Verbale efficace solo se sottoscritto

Se i verificatori omettono di sottoscrivere il P.V.C., allora il relativo avviso di accertamento è nullo perchè è nullo il P.V.C. sottostante.

 

Il processo verbale di constatazione che non contenga la firma del verificatore né quella del soggetto sottoposto a verifica e sia privo dell’attestazione di conformità all’originale non ha valore di prova e, pertanto, da considerarsi invalido.

Quanto precede è contenuto nella sentenza n. 25/8/2011 depositata il 4 marzo 2011 della C.T.R. di Bari da cui emerge che l’avviso di accertamento è nullo se nel corso del giudizio è stato esibito lo stralcio di un processo verbale di constatazione.

 

Fattispecie

Una società a responsabilità limitata, esercente attività di compravendita di autovetture nuove ed usate, ha impugnato l’avviso di accertamento notificatogli dall’ufficio finanziario in cui veniva contestava l’indetraibilità dell’IVA esposta in alcune fatture di acquisto, in quanto inerenti ad operazioni inesistenti. Da quanto precede i verificatori hanno ricavato la previsione che la società fosse il terminale di una frode “carosello” e che non potesse detrarre l’IVA addebitata dal fornitore1. In particolare, nell’accertamento si richiamava un verbale redatto nei confronti di un fornitore della società che importava autovetture in ambito comunitario senza versare l’imposta, addebitando regolarmente l’imposta nelle fatture di vendita. La Commissione adita ha accolto il ricorso atteso che agli atti del processo non era allegato il verbale richiamato nella motivazione dell’atto impugnato. Pertanto i giudici di primo grado, attesa l’impossibilità di verificare il contenuto dell’atto (verbale) su cui si fondava la pretesa erariale, hanno dichiarato la nullità dell’accertamento. L’ufficio ha proposto appello producendo in giudizio uno stralcio del verbale in esame e ribadendo la stessa linea difensiva sostenuta in primo grado.

 

Stralcio del verbale: non equivale a copia conforme

I giudici tributari di appello hanno affermato preliminarmente che il secondo grado di giudizio non ha la finalità di un nuovo giudizio, ma di revisione del primo grado e che il processo tributario si differenzia da quello civile per la sua natura essenzialmente documentale.

Gli stessi giudici, pur ammettendo il deposito del documento in questione, hanno ritenuto lo stesso inefficace in quanto costituito da un mero stralcio del processo verbale di constatazione: quest’ultimo non conteneva, infatti, le firme degli estensori, né quella del rappresentante legale della società destinataria e né l’attestazione di copia conforme all’originale, non presentando, quindi, i requisiti di regolarità richiesti dalla legge ai sensi dell’art. 2700 c.c. (Efficacia dell’atto pubblico). In altri termini l’ufficio finanziario aveva l’onere di fornire in sede processuale la prova delle pretese sostanziali, e tale onere è assoggettato a verifica da parte del giudice tributario.

A tale riguardo la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez I civ, 23 maggio 19179, n. 2990) ha abbandonato la tesi della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, per cui la pubblica amministrazione, ove intenda far valere la propria pretesa nei confronti del contribuente, deve fornire in giudizio la prova dei fatti del proprio diritto, mentre incombe al destinatario dell’atto l’onere della prova dei fatti modificativi o estintivi.

Sul tema oggetto della sentenza de quo, si evidenzia che la copia è una mera riproduzione dell’originale senza attestazione di conformità all’originale, mentre la copia conforme è un atto o un documento che ne riproduce un altro (originale), emesso, in particolare, da una pubblica amministrazione o da un pubblico ufficiale, la cui corrispondenza all’originale è attestata dalla dichiarazione formale di un pubblico ufficiale per legge autorizzato a tali funzioni (cfr. Cass, Sez. Trib, 21 gennaio 2004, n. 935).

L’operazione con la quale si conferisce alla copia l’attestazione di conformità all’originale è chiamata “autentica” (e si parla infatti anche di “copia autentica”) se dall’attestazione conseguono particolari effetti giuridici che la rendono equipollente all’originale; la copia è invece detta “semplice” quando, pur attestandone la conformità in modi analoghi, la qualità dell’atto resti meramente documentaria. Occorre sottolineare che il codice civile disciplina la probatorietà delle copie agli articoli 2714 e seguenti, con particolare riguardo alla pubblica fede.

Nella fattispecie il documento, seppur formato di n. 25 pagine, era comunque privo degli allegati riguardanti i rapporti commerciali con i terzi, per cui non valido a suffragare la pretesa dell’ufficio. I giudici di merito, nel ritenere che al fine della dichiarazione di nullità dell’atto impositivo non rileva la necessità di indicare i mezzi probatori, oltre alla motivazione, hanno affermato che non può escludersi che l’ufficio sia tenuto, anche nel corso del tempo, a dimostrare la fondatezza della pretesa sulla base di documenti o presunzioni utilizzate in sede di accertamento. Ed inoltre che il giudice tributario, stante la connotazione della sua imparzialità, non può rimediare alla inattività delle parti avvalendosi dei poteri istruttori riconosciuti allo stesso dall’art. 7 D.lgs. n. 546/1992 per cui quest’ultimo può solo approfondire i fatti dedotti dalle parti.

 

22 giugno 2011

Enzo Di Giacomo

1 Cass. 20 maggio 2011, n. 11231. In tema di lotta alle frodi “carosello” emerge che l’accertamento IVA può essere sostituito da un secondo atto impositivo anche se si basa su verbali della Guardia di Finanza inerenti ad altre ditte del gruppo.