Errata applicazione del principio di competenza economica

l’errata applicazione del principio di competenza economica a componenti reddituali può comportare contestazioni del Fisco con relativa correzione del reddito d’impresa prodotto: ecco alcuni utili e pratici spunti di riflessione

1. Premessa

La questione inerente le riprese a tassazione eseguite sfruttando errate interpretazioni del principio di competenza economica, rappresenta un tema certamente già dibattuto, ma che è stato di recente oggetto della sentenza n. 1648/2013 della Cassazione, fornendo così l’opportunità di fare il punto sulla questione, arricchendola di nuovi profili, che si ritiene possano essere meritevoli di attenzione.

La recente pronuncia della Cassazione appena richiamata, offre, infatti, spazio ad interessanti sviluppi del tema, stante la peculiarità dei profili in essa esaminati.

Il presente contributo intende offrire un quadro di riferimento della tematica, nonché stimolare un’utile riflessione sulla portata applicativa di quanto ha formato oggetto di esame da parte della Suprema Corte.

 

2. Il quadro di riferimento in sintesi

Il documento di prassi che è di maggior utilità per ricostruire la fattispecie in esame è rappresentato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23 del 04 maggio 2010. La problematica esaminata dalla circolare in esame è quella della ripresa a tassazione, da parte degli uffici accertatori, di componenti negativi imputati all’esercizio X, che si sarebbero dovuti dedurre nell’esercizio immediatamente antecedente, ovvero in quello successivo. Nell’ambito della fattispecie richiamata, ci si sofferma, quindi, sulle azioni perseguibili dai contribuenti interessati, per vedere riconosciuta la deduzione dei componenti negativi oggetto di rettifica, nelle annualità cui sarebbero correttamente imputabili, per espressa ammissione dei medesimi accertatori.

In tal senso si evidenziano le seguenti possibili opzioni.

a) La dichiarazione correttiva a favore del contribuente, da eseguirsi entro il termine di presentazione dell’adempimento dichiarativo annuale relativo al periodo d’imposta successivo a quello di competenza. Quanto precede, ai sensi del disposto di cui all’articolo 2, comma 8-bis, del d.p.r. n. 322 del 1998, secondo cui “Le dichiarazioni dei redditi … possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori ed omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta, o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare … non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo”.

b) L’istanza di rimborso dei versamenti di imposte eccedenti il dovuto, da eseguirsi in base al disposto di cui all’articolo 38, comma 1, del d.p.r. n. 602/73, secondo cui “il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”.

c) Ricorso contro il silenzio-rifiuto di cui all’articolo 19 del decreto legislativo n. 546/92 opposto dall’amministrazione all’istanza appena richiamata, da proporre decorso il novantesimo giorno da quello di presentazione dell’istanza medesima, stante il disposto di cui all’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546/92. Su quest’ultima disposizione, si ritornerà in seguito, per richiamare l’ulteriore opportunità per il contribuente, rappresentata dal c.d. “rimborso anomalo”, assai utile laddove le ipotesi appena illustrate non risultino più percorribili per l’avvenuto decorso dei termini.

Nota determinante pare, in conclusione, quella in cui la medesima circolare n. 23 del 4 maggio 2010 afferma che nessuna delle soluzioni poc’anzi richiamate1 potrà essere accolta “… nel caso in cui la pretesa dell’amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva”.

In sostanza, e questo costituisce orientamento consolidato nella prassi2 e nella giurisprudenza3, il contribuente potrà attivarsi:

  • soltanto dopo aver riconosciuto come legittimo quanto abbia formato oggetto di apposito avviso di accertamento (ivi comprese, quindi, le sanzioni e gli interessi) ;

  • ovvero a seguito di sentenza divenuta definitiva, o, ancora, di esiti positivi riconducibili alle procedure della conciliazione giudiziale o dell’accertamento con adesione .

