Accertamento con adesione: chi firma paga

In caso di accertamento con adesione, il contribuente che sottoscrive l’accertamento si obbliga al pagamento dell’accordo transattivo.

Richiamando una recente sentenza della Corte di Cassazione – n. 10086 del 30 aprile 2009 (ud. del 15 aprile 2009) – la CTR del Piemonte, Sez. XXXIV, sent. n.44 del 17 giugno 2010, ha confermato che una volta sottoscritto l’atto di adesione è consequenziale il pagamento.

Partendo dalla pronuncia della Cassazione citata vediamo quali sono gli elementi più significativi della sentenza dei giudici di merito piemontesi1.

 

La sentenza della Cassazione n. 10086/2009

sentenza corte di cassazioneLa questione trae origine dall’impugnazione della sentenza della commissione regionale che ha accolto l’appello proposto dalla contribuente signora R.S., titolare di esercizio pubblico, avverso la sentenza n. 713/2001 della CTP di Frosinone, che ne aveva dichiarato inammissibile il ricorso, annullando così l’avviso di accertamento notificato il 17.11.1998, conseguente alla rideterminazione, con metodo induttivo, del reddito netto prodotto nel 1994, dichiarato in L. 9.321.000 ed accertato in L. 27.881.000 ai fini IRPEF ed ILOR.

Col primo motivo di censura l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 6 e 12, anche con riferimento al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, sostenendo che, avendo le parti concluso un accordo transattivo – accertamento con adesione, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997 – la contribuente non poteva ulteriormente giovarsi della sospensione dei termini (novanta giorni) concessa dal suddetto art. 6, c. 3, per l’impugnazione dell’atto impositivo; cosicché, diversamente da quanto ritenuto erroneamente dalla commissione regionale, all’atto della proposizione del ricorso (25.02.1999) ella era decaduta dal relativo potere, essendo stato notificato l’avviso di accertamento il 17.11.1998.

Col secondo motivo, si lamenta l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., c. 1, n. 5, in ordine all’annullamento dell’atto impositivo, asseritamente senza previa analisi delle ragioni poste dall’ufficio a base dell’accertamento induttivo.

 

La decisione

Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di ragione di seguito espressi, ed assorbe il secondo motivo.

La sentenza impugnata, pertanto, viene cassata e, non essendo necessarie ulteriori indagini di fatto, la causa è decisa nel merito, con dichiarazione d’inammissibilità del ricorso introduttivo.

È circostanza non contestata, riferita sia in sentenza sia nel ricorso, che “le parti hanno sottoscritto in data 15.2.1999 un accordo su un reddito di L. 22.000.000” (dalla sentenza); pertanto – esclusa in ogni caso la pertinenza del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 12, norma compresa nel Capo 3′ di tale testo legislativo, che non si riferisce alle imposte dirette (interessanti questo giudizio) o all’IVA, bensì alle “altre imposte indirette” – occorre aggiungere che neppure può essere utilizzato per la soluzione della controversia

“il precedente art. 6, il cui comma 3 dispone (fra l’altro) che siano sospesi, per un periodo di novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di concordato, sia il termine ordinario d’impugnazione dell’atto impositivo sia l’iscrizione a ruolo provvisoria del tributo: questa norma, infatti, contempla esclusivamente l’ipotesi di presentazione dell’istanza di concordato (domanda di accertamento con adesione), e si conclude prescrivendo l’interpretazione univoca che deve essere data al comportamento di chi, dopo aver presentato l’istanza, impugni l’avviso di accertamento o rettifica: in tal caso, l’impugnazione comporta, ex lege, rinuncia all’istanza”.

Quando invece, come nel caso concreto,

“l’istanza abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento definito con adesione diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l’art. 2, comma 3, dello stesso testo di legge (salve le eccezioni, non ricorrenti nel caso di specie, stabilite dal successivo comma 4)”.

Altra cosa è il “perfezionamento della definizione” concordata (art. 9), che si ottiene mediante il versamento all’erario di quanto concordemente stabilito (o mediante il versamento della prima rata, con prestazione di garanzia per quelle successive). Solo dopo il “perfezionamento”, ossia dopo il pagamento del debito tributario scaturente dall’accordo, l’atto impositivo perde efficacia (art. 6, c. 4, u.p.).

Tanto premesso,

“si deve concludere nel senso che, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire (o, per usare lo stesso termine della legge, perfezionare) l’accordo, versando quanto da esso risulta; essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione; il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del fisco, finché non sia stata perfezionata la procedura, ossia non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato”.

In tal senso, sostanzialmente, Cass. n. 18962/2005 (“il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai messo in discussione dal contribuente”); e pure, a contrariis, per Cass. n. 15170/2006, che ammette l’impugnabilità dell’atto impositivo, riconoscendo inoltre al contribuente il vantaggio della sospensione del termine ordinario d’impugnazione, ma solo quando sia stato

“formalizzato il mancato raggiungimento dell’accordo” (dalla motivazione); negando quindi il potere d’impugnazione dell’atto a chi abbia inequivocabilmente concordato, in via di adesione, la misura del tributo da pagare.

In base alle considerazioni che precedono, ed in conformità ai principi generali del diritto, debbono ritenersi erronee le affermazioni, contenute in sentenza, circa la possibilità di “rinuncia” o di “ripensamento” del contribuente dopo la definizione del contesto mediante adesione; o circa la pretesa irrilevanza del fatto

“che alla data del 15.2.1999 le parti avessero raggiunto un accordo, non essendo stato tale accordo perfezionato dai successivi (indispensabili) adempimenti, e perciò in quanto tale sempre revocabile”.

