I reati tributari interessati dalla manovra di Ferragosto

un ripasso dei reati tributari di cui sono state diminuite le soglie che portano alla punibilità: dichiarazione frudolenta, dichiarazione infedele ed omessa dichiarazione

Il D.L.n.138 del 13 agosto 2011, appena convertito in legge, ha per diverse ipotesi ridotto le soglie di accesso al reato1.

I reati interessati dalle modifiche sono sostanzialmente quelli relativi alla dichiarazione fraudolenta, alla dichiarazione infedele ed alla dichiarazione omessa.

Attraverso la lettura della circolare allora diramata dall’Agenzia delle Entrate – n.154/E del 4 agosto 2000 – vediamo quando possono sussistere tali reati.

 

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

In generale, la fattispecie della dichiarazione fraudolenta si fonda su documentazione falsa ovvero su altri artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile, caratterizzandosi, rispetto alla dichiarazione infedele, per la sua “insidiosità“, dal momento che la rappresentazione non veritiera dei dati è supportata da un impianto documentale artefatto.

Il D.Lgs. n. 74 del 2000 ha previsto due autonome ipotesi di dichiarazione fraudolenta, a seconda che la falsa dichiarazione si fondi su fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2) o su artifici di altra natura (articolo 3).

L’articolo 2 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti emessi per operazioni inesistenti.

In sostanza, la fattispecie in esame reprime il comportamento di chi “gonfi” fraudolentemente le componenti negative, in modo da abbattere l’imponibile.

Soggetto attivo del delitto è chiunque sottoscriva o presenti una dichiarazione fraudolenta, a prescindere dalla qualificazione di soggetto passivo d’imposta e dalla titolarità dei redditi o dall’intestazione dei beni oggetto della dichiarazione. Infatti, ai sensi delle lettere c ed e dell’articolo 1, l’autore del reato può essere il liquidatore od il rappresentante legale di società, enti e persone fisiche, relativamente alle dichiarazioni da loro presentate in tale veste.

La configurazione del delitto de quo è subordinata alla realizzazione di due comportamenti consequenziali e necessari:

1) innanzitutto, è richiesto che l’autore si avvalga di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (registrazione della documentazione rilevante ai sensi della lettera a dell’articolo 1 nelle scritture contabili obbligatorie e nella detenzione della stessa a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Quest’ultima modalità, precisa la c.m.n.154/2000, si riferisce alla massa indifferenziata dei contribuenti (anche a quelli non obbligati alla tenuta delle scritture contabili); essa ricorre, tra l’altro, nel caso di detenzione di fatture e di altri documenti per provare gli oneri o le spese deducibili o detraibili, indicati in dichiarazione; tra gli altri documenti possono annoverarsi l’autofattura, la ricevuta fiscale, gli scontrini fiscali, emessi ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 696 del 1996, le schede carburante, le note di variazione previste dall’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 e le ricevute ed altri documenti attestanti comunque oneri, spese e costi, fittizi;

2) il secondo comportamento integrativo della condotta consiste nella presentazione della dichiarazione contenente l’indicazione di elementi passivi fittizi: ciò implica che la mera “utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” non integra gli estremi della figura delittuosa in esame. Le dichiarazioni costituenti l’oggetto materiale del reato sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali Iva; di conseguenza, sono, ad esempio, escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni prodotte ai fini dell’Irap, le dichiarazioni periodiche Iva e le dichiarazioni di successione. Se la dichiarazione presentata in forma unificata a norma dell’art. 3 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, accoglie più dichiarazioni prodotte ai fini delle imposte dirette, dell’Iva e dell’Irap, acquistano rilievo solo le violazioni in materia di imposte dirette e di Iva.

 

Oltre al dolo generico, consistente nella coscienza e volontà dell’azione, è necessario il dolo specifico; si richiede cioè che l’autore abbia agito con il proponimento di evadere le imposte, di conseguire un indebito rimborso, di ottenere il riconoscimento di crediti d’imposta inesistenti.

Il delitto si consuma con la presentazione della dichiarazione entro i termini stabiliti dalla legislazione tributaria e comunque con ritardo non superiore a novanta giorni. La fattispecie delittuosa si realizza a prescindere dall’effettiva evasione dell’imposta come sopra definita.

 

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

La seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta prevista dall’art. 3 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto, indica, in una delle dichiarazioni prodotte per dette imposte, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, mediante mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento.

Rileva l’A.F. che l’elemento che distingue questa ipotesi di reato da quella della dichiarazione infedele, prevista al successivo art. 4, è la presenza di una condotta insidiosa, derivante dall’impiego di artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile e, dunque, ad ostacolare l’attività di accertamento.

I soggetti attivi del reato possono essere, a differenza di quelli individuati dal precedente articolo 2, solamente coloro che sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, come si rileva dal contenuto testuale della norma, che fa riferimento alla “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie“.

