La presunzione dei prelevamenti dei professionisti

attenzione! In caso di indagini bancarie, anche i professionisti sono soggetti alla presunzione per cui ai prelievi non giustificati equivalgono ricavi non dichiarati

Come è noto, il comma 402, lettera a, numero 1.1, dell’articolo 1, della legge n. 311 del 30 dicembre 2004, con riferimento all’art. 32, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, ha esteso ai lavoratori autonomi la presunzione di “compensi” ai prelevamenti ed agli importi riscossi per i quali non siano stati indicati i beneficiari, sempre secondo il generale principio dell’inerenza.

In sostanza, tale norma ha esteso, ai fini delle imposte sui redditi, ai lavoratori autonomi il regime presuntivo di imponibilità oltre che alle operazioni di accredito/versamenti anche a quelle di addebito/prelevamenti o somme riscosse.

La circolare n.32/2006 – al punto 5.4. – rileva che “l’anzidetta disposizione intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente, della maggior capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e correlare tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive anch’esse effettuate presuntivamente “in nero”, nell’ambito della specifica attività esercitata; e ciò, secondo una ragionevole regola di comune esperienza che lo stesso legislatore ha tenuto presente e sulla quale ha fondato il meccanismo presuntivo che consente, a certe condizioni, addirittura di riprendere totalmente a tassazione i prelevamenti non giustificati”.

La disposizione stessa – osservano ancora gli estensori della circolare-guida n.32/2006 – è stata adottata anche in un’ottica di equità sostanziale rispetto al diverso trattamento prima riservato alle categorie imprenditoriali.

Anche con riguardo ai prelevamenti dei professionisti valgono pertanto gli stessi argomenti comunemente addotti in relazione all’efficacia probatoria dei versamenti e dei prelevamenti già consentita dalla disciplina previgente per le imprese; efficacia probatoria che non ha sinora trovato smentite da parte della giurisprudenza, neanche sotto il profilo della legittimità costituzionale. Semmai, il mantenimento dell’esclusione dei professionisti e dei loro “compensi” dall’ambito applicativo della presunzione avrebbe dato, esso, adito a forti sospetti di incostituzionalità, in quanto irragionevole discriminante tra le due categorie di contribuenti che, invece, ai fini Iva erano già trattate allo stesso modo dalla omologa disciplina dei relativi poteri istruttori di cui all’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, numeri 2 e 7.

Il fondamento economico sotteso al descritto meccanismo presuntivo, che si basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e vendita di beni, è quindi configurabile anche per i lavoratori autonomi, sebbene non vendano beni bensì prestino servizi. È, infatti, di agevole constatazione che per esercitare non poche attività professionali è proprio necessario l’acquisto di beni (i.e. acquisto di protesi o di anestetici da parte dell’odontoiatra) o comunque di servizi (i.e. pareri tecnici, consulenze specialistiche, richiesti da un legale) per rendere prestazioni, anche di natura complessa.

Del resto, precisa la circolare n. 32/2006 “la soggezione anche dei lavoratori autonomi alla regola presuntiva intende attestare nella sua essenza, semplicemente e comprensibilmente, che i prelevamenti per i quali non si può (illegalmente, come, ad esempio, per l’eventuale pagamento di tangenti) o non si vuole (per mero spirito evasivo, come per il pagamento di retribuzioni “fuori busta” o di acquisti in nero) fornire detta indicazione sono da considerare costi in nero che hanno ragionevolmente generato compensi non contabilizzati. Una regola come quella introdotta spiega la sua utilità anche per la configurazione e l’attribuzione di costi presunti a carico di una attività professionale di un soggetto controllato, per effetto dei prelevamenti che abbiano avuto una destinazione ufficiale e trasparente diversa da quella reale; e ciò al fine di eludere gli obblighi contabili del professionista per l’operazione passiva effettuata mediante l’accertato prelevamento e far assolvere a un soggetto interposto il proprio onere finanziario verso l’originario fornitore che non si ha interesse a indicare, nell’ambito di una preordinata convergenza evasiva di comune convenienza”.

Tale regola ha una chiara valenza rigoristica e deterrente “per avvisare e indurre i professionisti, non meno che gli imprenditori, a prestare particolare attenzione a una coerente rispondenza tra movimenti, compresi i prelievi in conto corrente, e registrazioni (sul registro dei compensi e delle spese o sui registri Iva sostitutivi), in quanto eventuali prelievi non annotati e per i quali non si possa o non si voglia disporre di documentazione giustificativa dei pagamenti, non risulta per nulla illogico che vengano reputati quali compensi.”

 

L’attenzione posta dalle Entrate alla norma sui prelevamenti

L’Agenzia delle Entrate, nella citata circolare n. 32/2006, pone particolare attenzione alla norma, invitando gli uffici procedenti ad astenersi “da una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dai conti correnti ma da qualsiasi altro rapporto od operazione oggi suscettibili di indagine – particolarmente rigida e formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato”.

In altri termini, è necessario un ulteriore sforzo ricostruttivo e motivato dell’ufficio che, “lungi dall’automatico trasferimento delle risultanze “patrimoniali” emerse in sede di indagini in capo al contribuente destinatario del controllo, qualifichi le stesse in senso “economico” e quindi reddituale secondo la metodologia e tipologia di accertamento in concreto adottata per l’esercizio della pretesa tributaria”.

Inoltre, la circolare n.32/2006 richiama quanto già precisato nella circolare n. 28/E del 2006, al paragrafo 7, secondo la quale “i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extraprofessionale“.

 

L’efficacia retroattiva della norma

La circolare n.32/2006 ha confermato l’efficacia retroattiva della nuova disciplina recata dalla legge (vedi anche circolare n. 10/E del 16 marzo 2005), trattandosi di norma avente natura meramente procedimentale e, quindi, applicabile anche per l’accertamento di annualità pregresse rispetto alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2005).

La norma, infatti, regolamenta il potere istruttorio dell’Amministrazione finanziaria e non direttamente le regole di determinazione e quantificazione del reddito (cfr. fra le atre Cass. n. 10538/2006).

In altri termini, “si ritiene che per gli appartenenti alla categoria dei lavoratori autonomi la modifica comportante la suddetta estensione non si risolva in un mutamento sostanziale delle regole di determinazione del reddito quanto a un suo elemento essenziale, bensì la stessa ha l’effetto di addossare ragionevolmente ai predetti contribuenti l’onere della “prova contraria” per qualsiasi operazione passiva posta in essere, anche in via episodica, in epoca in cui il sistema vigente non attribuiva alle risultanze delle operazioni medesime una valenza, sotto il profilo istruttorio, corrispondente a quella sopravvenuta. Ne consegue che l’applicazione estensiva ai lavoratori autonomi della presunzione di compensi per i prelevamenti e le riscossioni non interferisce sul rapporto tributario, ma ribalta soltanto l’onere incombente sull’Amministrazione di provare la pretesa impositiva”.

In sostanza, tale strumentazione istruttoria non risulta condizionata da alcun limite temporale, trovando applicazione quindi anche per gli anni pregressi; infatti, “l’aspettativa di una maggiore probabilità di sottrarsi alla scoperta di irregolarità o infrazioni non integra un diritto tutelabile, e, quindi, può essere vanificata dalla legge sopraggiunta che renda più ampi ed efficaci gli interventi degli organi preposti a detta scoperta” (Cassazione n. 1728/1999).

 

18 ottobre 2011

Gianfranco Antico