Morte dell'agente di commercio: gli adempimenti fiscali degli eredi

Come gestire (da parte degli eredi) la chiusura dell’attività di agente di commercio? Analisi di un caso pratico…

Gli adempimenti fiscali degli eredi dell’agente di commercio

La presente indagine intende esaminare, attraverso l’elaborazione di un caso pratico, gli adempimenti fiscali e contabili che gli eredi di un rappresentante di commercio defunto devono porre in essere per liquidare l’attività.

 

CASO PRATICO

Si suppone che, al decesso di un agente di commercio – esercente impresa individuale in regime di contabilità semplificata – si presenti la seguente situazione contabile:

  • proprietà di un immobile, categoria A/10 adibito ad uso ufficio riscattato da contratto di leasing nell’anno 2010;

  • arredamenti per ufficio e macchine per ufficio ammortizzate fiscalmente al 90%,

  • proprietà di una autovettura con valore contabile residuo da ammortizzare;

  • provvigioni maturate alla data del decesso e non ancora fatturate.

 

Aspetti IVA

eredi di un agente di commercioSecondo le disposizioni contenute nell’art. 35-bis, c. 2, D.P.R. 29.09.1972, n. 633, per le operazioni di liquidazione dell’azienda effettuate dagli eredi dell’imprenditore, resta ferma la disciplina prevista dallo stesso decreto.

A ben vedere, la lettera della legge fornisce alcuna indicazione pratica in merito al comportamento da tenere ove gli eredi intendano procedere alla liquidazione dell’azienda pervenuta per successione, né, peraltro, si registrano specifici interventi sulla questione da parte della stessa Amministrazione finanziaria.

Alcune utili indicazioni, si ricavano, tuttavia, dalle istruzioni alla compilazione della modulistica relativa ad avvio/variazione e cessazione di attività.

In particolare, secondo le istruzioni alla compilazione del quadro E del modello AA9 (persone fisiche e lavoratori autonomi) quando l’erede o gli eredi non intendano proseguire l’attività del contribuente deceduto, non devono compilare il quadro E ma il quadro D con l’indicazione del codice di carica 7.

In questa ultima ipotesi i tipi possibili di dichiarazione del quadro A sono:

  • tipo 2, se l’erede o gli eredi non cessano contestualmente l’attività per effetto della liquidazione dell’azienda;
  • tipo 3, se l’erede comunica la cessazione dell’attività con conseguente chiusura della partita IVA del contribuente deceduto.

 

In entrambi i casi sopra indicati va riportata la partita IVA del contribuente deceduto e come data di variazione o di cessazione quella del decesso.

Premesso ciò, ed avendo ben a mente il principio sancito nel menzionato art. 35-bis comma 2, D.P.R. n. 633/1972, secondo cui alle operazioni di liquidazione del patrimonio aziendale compiute dagli eredi è applicabile l’ ordinaria disciplina IVA, si ritiene, in via interpretativa che:

  1. la vendita a terzi dell’autovettura e degli arredi per ufficio dovrà essere ordinariamente soggetta ad IVA in base al corrispettivo dovuto, trattandosi di normale cessione a titolo oneroso,

  2. l’assegnazione dei locali immobiliari – già destinati ad ufficio dell’agente deceduto e per i quali è stata a suo tempo detratta l’IVA sui relativi canoni – resti estranea alla fattispecie impositiva cd di <autoconsumo esterno > contenuta nell’art.2, c. 5, D.P.R. n.633/72, in quanto così come chiarito dalla relazione ministeriale allo schema di decreto n. 687/1974 esulano dall’ambito di tale disposizione le destinazioni conseguenti alla cessazione dell’attività d’impresa per causa morte non potendosi, tali destinazioni, considerare come fatti rilevanti ai fini IVA.

 

Sotto il profilo degli adempimenti da attuare per l’assegnazione dei locali sembrerebbe lecita l’emissione di apposito documento (non rilevante ai fini IVA) con cui si dà atto dell’assegnazione dei locali all’erede assegnatario al mero valore contabile (verosimilmente pari al prezzo di riscatto).

Altro problema da verificare e risolvere riguarda il trattamento IVA delle provvigioni riscosse dagli eredi e relative a servizi di mediazione eseguiti dall’agente di commercio, anteriormente al suo decesso.

Secondo la normativa prevista dall’art. 35-bis, co. 1, D.P.R. n. 633/1972, gli eredi del contribuente deceduto possono adempiere entro sei mesi dalla data della morte, gli obblighi di fatturazione, registrazione, liquidazione dichiarazione periodica, dichiarazione annuale, relativamente alle operazioni effettuate dallo stesso contribuente deceduto, anche se per tali operazioni i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima dalla data del decesso.

L’impiego dell’inciso normativo “…operazioni effettuate…” consente di attrarre nell’ambito di operatività della disposizione in esame, tutte quelle transazioni commerciali per le quali si è cristallizzato il momento di esigibilità dell’imposta.(cfr. art. 6 D.P.R. n. 633/1972).

Più nel concreto, ci si chiede: quale comportamento dovranno adottare gli eredi all’atto della percezione delle provvigioni relative a servizi di mediazione resi dall’imprenditore anteriormente al decesso e per i quali non è stata, invece, rilasciata alcuna fattura ?

