il contesto di crisi economica sta facendo aumentare le società in fase di liquidazione che non posseggono attivo sufficiente a soddisfare tutti i creditori sociali: quali sono le responsabilità del liquidatore in tale situazione di incapienza del patrimonio sociale, soprattutto per quanto riguarda gli obblighi fiscali?
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LA LIQUIDAZIONE DELLA SOCIETÀ DI CAPITALI
L’estinzione dell’impresa societaria coincide con la scomparsa della stessa dal novero dei soggetti dell’attività giuridica, che può avvenire, tipicamente, mediante una fattispecie a formazione successiva che comporta una dissoluzione della società attraverso la liquidazione, culminando nella cancellazione dal registro delle imprese. L’estinzione della società scaturisce quindi da una fattispecie estintiva a formazione successiva composta da 3 fasi:
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verificarsi di una causa di scioglimento;
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compiersi del procedimento di liquidazione;
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cancellazione della società dal registro delle imprese.
Se si verifica una causa di scioglimento (nei termini previsti dalle specifiche ipotesi di seguito inquadrate), avviene l’ingresso della società nello stato di liquidazione, e lo scopo dell’ente, da lucrativo, diviene liquidatorio.
Le cause di scioglimento operano di diritto, senza che sia necessario un accertamento a carattere costitutivo negoziale (deliberazione dei soci) o giudiziale (decreto del Tribunale).
Ciò nonostante, gli amministratori sono tenuti ad accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento e a procedere agli adempimenti pubblicitari, salvo l’intervento sostitutivo, in caso di inerzia, compiuto dal Tribunale su istanza degli amministratori o dei singoli soci: si tratta però di accertamenti a carattere dichiarativo, previsti in funzione di successivi adempimenti pubblicitari.
Lo scioglimento acquista effetto, in linea generale, alla data di iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori accertano le cause (per lo scioglimento anticipato, l’efficacia decorre invece dalla data della deliberazione). Il procedimento di liquidazione inizia con la deliberazione assembleare di nomina dei liquidatori, la quale deve fissare i criteri di svolgimento della liquidazione, i poteri dei liquidatori e gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa. Con la nomina dei liquidatori, dopo l’iscrizione della delibera nel registro delle imprese, si determina la cessazione dalla carica degli amministratori.
In quanto compatibili, le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi dell’organizzazione si applicano anche durante la liquidazione (art. 2488, c.c.).
La società deve obbligatoriamente aggiungere alla denominazione sociale la locuzione «società in liquidazione»; inoltre, successivamente all’iscrizione della delibera di nomina dei liquidatori nel registro delle imprese, gli amministratori devono consegnare i libri sociali, una situazione dei contratti alla data di effetto dello scioglimento ed un rendiconto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato.
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GLI ASPETTI FISCALI DELLA LIQUIDAZIONE
Le conseguenze fiscali delle operazioni di liquidazione sono disciplinate dall’art. 182 del TUIR.
Ai sensi di tale normativa, se la liquidazione non si protrae oltre i termini massimi (per i soggetti IRPEF, per più di 3 esercizi; per i soggetti IRES, per più di 5 esercizi), con presentazione del bilancio finale, l’intera fase della liquidazione rileva come un momento unitario, e i risultati definitivi sono evidenziati in sede di bilancio finale (cfr. R.M. 18.10.1979 prot. n. 7/3087; R.M. 11.12.1981 prot. n. 9/4009; R.M. 12.3.1983 prot. n. 11/177).
Nell’ipotesi in cui invece la liquidazione ecceda i termini indicati, e se è omessa la presentazione del bilancio finale (a prescindere dal superamento di detti termini), l’intero periodo della liquidazione non rileva come un momento unitario.
In presenza di redditi assoggettati a tassazione separata si rende necessario rideterminare il reddito complessivo del contribuente per i periodi di imposta di competenza e riliquidare la relativa imposta. Al verificarsi di una causa di scioglimento, rimane comunque in vita il rapporto sociale, sicché i soci possono certamente modificarlo, eliminando la causa di scioglimento.
