 ottobre 2013 (ud. 14 marzo 2013) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell’emendabilità della dichiarazione.

 

Il fatto

La NCSR srl proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Benevento avverso l’avviso di accertamento col quale la locale Agenzia delle Entrate aveva proceduto al recupero del credito d’imposta, ritenuto indebitamente utilizzato dalla detta società per incremento dell’occupazione L. 23 dicembre 1998, n. 448, ex art. 4.

Sosteneva la società che in realtà aveva proceduto ad assunzione L. n. 449 del 1997, ex art. 4, e non L. n. 448 del 1998, ex art. 4, erroneamente indicando nel modello F24 il codice tributo 6705 (relativo all’assunzione L. n. 448 del 1998, ex art. 4) al posto del codice corretto (6700) previsto per l’assunzione L. n. 449 del 1997, ex art. 4; esibiva atto col quale il Centro Imposte dirette ed indirette di Pescara aveva comunicato di avere accolto la richiesta di credito d’imposta L. n. 449 del 1997, ex art. 4.

 

La sentenza

Per la Corte, “l’utilizzazione nel modello F24 di un codice (6705) al posto di un altro (6700) è stata dovuta ad un mero errore materiale del contribuente, riconosciuto come tale, in sede contenziosa, sia dall’Agenzia sia dallo stesso contribuente”.

Il contribuente, “anche in sede contenziosa, ben può emendare errori materiali e solo formali, in tal modo evitando la realizzazione di un prelievo fiscale indebito e più gravoso di quello previsto dalla legge, in contrasto con i principi costituzionali della capacità contributiva e della correttezza dell’azione amministrativa, che avrebbero dovuto indurre l’Ufficio a prendere atto dell’errore e annullare l’atto impugnato (v., in senso conforme, sia pur in tema di ritrattabilità della dichiarazione redditi, Cass. 1926/2008; Cass. 2226/2011; Cass. 5852/2012)”.

 

Brevi riflessioni giurisprudenziali

Di recente, con sentenza n. 5852 del 13 aprile 2012 (ud 21 febbraio 2012) la Corte di Cassazione aveva affermato che La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che, di regola, le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, né costituiscono titolo dell’obbligazione tributaria, ma costituiscono mere dichiarazioni di scienza, sicchè (salvo casi particolari: ad es., le dichiarazioni integrative presentate ai fini del condono), possono, in linea di principio, essere liberamente emendate e ritrattate dal contribuente, se, per effetto di errore di fatto o di diritto commesso nella relativa redazione, possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (Cass. SU n. 15063 del 2002)”. Da ciò ne deriva, come logico corollario, “che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (Cass. n 22021 del 2006, n 2626 del 201 1). Tale principio va applicato nella specie, non potendo ritenersi ostativo l’invocato D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, (introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, con effetto dal 1 gennaio 2002, in base all’art. 19 dello stesso decreto), disposizione che introduce, bensì, precise modalità per l’integrazione delle dichiarazioni (mutuandole dalle disposizioni relative alla presentazione delle (dichiarazioni e prevedendo l’utilizzo di modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta di riferimento) ed il limite temporale del ‘termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo’, ma ciò prescrive per emendare ‘errori od omissioni che abbiano comportato l’indicazione di un maggior reddito od un maggior debito d’imposta od un minor credito’, e, cioè, per il caso in cui, tramite la rettifica si voglia mutare la base imponibile, o l’ammontare dell’imposta, ipotesi diversa da quella in esame in cui viene in rilievo, com’è incontroverso, un errore meramente formale”.

Ancora prima, con sentenza n. 2226 del 31 gennaio 2011 (ud. del 3 novembre 2010) la Corte di Cassazione aveva ritenuto emendabile la dichiarazione anche in fase contenziosa, facendo propri i principi espressi a Sezioni Unite, che hanno ripetutamente affermato che “la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile ‘ratione temporis’, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare. L’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; l’art. 9, commi settimo e ottavo, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente, applicabili ratione temporis, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dai contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva – art. 53 Cost., comma 1 – e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa – art. 97 Cost., comma 1” (così SS.UU. n. 15063/2002 e vedi anche successivamente SS.UU. n. 17394/2002). Di conseguenza, la giurisprudenza ha tratto come logico corollario che “la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitatale non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (v. Cass. n. 22021/2006, peraltro in precedenza v. anche, in parte, cass. n. 10055/2000)”.

Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4878 dell’8.08.1988, aveva affermato che la dichiarazione di imposta non è una confessione stragiudiziale e, quindi, ben può essere rettificata dal contribuente, specie nel caso in cui l’inesattezza è frutto di errore riconoscibile.

Ancora la Suprema Corte ha statuito nella sentenza n. 13484 dell’8.06.2007 che “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa, dovendosi riconoscere al contribuente – in un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria – la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973”.

In questo contesto giurisprudenziale, va registrata la sentenza n. 7294 dell’ 11 maggio 2012 (ud 17 novembre 2011) della Cassazione, dove la Suprema Corte, innanzitutto, rileva che “il principio di drittocristallizzato nella sentenza resa a SS.UU. 25.10.2002 n. 15063,ribadito da SS.UU. 6.12.2002 n. 17394 e da SS.UU. 9.1.2003 nn. 119 – 123 ed al quale si sono uniformate le successive sentenze rese a sezioni semplici (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 19.5.2003 n. 7810, id. 23.5.2003 n. 8153, id. 6.4.2004 n. 6787, id. 6.7.2004 n. 12405 – con riferimento alla emendabilità della dichiarazione mediante ‘ritrattazione implicita’ costituita da successiva istanza di rimborso -, id. 5′ sez. 9.7.2004 n. 12791, id. 3.3.2005 n. 4609, id. 8.7.2008 n. 18673, id. 19.12.2008 n. 29738) trova fondamento nell’argomento secondo cui la indicazione dei dati relativi alle singole voci contenute nella dichiarazione dei redditi sottoscritta dal contribuente non produce gli effetti negoziali della ricognizione di debito titolata (e dunque non integra manifestazione di volontà negoziale) ma si esaurisce in una mera esternazione di scienza e di giudizio, sempre modificabile in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e valutazione dei dati riferiti (vedi sentenze citate: da ultimo ancora Corte Cass. 5′ sez. 4.2.2011 n. 2725)”.Tuttavia, osserva la Suprema Corte, “l’affermazione di una generale ed automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, … non può ritenersi estesa alla dichiarazione dei redditi ‘tout court’, ma deve correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali(concernenti la esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo a tali ipotesi estranea la concreta fattispecie in esame in cui – come riconosciuto peraltro dalla stessa società ricorrente – il contribuente, con la stessa dichiarazione, viene ad esercitare una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria (art. 102 TUIR nel testo vigente ‘ratione temporis’), potendo, alternativamente, scegliere liberamente o di portare in diminuzione dal reddito dichiarato e perdite (maturate nel precedente quinquennio), oppure di riportare nelle dichiarazioni relative ai successivi anni di imposta le perdite (verificatesi non anteriormente al quadriennio) non utilizzate per la compensazione. Tale opzione integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell”an’ e nel ‘quando’ riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento alla imposta, e dunque eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c. norma che trova applicazione, ai sensi dell’art. 1324 c.c., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato (cfr. Corte Cass. 3′ sez. 1.10.1993 n. 9777. In termini, con riferimento alla opzione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36 bis, per avvalersi del regime di dispensa dagli obblighi di fatturane e registrazione relativi ad operazioni esenti, esercitata mediante la dichiarazione annuale IVA: cfr. Corte Cass. 1′ sez. 27.3.1997 n. 2732; id. 1′ sez. 19.9.1997 n. 9310; id. 1′ sez. 5.11.1998 n. 11102)”.

E con l’ordinanza n.6318 del 13 marzo 2012 la Corte di Cassazione, alla luce dei principi affermati da precedenti pronunce (Cass. n. 18076 del 02/07/2008 e n. 4236 del 02/03/2004), ha affermato che “in tema di IVA, la dichiarazione del contribuente non costituisce la fonte dell’obbligo tributario, né produce effetti assimilabili a quelli di una confessione, ma rappresenta unicamente un momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione dell’imposta, con la conseguenza che essa è emendabile e ritrattabile, non potendosi precludere al contribuente – anche in conformità al principio di capacità contributiva – di dimostrare l’inesistenza, anche parziale, dei presupposti d’imposta erroneamente dichiarati”.

E da ultimo, con l’Ordinanza n. 19661 del 27 agosto 2013 (ud. 11 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto emendabile la dichiarazione fiscale anche successivamente al termine di cui all’art. 2, c. 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998. Per la Corte (che richiama la sentenza n. 5852 del 13/04/2012) “la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, è esercitabile anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione, (fissato in quello prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, come introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2), poichè questa scadenza opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non anche quando venga in rilievo un errore meramente formale”.

 

12 novembre 2013

Francesco Buetto