Operazioni inesistenti: fattura chi deve emettere il documento

La volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente la partecipazione a una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede.

fatture per operazioni soggettivamente inesistentiNella fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente – per la quale deve essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 del D.P.R.n.633/72, non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata – non è sufficiente addurre la generica circostanza che l’impresa abbia comunque acquistato i beni fatturati da soggetti differenti da quelli indicati in fatture, quando non è fornito alcun elemento certo e minimamente rassicurante circa la correttezza della quantificazione del costo indicato, della sua inerenza e della sua riferibilità all’anno d’imposta in contestazione.

La volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente la partecipazione a una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede.

Inoltre, la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture non è una circostanza indifferente ai fini dell’Iva: infatti, da un lato, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’Iva corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza.

Sono questi i passaggi saliente dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 23133 del 7 novembre 2011, udienza del 12 ottobre 2011.

 

 

 

Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – Brevi riflessioni

L’ordinanza che si annota – precisa e puntuale – va sulla scia di precedenti pronunciamenti con cui la Corte di Cassazione aveva già confermato il proprio orientamento in materia di fatture soggettivamente false.

Per la Corte – sentenza n. 1364 del 21.1.2011 ( ud. del 3.6.2010) -l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non è riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 41, c. 3, del D.P.R. n. 633/72, dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, nè a quella prevista dall’art. 21, c. 2, n. 1, del medesimo D.P.R., di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui è effettuata l’operazione,

“ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale dev’essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata (Cass. n. 5719 del 2007)”.

 

In particolare,

“la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzabile delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesima, circostanza quest’ultima non indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre (Cass. n. 29467/2008)”.

 

Pertanto, qualora, l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

Ogni qualvolta, quindi, l’ufficio contesti l’utilizzazione di fatture false soggettivamente non assume rilievo l’avere assolto e registrato i pagamenti, in quanto l’apparente regolarità della forma non osta all’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria della fittizietà delle operazioni.

La contestazione dell’operazione imponibile soggettivamente inesistente deve essere superata con la dimostrazione, attraverso precisi riscontri, da parte del cessionario, della propria qualità rispetto all’altruità della fatturazione, non essendo decisive a talefine lo strumento del pagamento o l’intervenuta consegna (cfr. sentenza n. 8132 dell’11 aprile 2011, ud. del 3 giugno 2010, della Corte di Cassazione).

 

In particolare, riconferma la Corte,

“la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzabile delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesima circostanza quest’ultima non indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre (Cass. n. 29467 del 2008)”.

 

Resta fermo che

“qualora, l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente, tuttavia, che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si basa la contestazione ed il giudice di merito deve prendere in considerazione tali elementi, senza limitarsi a dichiarare che essi esistono e sono tali da dimostrare la falsità delle fatture (Cass. n. 21953/2007)”.

 

Più specificamente,

“qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti; nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente – prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, che il committente – cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonchè dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi (Cass. n. 1950/2007)”.

 

Rileva, ancora, la Corte, che

“l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato va peraltro letto in coordinazione con la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE…

Nello specifico la Corte di Giustizia (sent. C – 439/04; conf. Sent. C -354/03) ha affermato che…, il diritto a deduzione previsto dal citato art. 17 della Sesta Direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell’iva e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni, essendo inteso a sgravare l’imprenditore dall’onere dell’iva dovuta o pagata nell’esercizio della sua attività economica, in applicazione del principio della c.d. neutralità dell’imposta; – ai fini del diritto del soggetto passivo alla deduzione è irrilevante (sempre per il principio di neutralità dell’imposta) se l’iva dovuta per le operazioni precedenti o successive sia stata versata o meno all’Erario; – il principio di neutralità dell’imposta non consente una distinzione generale tra le operazioni lecite e le operazioni illecite, nel senso che il diritto alla deduzione va in assoluto escluso per queste ultime, essendo necessario considerare la posizione assunta dall’operatore che richiede la deduzione; in particolare, l’imprenditore che abbia adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione posta in essere non faccia parte di una frode, deve poter fare affidamento sulla liceità dell’operazione senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell’iva pagata a monte; – ne consegue che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, il committente – cessionario conserva il diritto alla deduzione dell’imposta pagata qualora dalle circostanze del caso risulti che egli non sapeva e non poteva sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta”.

 

L’indirizzo giurisprudenziale comunitario trova evidente sostegno sia nei principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto che fanno parte dell’ordinamento CEE, sia nel già richiamato principio di neutralità dell’imposta.

I principi fissati sono i seguenti:

“1) l’iva pagata per l’operazione soggettivamente inesistente non è detraibile;

2) è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione qualora l’Amministrazione gli contesti l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti;

3) il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’iva relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha il diritto di detrarre l’iva se, a prescindere dal pagamento dell’imposta, dimostra che non sapeva e non poteva sapere di partecipare ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta; con una formula più rigorosa il medesimo principio può esser formulato così: il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, anche se pagata, relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA e, se vuole vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA, ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode dell’IVA”.

 

6 dicembre 2011

Roberta De Marchi