In relazione agli adempimenti imposti dalle norme fiscali, la R.M. 6.5.1983, prot. 176, ha precisato che, in caso di revoca dello stato di liquidazione, non è prescritta alcuna dichiarazione di bilancio finale, poiché con tale revoca non avviene alcun riparto delle attività di liquidazione. È quindi esclusa l’applicabilità della disciplina tributaria della liquidazione, e gli amministratori sono tenuti a presentare la normale dichiarazione dei redditi.
Se è intervenuta la revoca dello stato di liquidazione, comunque in epoca antecedente i 5 anni a partire dalla sua apertura, non sussistono quindi i presupposti per la presentazione di una dichiarazione fiscale relativa all’intero periodo di liquidazione; mentre risorge, al contrario, l’obbligo della dichiarazione annuale. Ne consegue che anche l’eventuale periodo iniziale della liquidazione non può «frazionarsi» in due sotto periodi (ante e post liquidazione), dovendo invece essere considerato unitariamente.
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IL REDDITO DEL PERIODO COMPRESO TRA L’ULTIMO BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INIZIO DELLA LIQUIDAZIONE
Nel primo comma dell’art. 182 è precisato che il reddito fiscale della società in liquidazione per il periodo che intercorre tra l’inizio dell’esercizio e l’inizio della liquidazione deve essere determinato sulla base del conto della gestione redatto a norma dell’art. 2277 del codice civile.
Secondo le indicazioni del codice civile, il conto della gestione deve essere redatto dagli amministratori. Per le società di capitali, tale documento coincide con il bilancio d’esercizio, comprensivo di stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa, e corredato dalla relazione degli amministratori sulla gestione. Se la data della messa in liquidazione coincide con quella della chiusura dell’esercizio, può farsi riferimento all’ultimo bilancio d’esercizio.
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IL REDDITO DEL PERIODO COMPRESO TRA L’INIZIO E LA CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE
Il reddito relativo al periodo cha va dalla messa in liquidazione alla chiusura della stessa deve essere determinato a norma dell’art. 182, terzo comma, del TUIR. Sia per i soggetti IRPEF che per i soggetti IRES, il reddito d’impresa del periodo unitario di liquidazione si determina in base al bilancio finale, mentre il reddito dei periodi intermedi è determinato in via provvisoria, salvo conguaglio in base allo stesso bilancio finale.
La riforma fiscale del 2004 non ha apportato sostanziali innovazioni rispetto alla disciplina previgente, sia con riguardo al regime generale, sia relativamente alla presunzione di «definitività» ei redditi intermedi al superamento dei 3 anni (imprese individuali, S.n.c., S.a.s.) ovvero dei 5 anni (soggetti IRES). Relativamente alle imprese individuali, la data di inizio della liquidazione, ai fini delle imposte sui redditi, è quella della comunicazione all’ufficio fiscale mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
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L’APPLICABILITÀ DELLA NORMA ANTIELUSIVA
Anche alla liquidazione, così come alle operazioni societarie straordinarie, risulta applicabile la norma antielusiva dell’art. 37–bis, D.P.R. 600/1973, la quale sancisce l’inopponibilità all’Amministrazione di tutti «…gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti». Naturalmente, così come per le altre operazioni, l’azione del Fisco può derivare soprattutto dal riconoscimento di un «disegno» elusivo, riconducibile a un comportamento complesso, e non già dall’operazione di liquidazione in sé considerata.
In tale circostanza, l’ufficio fiscale territorialmente competente può disconoscere i vantaggi fiscali eventualmente conseguiti, emanando l’avviso di accertamento previa richiesta al contribuente – anche per lettera raccomandata – di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. Si rammenta altresì che è consentito al contribuente di attivare in via preventiva lo speciale interpello antielusivo previsto dall’art. 21 della L. n. 413/1991.