 

3. Il riferimento giuridico delle rettifiche sulla competenza. Doppia imposizione “evitabile” solo su iniziativa del contribuente

Le rettifiche fondate sull’errata interpretazione del principio di competenza economica concernono solitamente l’imputazione di componenti negativi di reddito, e trovano i propri riferimenti normativi nei commi 1 e 2 dell’articolo 109 del TUIR, denominato “Norme generali sui componenti del reddito d’impresa”. I commi citati, dei quali si riproducono le parti di maggior interesse, recitano testualmente:

I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi … concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.

Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza:

a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili…;

b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo …. e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi”.

 

Prassi e giurisprudenza prevalente si sono pertanto uniformate nel sostenere l’inderogabilità del principio di competenza, la cui corretta applicazione non può essere lasciata al libero arbitrio del contribuente. Inoltre, come immediata conseguenza logica di quanto precede, si sono interessate dell’ulteriore profilo, rappresentato dalla duplicazione d’imposta che viene a subire il malcapitato contribuente, sul componente di reddito che ha formato oggetto della rettifica erariale.

In merito va evidenziato che gli uffici, una volta operata la rettifica, mediante la ripresa a tassazione, ad esempio, di un componente negativo di reddito, non si occupano affatto di ripristinare il corretto equilibrio reddituale facente capo al contribuente: non hanno infatti alcun obbligo in tal senso, pur riconoscendone implicitamente le spettanze, nell’esercizio stesso del potere di rettifica. Se, infatti, si disconosce la competenza economica in un esercizio, la si ammette implicitamente nell’esercizio temporalmente connesso a quello interessato dalla ripresa a tassazione. In altri termini, pur essendo normativamente predeterminato il “divieto della doppia imposizione” dall’articolo 163 del vigente TUIR, è onere dei contribuenti l’attivarsi perchè detto divieto trovi concreta attuazione nei loro confronti. Non esiste infatti un disposto normativo teso a far carico all’amministrazione finanziaria del profilo attivo inerente le posizioni dei contribuenti, che devono pertanto, in quanto attori del rapporto tributario, recitare attivamente ed autonomamente la propria parte.

 

4. Il caso oggetto della sentenza n. 1648/2013 : l’assenza del “danno erariale” può giustificare l’errore sulla competenza?

Nel caso che ha formato oggetto di esame della sentenza che si intende richiamare, una società, esercente attività di formazione ed insegnamento, fatturava tutti gli importi previsti dai contratti stipulati nel corso del mese precedente, anche se non effettivamente incassati.