In realtà, per la Cassazione,

“le norme esaminate non autorizzano affatto simili rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell’accordo, e non ne prevedono la revocabilità; anzi ne sanciscono espressamente l’immodificabilità (art. 3, comma 4, cit.); mentre il successivo inadempimento (perfezionamento), nei termini e con le modalità stabilite dall’art. 8, giustificherebbe l’adozione dei normali mezzi di coercizione, e non potrebbe mettere nel nulla l’accordo in mancanza di una specifica disposizione in tal senso”.

Il riferimento (pure in sentenza) al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 12, c. 2, oltre ad essere del tutto fuor di luogo poiché la norma si riferisce, come si è già avvertito (par. 5.1), ad altro tipo d’imposta, è errato nel merito: la norma di simile contenuto, qui applicabile, è quella dell’art. 6, c. 3, u.p. (“L’impugnazione dell’atto comporta rinuncia all’istanza”), che però si riferisce ad un comportamento antecedente la conclusione dell’accordo, allorché la presentazione del ricorso contro l’atto impositivo è considerata dalla legge incompatibile con la volontà di concluderlo.

In definitiva, “dopo la firma del concordato fiscale (accertamento con adesione), il ricorso contro l’avviso di accertamento è inammissibile: non per ragioni di tempestività, ma perché l’accertamento mediante adesione, non impugnabile (D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 3, comma 4), produce le obbligazioni descritte dal successivo art. 8, sostitutive di quelle nascenti dall’atto impositivo”.

 

Il pronunciamento piemontese

La CTR regionale del Piemonte, Sez. XXXIV, con sentenza n.44 del 17 giugno 2010, in ordine alla contestata efficacia dell’atto di adesione non seguito dal relativo versamento, “si adegua alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la cui Sez. V, nella recente sentenza n.10086 del 30.4.2009, statuisce che il concordato regolarmente concluso diventa intangibile da ambo le parti, nel senso che, in linea generale, non può essere impugnato dal contribuente né può essere integrato o modificato dall’ufficio, giusta prescrizione dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs.n.218/97. Alla conclusione del concordato segue il perfezionamento della definizione che si ottiene mediante il versamento delle imposte concordate, solamente a seguito del quale l’atto impositivo perde efficacia ( art. 6, comma 4, D.lgs. citato).

Pertanto, ritenuto valido e quindi immodificabile l’atto di adesione, nell’ambito della sua natura di transazione a carattere conservativo ex artt. 6 e 9 del citato D.Lgs. e 1453 c.c. il mancato versamento delle relative imposte autorizza l’ufficio a chiederne l’adempimento. La qual cosa è stata fatta mediante notifica di accertamento coerente con le conclusioni del concordato sottoscritto, unica via percorribile per ottenerne l’adempimento, visto che dal D.Lgs. 218 non si rilevano specifiche disposizioni dirette alla reintegrazione del diritto leso mediante la riscossione coattiva a mezzo ruolo”.

 

 

Impugnabilità dell’accertamento con adesione – Brevi riflessioni

accertamento con adesioneL’intervento dei giudici piemontesi, che si attesta sulle posizioni assunte dalla Corte di Cassazione, ci impone delle riflessioni su una tematica particolare e al contempo delicata: l’impugnabilità dell’atto di accertamento, una volta che si sia sottoscritto l’accordo con il Fisco, pur non avendolo reso esecutivo.

Il principio generale che sta alla base della sentenza in esame è l’intangibilità del nuovo imponibile definito in contraddittorio fra le parti, così che l’esito dell’atto di adesione non potrà essere modificato e/o integrato dall’amministrazione, ne’ impugnato dal contribuente.

Tale efficacia preclusiva è il corollario del fatto che l’ufficio ed il contribuente hanno concordemente riconosciuto l’esattezza dell’accertamento, mancando così qualsiasi interesse ad agire.

Di conseguenza, il perfezionamento richiesto dall’art. 9 ha solo efficacia esecutiva dell’accordo, non incidendo sul quantum concordato.

Se si concorda il legame con il Fisco è indissolubile.

E questo non lo pensava neanche il Fisco che, con la circolare n. 235/97, emanata all’indomani della pubblicazione del D.Lgs.n.218/97, ad esplicazione dell’istituto, aveva affermato che “ai fini del perfezionamento dell’adesione non è sufficiente la sottoscrizione dell’atto scritto tra le parti interessate; infatti, come espressamente previsto dall’art. 9, la definizione si perfeziona con il versamento, entro venti giorni dalla redazione dell’atto, delle intere somme dovute, ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata e con la prestazione della garanzia”.

Quindi la condizione di efficacia dell’accordo non risiederebbe nell’effettività del pagamento ma dalla mera sottoscrizione dell’accordo: se si firma si paga.

 

11 gennaio 2011

Roberta De Marchi

 

NOTE

1 Si rileva che con sentenza resa dalla CTP tributaria di Vercelli (n. 14/01/09 del 9 marzo 2009), i giudici hanno affermato che qualora l’ufficio notifichi un avviso di accertamento contenente – in pratica – la pretesa relativa alle sole somme oggetto di un accertamento con adesione, sottoscritto dal contribuente e non onorato dal successivo pagamento, ogni questione di merito – eventualmente sottoposta al giudice tributario mediante ricorso ex articolo 18 Dlgs 546/1992 – resta assorbita dalla conclusione dell’accordo della stessa parte con l’agenzia delle Entrate accertatrice. Cfr. DE Marchi, La definitività dell’adesione vincola il successivo giudizio, in www.comercialistatelematico.com .