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GLI ASPETTI DICHIARATIVI
Ai sensi dell’art. 5, primo comma, del D.P.R. 22.7.1998 n. 322, il liquidatore o, in mancanza, il rappresentante legale, è tenuto a presentare:
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la dichiarazione relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la deliberazione di messa in liquidazione, entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a tale ultima data;
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la dichiarazione relativa al risultato finale delle operazioni di liquidazione entro i sette mesi successivi alla chiusura della liquidazione o al deposito del bilancio finale.
È pertanto disposto che la dichiarazione finale va presentata solamente se la liquidazione si chiude, e non nel caso di revoca. In tale ultima ipotesi, non sorge infatti un autonomo periodo d’imposta compreso tra l’inizio e la fine della liquidazione, sicché risulta ristabilito l’obbligo della dichiarazione annuale.
La data di effetto della deliberazione di messa in liquidazione è, in caso di liquidazione volontaria, quella della delibera dell’assemblea dei soci ovvero, in presenza di liquidazione giudiziaria, quella del provvedimento giudiziale di cui all’art. 2449, sesto comma, del codice civile.
Per quanto riguarda i casi in cui la liquidazione si protragga oltre il periodo d’imposta in corso alla data della messa in liquidazione, il terzo comma dell’art. 5 del D.P.R. n. 322/1998 prevede che la dichiarazione relativa alla residua frazione di detto periodo e quelle relative ad ogni successivo periodo d’imposta debbono essere presentate entro i termini ordinari stabiliti dall’art. 2 del medesimo decreto.
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GLI OBBLIGHI IVA
In relazione all’IVA, l’entrata dell’impresa nella fase di liquidazione non crea particolari problemi, atteso che la messa in liquidazione non interrompe il periodo d’imposta, che resta unitario, sicché non è necessario presentare due distinte dichiarazioni. Va evidenziato che, in caso di assegnazione di beni ai soci, in sede di riparto, tali cessioni sono equiparate a cessioni di beni di cui all’art. 2, secondo comma, n. 6, del D.P.R. 633/1972, e pertanto il liquidatore dovrà assoggettarle ad IVA.
A seguito della chiusura della liquidazione, a cura del liquidatore, deve essere comunicata la cessazione dell’attività ai fini IVA. Alla fine del periodo di imposta in cui la società è messa in liquidazione, deve essere presentata un’unica dichiarazione per l’intero anno solare. Durante gli eventuali esercizi intermedi va invece presentata la dichiarazione nei termini ordinari, mentre la dichiarazione per l’ultimo periodo di imposta, nel quale la dichiarazione si chiude, va presentata entro i termini ordinari l’anno successivo.
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L’IMPOSTA DI REGISTRO
In relazione all’eventuale applicazione dell’imposta di registro agli atti dell’impresa che contraddistinguono la fase di liquidazione, non si registrano significative differenze rispetto a quanto ordinariamente previsto, anche se non è chiaro, non essendo menzionato dalla norma, se sia soggetto ad imposta di registro il bilancio finale di liquidazione.
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LA LIQUIDAZIONE E LE SOCIETÀ DI COMODO
La società in liquidazione, che tipicamente cessa o riduce fortemente la propria attività economica, può a volte rientrare per tale motivo tra le società non operative (o «di comodo»).
Si rammenta a tale riguardo che le società che risultano non operative in base all’applicazione di determinati coefficienti (nel c.d. test di operatività) sono tenute a dichiarare un «reddito minimo presunto», che assume rilevanza anche ai fini dell’IVA e dell’IRAP (art. 30, L. 23.12.1994, n. 724, e s.m.i.).
Mediante l’intervento dell’art. 2, commi da 36-quinquies a 36-duodecies, D.L. n. 138/2011, la speciale disciplina delle società non operative («di comodo») è stata estesa, con decorrenza dal 2012, anche alle società che evidenziano perdite fiscali per almeno tre periodi di imposta, ovvero per soli due periodi se in un ulteriore periodo, all’interno di un triennio di riferimento, la società risulta non operativa.