Parallelamente, inoltre, procedeva ad imputare a conto economico i costi inerenti le prestazioni didattiche afferenti i medesimi contratti, privilegiando la correlazione tra costi e ricavi: quanto precede, malgrado l’assenza, non soltanto della manifestazione finanziaria sottesa al sostenimento dei costi, ma anche dell’effettivo svolgimento delle medesime attività (almeno in quota parte). La condotta citata aveva lo scopo di uniformare e controllare la gestione delle sedi periferiche, fornendo loro un criterio omogeneo, anche se ovviamente perfettibile. L’ufficio, operando la rettifica sui soli costi imputati anticipatamente, asseriva che tale comportamento era in aperta contraddizione con i principi affermati dalla Corte di Cassazione, con particolare riferimento alla sentenza n. 6331/2008. Quest’ultima pronuncia ribadiva la necessità di un’interpretazione rigorosa del principio di competenza economica, eliminando ogni possibilità, per i contribuenti, di “traslare” da un esercizio all’altro il gravame tributario a proprio piacimento, e secondo la convenienza del caso. La società, oltre ad asserire l’improprietà del riferimento alla sentenza n. 6331/2008, che trattava del solo errore di imputazione riferito a componenti negativi di reddito, andava oltre, fondando le proprie argomentazioni difensive sulla seguente deduzione di ordine logico: avendo posto in essere l’anticipazione dei ricavi e dei costi ad essi direttamente correlabili, la contribuente non aveva fatto altro che anticipare la tassazione del margine reddituale risultante, senza arrecare alcun danno alle ragioni erariali. Il mancato danno erariale è questione che era stata posta in risalto dalla Cassazione, con la sentenza n. 28016 del 30 dicembre 2009, peraltro richiamata dalla società nella propria difesa in giudizio. Nella sentenza citata, si affermava che, se è indubbio che l’errata imputazione per competenza di un costo configuri violazione del disposto dell’allora vigente articolo 75, comma 2, del TUIR4, non può, d’altro lato negarsi, che la stessa violazione sia priva di effetti, stante l’ assenza di materia imponibile sottratta a tassazione. Per non parlare dell’ipotesi in cui, addirittura, l’errata applicazione del principio di competenza abbia finito per generare un’alterazione del risultato economico tale da danneggiare il contribuente! Ebbene i Giudici di legittimità, con la sentenza n. 1648 del 24 gennaio 2013, hanno ribadito l’esigenza di attenersi in maniera stringente al disposto di cui all’articolo 109 del TUIR, in materia di competenza economica, onde evitare ogni possibile esercizio “arbitrario” da parte dei contribuenti, come già asserito dalla prevalente giurisprudenza di legittimità in merito, ma estendendo l’analisi agli errori che hanno interessato i ricavi. Le peculiarità della fattispecie oggetto d’esame, hanno infatti indotto la Suprema Corte a rispolverare la propria sentenza n. 14774 del 15 novembre 2000, che si era occupata specificatamente di errori nell’interpretazione del principio di competenza economica che avevano interessato i componenti positivi di reddito. In sintesi, la circostanza che detti componenti avessero già concorso alla formazione del reddito di un altro esercizio, non impediva la loro “rettifica” e rinnovata imputazione nell’esercizio in cui si ritiene sussistere la competenza economica da parte degli uffici. Su questi ultimi, inoltre, non sussiste alcun onere di rettifica automatica, con riferimento alle dichiarazioni relative agli ulteriori periodi interessati dalle rettifiche, con ciò legittimando pienamente quanto evidenziato in chiusura del precedente paragrafo, circa la tutela dei profili attivi inerenti le posizioni dei contribuenti.

Venendo alla mancanza di danno erariale, l’interpretazione fornita dalla Cassazione nella sentenza n. 1648/2013, nel ribadire con fermezza la necessità di attenersi fedelmente al disposto di cui all’articolo 109 del TUIR in materia di competenza economica, afferma ulteriormente l’inammissibilità di approcci che si discostino dalla corretta applicazione del disposto normativo richiamato. Volendo esemplificare, anche se il contribuente, a fronte di errore interpretativo sulla competenza, venisse a versare in anticipo quanto dovuto all’erario, questi sarebbe comunque passibile di rettifiche in sede di accertamento. Quanto precede, stante l’autonomia di ogni obbligazione tributaria, che deve trovare piena rispondenza nelle disposizioni fiscali di volta in volta vigenti, onde consentire, tra l’altro, il corretto espletamento dell’iter procedurale che parte dall’attività dichiarativa e si conclude con quella di accertamento, facendo riferimento, distintamente, ad ogni singolo periodo d’imposta.

Al contribuente quindi, non resta che assolvere quanto ha costituito oggetto di rettifica sui soli costi erroneamente imputati in anticipo, trovando poi legittimazione a presentare l’istanza di rimborso, entro 24 mesi dal momento in cui la pretesa dell’ufficio sia divenuta definitiva : trattasi del cosiddetto “rimborso anomalo” che segue il dettato di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 546/92. Perchè “la pretesa … sia divenuta definitiva”, devono realizzarsi, alternativamente, le seguenti circostanze di fatto:

a) l’intervento di una sentenza divenuta definitiva;

b) l’avvenuta “acquiescenza” alle pretese erariali, mediante riconoscimento, da parte del contribuente, di quanto a lui notificato mediante avviso di accertamento;

c) la definizione di un procedimento di adesione di cui al decreto legislativo n. 218/97, o di conciliazione giudiziale ex articolo 48 del decreto legislativo n. 546’92.

