IRAP: i costi per il personale dipendente riportati dai professionisti in Unico

se un professionista riporta in Unico 2013 costi per personale dipendente che non sono tali (bensì afferiscono ad altre tipologia di costi) è poi costretto pagare l’IRAP?

Non è servito ad un professionista sostenere che i costi originariamente indicati nella dichiarazione dei redditi come costo per il personale dipendente fossero invece somme erogate alla figlia in forma di borsa di studio e spese di sviluppo software.

Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 15325 del 19 giugno 2013), invece, il reddito della professionista va legittimamente assoggettato ad Irap.

 

 

 

 

 

 

 

Il contribuente si lamentava che il Giudice di merito avesse qualificato, come voci rilevanti ai fini della sussistenza dell’organizzazione necessaria per l’applicazione dell’Irap, le spese quali costi per il personale dipendente e collaboratori esterni mentre avrebbe dovuto “correttamente qualificare tali esborsi come borsa studio tirocinanti e spese per sviluppo software ovvero costi del tutto privi di significati organizzativi e, quindi, totalmente irrilevanti ai predetti fini”.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, sezione distaccata di Parma, aveva respinto l’appello proposto dallo stesso contribuente, confermando la sentenza di primo grado che ne aveva rigettato il ricorso.

 

 

Tali giudici di merito, assodato che dal materiale istruttorio emergeva che il contribuente aveva esercitato l’attività di consulente del lavoro con impiego di personale dipendente (per un costo di lire 60.000.000), con ausilio di collaboratori esterni (per un costo di lire 43.000.000) e con altri costi (per importo di lire 156.000.000), a fronte di ricavi dichiarati per lire 252.000.000, accertavano che il reddito del citato consulente non poteva essere imputato unicamente al proprio lavoro personale ma anche alla presenza di un’autonoma struttura organizzativa.

Avverso tale decisione il contribuente aveva proposto ricorso per Cassazione con unico motivo (errore di indicazione del costo del personale nella dichiarazione dei redditi), poi ampiamente respinto dalla Suprema Corte che ha confermato l’operato dei giudici di merito.

Per le Sezioni Unite della Cassazione (12111/2009), l’esercizio dell’attività è escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata.

 

 

E tale requisito, il cui accertamento spetta al giudice di merito, resta insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrendo quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.

Nel caso di specie, la Corte di cassazione ritiene che il descritto accertamento, invero, è stato condotto dal giudice di merito, il quale è giunto alla conclusione che il contribuente sia soggetto ad Irap.

A parte questa ultima sentenza della Cassazione, in merito all’assoggettabilità ad Irap dei professionisti, occorre comunque valutare caso per caso.

Sempre la Suprema Corte, con la sentenza n. 6923 del 20 marzo 2013, ha stabilito la presenza di dipendenti occasionali “a sostegno” del professionista non basta per imporre l’applicazione dell’Irap.

 

 

Ne è, quindi, uscito vittorioso un geometra, “esercente la libera professione”, a cui l’Amministrazione finanziaria aveva negato il “rimborso” dell’Irap versata negli ultimi cinque anni.

 

 

Altro caso: Secondo l’Agenzia e delle entrate ed anche secondo la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (n. 60/01/10 del 9 aprile 2010), una piccola somma dichiarata (nel caso di specie, poco oltre € 4.000,00), dal contribuente nel Modello Unico, per spese relative a compensi a terzi e varie (ad es. spese per l’autovettura e spese per l’immobile, magari spese di condominio), giustifica l’assoggettamento ad Irap del professionista (nel caso di specie, un avvocato).

Ma non è così per la Suprema Corte di Cassazione (autentico Giudice di legittimità della Legge) che, infatti, con la sentenza n. 8809 del 10 aprile 2013, ha stabilito che tali elementi da soli non bastano a giustificare l’applicabilità dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) in capo a detto professionista.

 

 

In atto, dunque, sulla varie delle varie pronunce di giurisprudenza, i professionisti che per l’esercizio della loro attività utilizzano una modesta quantità di beni strumentali e non fanno uso di lavoro altrui, possono ritenersi al di fuori dell’ambito di applicazione dell’Irap.

Nel corso degli ultimi anni, la possibilità di non versare Irap è stata estesa dalla  Cassazione, oltre che per quanto riguarda i professionisti, anche nei confronti di altre categorie di soggetti, in particolare:

– agenti di commercio e ai promotori finanziari (Cassazione SS.UU., sentenza n.12108/09 e ss.);

– broker assicurativi (Cassazione, sentenza n. 10851/11);

– piccole imprese (Cassazione, sentenza n. 15249/10, n. 21122/10 e n. 21123/10).

Sono comunque moltissime le sentenze che vanno in tale direzione.

Tale esonero si applica con i medesimi presupposti, a patto che sia impiegata nell’attività una dotazione di beni strumentali che non supera il minimo indispensabile e non venga impiegato lavoro altrui.

Le scelte che potranno essere operate in sede di dichiarazione dei redditi sono sostanzialmente le seguenti:

 

 

Compilare la dichiarazione Irap, versare il tributo e presentare successivamente istanza di rimborso

E’ la scelta che evita l’irrogazione di sanzioni ma espone ai tempi lunghi del rimborso.

Non compilare la dichiarazione Irap e quindi non versare nulla

E’ la scelta più efficace sotto il profilo finanziario, ma che espone all’irrogazione di sanzioni (dal 120% al 240%).

 

Vincenzo D’Andò

1 luglio 2013