La situazione di non operatività o di perdita sistematica comporta notevoli penalizzazioni, giacché in tali ipotesi la società:
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deve adeguarsi al reddito minimo presunto calcolato percentualmente in relazione agli asset patrimoniali detenuti;
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non può utilizzare il proprio credito IVA;
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se si tratta di un soggetto IRES, soggiace a una maggiorazione del 10,5% dell’ordinaria aliquota impositiva (che passa così al 38%).
Per queste società è tuttavia possibile presentare istanza di disapplicazione al direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate della regione di residenza fiscale, secondo le modalità dell’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973.
La disapplicazione può essere disposta, secondo la circolare n. 5/E del 2.2.2007, se le società si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell’attività, secondo le indicazioni fornite (in vigenza della vecchia normativa) nella C.M. 26.2.1997, n. 48, che ravvisava tale situazione, in particolare, nel periodo di imposta da cui decorre la messa in liquidazione volontaria o l’inizio delle procedure di liquidazione coatta amministrativa e fallimento.
Con riferimento all’ipotesi della liquidazione volontaria, che rimane una circostanza valutabile ai fini della richiesta di disapplicazione, le direzioni regionali devono però appurare l’effettività della liquidazione.
In definitiva: la disapplicazione può essere concessa, liberando così la società dagli sfavorevoli effetti della normativa speciale, solo se viene dimostrato che effettivamente, nel periodo di imposta considerato (ovvero, per le società in perdita sistematica, in uno dei tre periodi di imposta «di osservazione»), sono compiute attività a fine liquidatorio, ovvero esistono tentativi (documentati) di portare a termine la procedura nella prospettiva dell’estinzione del soggetto societario.
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LA RESPONSABILITÀ DI AMMINISTRATORI E LIQUIDATORI
Come si è visto, il procedimento di liquidazione è caratterizzato dal subentro della figura del liquidatore in luogo di quella dell’amministratore della società.
Per quanto riguarda gli obblighi tributari, possono esistere situazioni imputabili all’attività dell’amministratore e dei soci compiuta anteriormente alla messa in liquidazione, ovvero all’attività successiva compiuta dal liquidatore. Tutte queste figure sono normativamente «responsabilizzate» nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
In particolare, secondo l’art. 36 del D.P.R. 29.9.1973, n. 602:
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i liquidatori dei soggetti IRES che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione stessa e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari; questa responsabilità è commisurata all’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti;
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la stessa disposizione si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non sono stati nominati i liquidatori (in tale ipotesi, quindi, gli amministratori sono chiamati a pagare in proprio);
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i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta anteriori alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai liquidatori o dagli amministratori (in caso di mancata nomina dei liquidatori) nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile;
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queste responsabilità sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.
La responsabilità viene accertata dall’ufficio fiscale (ossia, nell’organizzazione attuale, dalla direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate) con atto di accertamento avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario.