Il verificarsi di una delle suddette ipotesi consente al contribuente di agire per recuperare quanto indebitamente versato: rimanendo inerte, resterebbe vittima, a tutti gli effetti, della doppia imposizione, peraltro esplicitamente vietata dall’articolo 163 del TUIR. Il principio che “impronta” quindi la disciplina della questione è l’antichissimo, e tristemente noto, “solve et repete”. Per meglio comprendere la fattispecie oggetto del giudizio che si sta commentando, ipotizzando riprese a tassazione tese a rideterminare redditi effettivamente conseguiti, e non meramente fittizi5, si rende necessario un esempio che potrebbe apparire una semplificazione scolastica, ma che si ritiene abbia un indubbio potere chiarificatore. Riprendendo il caso oggetto d’esame nella sentenza n. 1648/2013, poniamo che una società a responsabilità limitata presenti, in due anni temporalmente connessi (nell’esempio, 2008 e 2009), i seguenti dati:

 

S.r.l.

Componenti negativi

Componenti positivi

Utile

Esercizio 2008

60.000,00 euro

120.000,00 euro

60.000,00 euro

Esercizio 2009

40.000,00 euro

80.000,00 euro

40.000,00 euro

 

Su tali dati, regolarmente dichiarati, ipotizziamo intervenga nell’anno 2013 una verifica, fondata sul solo 2008, che si conclude con la notifica di un avviso di accertamento alla società, nella quale vengono rettificati, non soltanto una quota parte dei componenti di reddito negativi, ma anche di quelli positivi : entrambi, infatti, risultavano imputati in violazione del principio di competenza economica, essendo stati anticipati al primo dei due esercizi considerati (il 2008 nell’esempio).

 

S.r.l.

Rettifiche Componenti negativi

Rettifiche Componenti positivi

Utile post rettifiche

Esercizio 2008

-20.000,00 euro

-40.000,00 euro

40.000,00 euro

Esercizio 2009

20.000,00 euro

40.000,00 euro

60.000,00 euro

 

Come si può vedere, nella totalità dei due esercizi, nessun danno è stato arrecato all’erario: si è soltanto anticipato quanto si sarebbe dovuto posticipare, a tutto vantaggio (finanziario) dell’erario . Nell’ipotesi in esame, anzi, l’erario non avrebbe potuto rivalersi sulla società, se non, tutt’al più, con sanzioni per infedele dichiarazione, per il 2008, a fronte del riconoscimento di imposte pagate in eccesso. Dovendo attendere il successivo 2009 per rivalersi sulla contribuente, stante il maggior reddito, rispetto a quanto originariamente dichiarato. Sfortunatamente, però, l’esempio riportato costituisce soltanto una sorta di irrealizzabile utopia rispetto a quanto è dato riscontrare nella realtà operativa degli accertamenti posti in essere dall’amministrazione, guidati dall’imperativo di incassare più possibile e prima possibile. Ne costituisce un classico esempio la fattispecie oggetto della sentenza n. 1648/2013, in cui i Giudici di legittimità hanno inteso, ancora una volta, salvaguardare le ragioni di gettito che guidano l’azione dell’amministrazione finanziaria. Resta il fatto che, esaminando la questione dalla parte dei contribuenti, la specifica situazione oggetto della sentenza esaminata avrebbe potuto suggerire, nell’ambito delle strategie difensive, e sempre che si opti per perseguire il contenzioso tributario:

  • la richiesta agli uffici di non limitare la verifica al solo esercizio 2008, ma di estenderla al 2009, offrendo al contribuente l’opportunità di accedere alle opportunità compensatorie di cui alla circolare n. 31/E del 2012 dell’Agenzia delle Entrate, sebbene tale strumento, come si avrà modo di constatare, sia atipico rispetto alla fattispecie esaminata;

  • anche in presenza di diniego, portare in contradditorio documentazione attestante la validità di quanto asserito, tentando, in ultima istanza, di sfruttare un eventuale, definitivo diniego opposto dagli accertatori, di cui occorre richiedere verbalizzazione, per rendere manifesta ai giudici tributari, ed in ultima istanza, a quelli di legittimità, il danno subito dal contribuente. Se infatti, è vero che il “solve et repete” ha una sua (discutibile) ratio giuridica, non può tacersi che, specie in tempi di crisi come quelli attuali, l’aggravare la posizione di un contribuente ingiustamente, può arrecare danni non sanabili con un’istanza di rimborso.