A tale problematica la prassi adottata dagli uffici finanziari (cfr. pareri forniti dall’Ufficio IVA di Milano ai quesiti formulati da ASSOLOMBARDA, “Il Sole 24 ore”, 21.3.1996 pag. 17) ha raggiunto le seguenti conclusioni:

  • il regime di responsabilità previsto dal citato art.35 c. 1, concerne esclusivamente le “… operazioni effettuate, cioè quelle per cui si è verificato il momento impositivo ex art.6 del D.P.R. n.633/72…”;

  • le operazioni eseguite “… dall’agente deceduto e non fatturate al momento del decesso non si considerano effettuate, in quanto la riscossione dei corrispettivi relativi alle prestazioni rese dall’agente di commercio avviene successivamente alla sua morte…”;

  • “… si ritiene quindi che per tali prestazioni non sussistono obblighi IVA in capo all’erede, persona fisica, il quale, quindi, non assume la qualifica di soggetto IVA…”;

  • l’erede, avrà, quindi, “… diritto alla percezione dei crediti vantati dall’agente deceduto nei confronti dei suoi debitori, con semplici ricevute o comunque, con una documentazione non rilevante ai fini IVA…”.

 

La posizione assunta dall’organo periferico dell’Amministrazione finanziaria risulta, peraltro, conforme all’orientamento espresso dal Ministero delle finanze, anteriormente all’introduzione del più volte citato art. 35 bis, D.P.R. n. 633/1972.

In dettaglio, con R.M. 5.6.1973 n. 501918, venne chiarito come nel caso di decesso del titolare di un’impresa avvenuto in un momento antecedente il verificarsi del momento impositivo,

“… poiché l’impresa ha cessato di esistere per effetto della morte del suo titolare, non vi è dubbio che i corrispettivi pagati agli eredi e riguardanti prestazioni rese dall’imprenditore deceduto, devono considerarsi fuori del campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto per assenza del presupposto soggettivo…”.

La soluzione elaborata in via amministrativa, alla quali si aderisce, solleva, pertanto, gli eredi dal porre specifici adempimenti IVA in caso di riscossione di provvigioni, in quanto risulta, per essi, assente il presupposto soggettivo richiesto ai fini dell’imposizione, potendo, dunque certificare gli incassi mediante rilascio di semplice quietanza.

 

 

Aspetti REDDITUALI

La fase di disgregazione del complesso aziendale caduto in successione è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte della dottrina specializzata e della giurisprudenza.

Il dibattito interpretativo ha trovato nuova linfa a seguito dell’entrata in vigore della disciplina normativa sui trasferimenti gratuiti d’azienda recata dall’art. 3, c. 25, L. 23/12/1996, n. 662 che,

  1. ha escluso la fattispecie del realizzo di plusvalenze in caso di trasferimento di azienda per causa morte, (art.58, c.1, D.P.R. 22.12.1986, n. 917) per cui il plusvalore maturato sull’azienda (e/o sui beni di essa facente parte) fino alla loro caduta in successione non è oggetto di tassazione

  2. ha, invece, attratto, nell’ambito dei redditi diversi, le eventuali plusvalenze realizzate mediante cessione, anche parzialedell’azienda acquisita per successione (art. 67, c. 1 lett. h-bis, D.P.R. n. 917/86)

Secondo una interpretazione letterale della disposizione in commento, per cessione “… anche parziale…” dell’azienda dovrebbe intendersi cessione dei singoli beni facenti parte dell’azienda stessa.

Pertanto, in piena adesione al pensiero espresso da attenta dottrina1 si ritiene ove gli eredi non proseguano l’attività d’impresa, la disciplina applicabile alla cessione dei beni componenti il complesso aziendale sarà quella relativa ai redditi diversi ex art. 67, c.1, lett. h-bis, D.P.R. n. 917/1986.

Premesso ciò, con riguardo alla casistica proposta, si ritiene escluso da imposizione in capo all’erede assegnatario il plusvalore maturato sui locali destinati ad ufficio ad esso destinati, mentre resta soggetta ad imposizione quale reddito diverso, nei confronti degli eredi cessionari, la plusvalenza realizzata sulla vendita dell’autovettura e dell’arredamento e misurata dalla differenza tra corrispettivo di vendita e valore netto contabile, (art.71, c. 2, D.P.R. n. 917/1986).

Per quanto concerne, infine, le provvigioni maturate alla data del decesso e non ancora fatturate, in conformità all’opinione resa da autorevole dottrina di fonte ministeriale2 si sostiene che dette provvigioni saranno, comunque, imputabili per competenza al soggetto defunto, nell’anno solare in cui è sorto il relativo diritto.

Più nello specifico, le provvigioni maturate secondo il noto principio reddituale della competenza, restano possedute dallo stesso agente già anteriormente alla data del decesso, senza, che s’integri alcun presupposto di tassazione nei riguardi degli eredi che rimangono del tutto estranei alla fase di acquisizione del possesso delle provvigioni, coincidente con la maturazione del diritto di credito, restando, dunque, ininfluente la riscossione dello stesso credito trasferito per successione.

In tal senso, depone lo stesso art.7, c. 3, D.P.R. n. 917/1986, laddove considera imputabili nei confronti degli eredi i soli redditi tassabili nel periodo d’imposta secondo il cd principio “di cassa” (ovvero per i soli redditi di capitale, lavoro dipendente, lavoro autonomo, diversi) e non anche per quelli tassabili secondo il predetto criterio di competenza (redditi d’impresa e in parte quelli fondiari).

 

9 luglio 2011

Attilio & Antonino Romano

 

NOTE

1 Cfr. L. Lovecchio, I trasferimenti gratuiti d’azienda dopo la Legge 662/96, “Bollettino tributario” 1997, pagina 431.

2 Cfr. Leo, Monacchi, Schiavo “Le imposte sui redditi”, 1999, pag. 1672.