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ALCUNE PRECISAZIONI IN MERITO
L’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 prevede quindi le seguenti conseguenze:
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la responsabilità degli amministratori e dei liquidatori emerge quando, in presenza di attività di liquidazione, siano state violate le disposizioni sulla ripartizione dell’attivo previste dal medesimo art. 36;
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le imposte sono accertate nei confronti della società, ma rispondono per il mancato pagamento delle imposte con l’attivo sociale nei limiti dell’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti (graduati secondo le disposizioni sui privilegi di cui all’art. 2777 e ss. del codice);
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l’azione è esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui sono stati iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e vi sia la certezza legale che gli stessi non siano stati soddisfatti con le attività della stessa liquidazione (deposito del bilancio finale di liquidazione);
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la responsabilità dei liquidatori va accertata dall’ufficio tramite atto motivato da notificare nel termine decennale di prescrizione ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/73 (sino a che non è notificato l’accertamento è possibile proporre dinanzi al giudice civile azione di accertamento negativo);
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la responsabilità dei soci trae origine non da un fatto proprio degli stessi, bensì dall’indebito arricchimento realizzato dagli stessi per effetto dell’assegnazioni di denaro o altri beni sociali loro fatte dagli amministratori (nei due periodi di imposta precedenti la messa in liquidazione) o dai liquidatori (nella fase di liquidazione);
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relativamente alla responsabilità dei liquidatori e/o degli amministratori, ha luogo una graduazione dei crediti che: a) presuppone il non adempimento dell’obbligo di pagare con l’attività di liquidazione le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori; b) opera se e nei limiti in cui i liquidatori – ovvero gli amministratori – abbiano soddisfatto crediti di ordine inferiore rispetto a quello tributario (la declaratoria di responsabilità dei liquidatori sarà quindi possibile solamente dopo l’accertamento di un inadempimento a carico della società e, quindi, dopo la formazione del ruolo a carico della società, o successivamente dei soci).
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LE DISPOSIZIONI CIVILISTICHE DI RIFERIMENTO
Secondo l’art. 2495 del codice civile, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i propri crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.
Se quindi, come nel caso proposto, l’amministratore è anche socio della società estinta, questo può essere (insieme agli altri soci, in questa ipotesi la sorella) destinatario di atto di accertamento recante una motivazione «rinforzata» con la quale l’ufficio è tenuto a precisare perché lo ritiene responsabile fiscalmente ricorrendo le condizioni dell’art. 2495 del codice e dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973.
Secondo quanto è stato posto in evidenza dalla Corte di Cassazione (Cass., sezione tributaria, 11.5.2012, n. 7327):
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è riconosciuta all’amministrazione finanziaria l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore solo nel caso in cui egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento;
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quello verso il liquidatore e l’amministratore è un credito dell’amministrazione finanziaria di tipo civilistico, che trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale, costituente mero presupposto della responsabilità stessa, anche se tale responsabilità deve essere accertata dall’ufficio con atto di accertamento motivato;
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i soci che abbiano ricevuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi: nei loro confronti il fisco può agire «pro quota», salvo quanto previsto dall’art. 2495 del codice civile per il quale – dopo la cancellazione – i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Per quanto attiene alla specifica posizione dell’amministratore della società, ha osservato la Corte che il rapporto giuridico in forza del quale anche questo è tenuto a rispondere in proprio delle imposte non pagate non è fondato sul dolo o sulla colpa, ma ha la sua fonte in un’obbligazione «ex lege» di cui il predetto è responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 del c.c., in relazione agli elementi oggettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute.
Conclusivamente, guardando al tenore letterale del quesito – secondo il quale i debiti tributari sono sorti anteriormente alla messa in liquidazione, durante la gestione dell’amministratore che è anche socio della società insieme alla sorella -, occorrerebbe sapere se sia stato o no nominato un liquidatore.
In caso positivo, questo sarà tenuto a pagare i debiti tributari anche anteriori alla fase liquidatoria mediante le attività della liquidazione, potendo rispondere in proprio se se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari.
In caso negativo, questo tipo di responsabilità, che richiede di adempiere attraverso le risorse provenienti dall’attività liquidatoria ovvero (nei casi sopra evidenziati) in proprio, incombe sugli amministratori.
La responsabilità dei soci (nel caso di specie, quindi, anche dell’amministratore – socio) sorge quando questi sono stati destinatari di denaro o beni sociali nel corso degli ultimi due periodi di imposta anteriori alla messa in liquidazione.
Inoltre, sono ugualmente responsabili gli amministratori per gli eventuali atti «liquidatori» o di occultamento di attività sociali compiuti anteriormente all’apertura della procedura.
30 settembre 2013
Fabio Carrirolo