 

5. Le possibilità di compensazione offerte dalla Circolare n. 31/E

L’Agenzia delle Entrate, nella propria circolare n°31/E del 02 agosto 2012, si è occupata dei rilievi “… fondati sulla deduzione di costi effettuata in violazione del principio di competenza di cui all’articolo 109, commi 1 e 2, del TUIR…”, con particolare riferimento ai casi in cui, “… in sede di definizione della pretesa, attraverso l’istituto dell’accertamento con adesione, fermo restando il disconoscimento della deduzione di costi per violazione del principio di competenza, ne sia tuttavia riconosciuta la deducibilità nel periodo d’imposta di effettiva competenza”.

In sostanza, quindi, se il contribuente, in sede del procedimento di accertamento con adesione, chiede esplicitamente di poter accedere alla compensazione, previa rinuncia espressa ad ogni azione di rimborso (mediante istanza di rimborso, o dichiarazione correttiva a suo favore), questi potrà vedere compensato quanto dovuto a titolo di maggiori imposte, sanzioni ed interessi, con la sola maggiore imposta da lui assolta nell’esercizio temporalmente connesso a quello che ha formato oggetto di rettifica. Ovviamente, gli uffici dovranno preventivamente istruire un’azione istruttoria, tesa a verificare l’effettiva spettanza di quanto vantato dal contribuente : sarà pertanto opportuno, in sede di difesa, agire con sollecitudine in tal senso, senza attendere la decorrenza del termine di conclusione del procedimento di adesione.

Come è intuibile, tale opportunità è di assoluto rilievo, anche se, almeno letteralmente, pare limitata alle sole ipotesi di ripresa a tassazione di componenti negativi di reddito, in violazione del principio di competenza economica. Visto però che, di fatto, questo è il comportamento usualmente adottato dagli uffici, e che, in tale prassi operativa, vengono addirittura confortati dalla giurisprudenza di legittimità, non resta che prenderne atto pragmaticamente, prendendo ad affilare le poche armi rimaste.

In tal senso, se una fattispecie del tipo di quella oggetto della sentenza n. 1648/2013 della Cassazione6, tornasse a riproporsi al giorno d’oggi, il malcapitato contribuente, piuttosto che avventurarsi in un contenzioso che definire donchisciottesco non costituisce un eufemismo, sarebbe auspicabile tentare il ricorso all’istituto dell’accertamento con adesione, nell’intento di raggiungere l’obiettivo della “compensazione” tanto agognata.

 

17 ottobre 2013

Giuseppe Pagani

1 Ivi compresa quella, qui soltanto accennata, del rimborso “anomalo”, ex articolo 21, decreto legislativo n. 546/92.

2 Si pensi, in merito, alla Circolare n. 31/E che introduce una rilevante opportunità di recupero di quanto spettante al contribuente, di cui si dirà nel prosieguo, condizionandola al riconoscimento da parte del contribuente della rettifica operata dall’amministrazione finanziaria, con conseguenti maggiori imposte, sanzioni ed interessi.

3 Si vedano Cassazione, sentenze n. 6331 del 10 marzo 2008, e sentenza n. 16023 dell’8 luglio 2009.

4 Attualmente articolo 109 del TUIR, come già evidenziato in precedenza.

5 Riprese, non solo dei costi (come di fatto operate dagli uffici), ma anche dei ricavi la cui imputazione sia stata erroneamente anticipata.

6 Riferita ad una ripresa a tassazione eseguita sul periodo d’imposta 1996, e, di conseguenza, in riferimento alla quale non sarebbe stato possibile ricorrere a compensazione.