Antieconomicità (comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività dell’impresa): su chi grava l'onere della la prova?

il Fisco è legittimato a disconoscere scelte imprenditoriali considerandole antieconomiche? E a chi spetta l’onere della prova?

Con sentenza n. 15250 del 12 settembre 2012 (ud. 12 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha affrontato, ancora una volta, la questione dell’onere della prova, in particolare nel campo dell’antieconomicità.

 

I passi salienti della sentenza

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi, degli oneri di ogni altra componente negativa del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente”.

Prosegue la sentenza rilevando che “poichè nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei costi medesimi (Cass. 16115/07, 4554/10).

Di conseguenza è pienamente legittimo “l’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, pur in presenza di una contabilità tenuta dal contribuente in modo formalmente regolare, qualora la contabilità medesima possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità della gestione di impresa. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. 6337/02, 1711/07)”.

In particolare – nel caso di specie – la Corte ha ritenuto “legittimo il recupero a tassazione di maggiori ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di parte delle merci acquistate nell’anno in considerazione, in difetto di elementi di prova adeguati, il cui onere cede – come detto – a carico del contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze di magazzino”.

L’accertamento induttivo effettuato dall’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, è dovuto al riscontro, operato in sede di verifica della documentazione contabile fornita dal contribuente, “dell’esistenza di un magazzino assai rilevante ed in continuo aumento, con conseguente formazione di giacenze di merci per importi molto elevati, notevolmente superiori all’ammontare degli stessi ricavi dichiarati. Tali ricavi, peraltro, erano a loro volta molto inferiori ai costi di acquisto della merce, risultandone un’evidente, macroscopica, antieconomicità della gestione aziendale facente capo al contribuente. Il che, per le ragioni suesposte, ha determinato la piena legittimità dell’accertamento induttivo operato da parte dell’Ufficio finanziario”.

Né per la Corte di Cassazione “giova al contribuente invocare l’avvenuto accertamento per adesione delle rimanenze iniziali all’1.1.04, onde inferirne che alla fine dell’esercizio 2003 il valore delle rimanenze non poteva che essere di pari importo. Ed invero, il principio di continuità dei valori di bilancio, sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 59, se comporta che i valori finali dell’esercizio sono da considerarsi quelli gli iniziali del successivo, non implica anche che sia vero il contrario. In altri termini, accertate con adesione del contribuente le rimanenze all’inizio del 2004, non per questo – stante il principio di autonomia dei periodi di imposta, sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, – devono essere considerate dello stesso valore anche le giacenze dell’esercizio precedente. Per cui correttamente l’Ufficio – in presenza dei menzionati, consistenti, elementi di dubbio risultanti dalla documentazione contabile esibita dal F. – ha operato l’accertamento induttivo delle rimanenze per l’anno 2003, nonostante l’accertamento per adesione delle rimanenze all’inizio dell’anno 2004”.

 

Brevi note

La sentenza in rassegna è sostanzialmente conforme alla recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 14798 depositata il 4 settembre 2012) che ha addossato sull’ufficio l’onere di provare i requisiti di certezza e determinabilità dei componenti positivi di reddito, mentre spetta al contribuente l’onere sui componenti negativi (nel caso specifico in discussione era la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 c. 1 lett. f e 75 del dpr 917/86 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. laddove la CTR ha ritenuto che i contributi richiesti dalla società fossero sottoposti a condizione sospensiva e, come tali, contabilizzati solo all’atto della erogazione).

Ma nel caso specifico la Corte va oltre, fissando due ulteriori principi:

  • acclarato che nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei costi medesimi;

  • acclarata la legittimità degli accertamenti fondati sull’antieconomicità spetta al contribuente confutare l’assunto accertativo.

 

Ricordiamo che con sentenza n. 16642 del 29 luglio 2011 (ud. del 9 marzo 2011) la Corte di Cassazione aveva già ritenuto che il comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività dell’impresa legittima l’Amministrazione finanziaria all’accertamento analitico induttivo – anche attraverso gli elementi desunti dalle percentuali di ricarico – incombendo al giudice di merito – che disattende i rilievi dell’ufficio impositore – motivare adeguatamente in ordine all’assenza di violazioni di norme tributarie.

 

12 ottobre 2012

Roberta De Marchi