La condotta è riconducibile al genere delle fattispecie a formazione progressiva, nel senso che si articola in almeno due fasi: alla violazione degli obblighi contabili che determina una falsa rappresentazione della contabilità, attraverso l’utilizzo di modalità particolarmente artificiose e insidiose, tali da costituire un ostacolo all’accertamento della reale situazione contabile (prima fase), deve dar seguito la presentazione di una dichiarazione annuale, la quale, sulla base della contabilità precedentemente artefatta, contenga elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi (seconda fase).

La semplice violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione, pur se finalizzata a evadere le imposte, non è sufficiente di per sé ad integrare il delitto in esame, dovendosi verificare, nel caso concreto, se essa, per le modalità di realizzazione, presenti un grado di “insidiosità” tale da ostacolare l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Al riguardo, può essere decisiva la presenza di violazioni sistematiche e continue o la tenuta di una contabilità “in nero” o l’utilizzo di conti correnti bancari per le operazioni destinate a non essere contabilizzate.

Secondo un’ interpretazione restrittiva, la nozione di “elementi passivi fittizi” dovrebbe ricomprendere le sole componenti negative inesistenti.

Tuttavia, la circolare n.154/2000 la pone in rilievo che il successivo art. 7 del D.Lgs. n. 74/2000 che attribuisce rilievo alle violazioni dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, con riferimento espresso all’ipotesi di reato di cui all’articolo 3. Se ne inferisce la possibile rilevanza, quali elementi passivi fittizi, delle componenti negative “non competenti“, qualora siano rilevate nelle scritture contabili in assenza di “metodi costanti di impostazione contabile“.

La configurazione del delitto in esame – a differenza dell’ipotesi di dichiarazione fraudolenta disciplinata dall’art. 2 – è subordinata al superamento congiunto di due soglie di punibilità, le quali rappresentano elementi costitutivi del reato e, in quanto tali, devono essere investiti dal dolo.

La stessa norma precisa che la sottrazione all’imposizione può realizzarsi, oltre che attraverso la sottoindicazione delle componenti attive, anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi.

La consumazione del reato, comune a tutti i delitti del Capo I del decreto, si verifica nel momento della presentazione delle dichiarazioni annuali, nei modi e termini prescritti dalla legge e, comunque, con ritardo non superiore a novanta giorni.

L’elemento soggettivo è qualificato da dolo specifico, consistente nell’intento di evadere le imposte, come definito dall’articolo 1, lettera d.

 

Dichiarazione infedele

L’art. 4 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi.

La struttura della fattispecie ricalca quella di cui all’art. 3, differenziandosene, come si è visto, per l’assenza di un “impianto” fraudolento di artifizi diretti ad ostacolare il potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria.

Il reato può essere commesso da qualunque contribuente, anche non obbligato alla tenuta della contabilità.

La condotta consiste nella indicazione in dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi, a prescindere dall’inserimento di detti dati nelle scritture e libri contabili.

Relativamente alla nozione di “elementi passivi fittizi”, valgono le considerazioni svolte in ordine al reato di cui all’art. 3.

L’oggetto materiale del reato è, come per l’ipotesi di cui all’art. 3, rappresentato dalla dichiarazione annuale in materia di imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

La consumazione del reato coincide anche in questa ipotesi col momento della presentazione della dichiarazione annuale, nei modi e nei termini prescritti dalla legge e, comunque, con ritardo non superiore a novanta giorni.

L’elemento soggettivo, caratterizzato dal dolo specifico, richiede la coscienza e volontà di indicare nelle dichiarazioni annuali dati e notizie false, al fine di evadere il pagamento dei tributi dovuti.

Pertanto, l’inserimento di dati non veritieri nella dichiarazione annuale imputabile a titolo di colpa, per un errore dovuto all’inosservanza delle regole di diligenza, prudenza e perizia, non ha alcuna rilevanza penale, comportando, soltanto, l’applicazione di sanzioni amministrative.

 

Omessa dichiarazione

Con l’ipotesi prevista dall’articolo 5 è punito chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, omette di presentare una delle dichiarazioni annuali ai fini di dette imposte, pur essendovi obbligato.

Trattasi di un reato omissivo proprio che può essere realizzato da chiunque sia obbligato, secondo la normativa tributaria, alla presentazione delle dichiarazioni annuali in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto.

La consumazione del delitto, per effetto del comma 2, si realizza con l’inutile decorrenza di novanta giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione.

La configurazione del reato, per espressa disposizione contenuta nel citato comma 2, è esclusa nelle ipotesi di dichiarazione presentata ma non sottoscritta o non redatta su stampato conforme a quello approvato con decreto ministeriale.

L’elemento soggettivo, comune alle altre fattispecie finora illustrate, è il dolo specifico, consistente, come più volte ricordato, nella volontà di evadere le imposte.

 

5 ottobre 2011

Francesco Buetto

1 Vedi BUETTO, Ridotte le soglie per i reati penali, in www.https://www.commercialistatelematico.com, 6 settembre 2011