Revisione dell'assegno di divorzio: esecutività della sentenza e deducibilità

Vediamo quali sono le regole fiscali relative all’assegno di divorzio, anche nell’ipotesi che l’assegno possa subire variazioni nel corso del tempo.

aspetti fiscali e deducibilità dell'assegno di divorzioLe condizioni economiche del divorzio possono sempre essere modificate alla luce di un radicale cambiamento di vita che ha mutato le possibilità di uno dei coniugi.

Tuttavia, la sentenza di modifica è difficile da far rispettare, in quanto, in mancanza di un’espressa clausola apposta dal giudice, la decisione non è immediatamente esecutiva e, quindi, non è un titolo valido per ottenere il pignoramento dei beni del coniuge inadempiente.

Con la presente andremo, dunque, ad analizzare la tematica della modifica delle condizioni di divorzio e separazione nelle varie ipotesi di sopravvenienza di fattori che potrebbero incidere positivamente o negativamente sulla revisione delle condizioni.

Verrà trattata la problematica della esecutività della sentenza di modifica e la deducibilità dell’assegno di divorzio.

 

 

L’assegno di divorzio al coniuge 

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale può prevedere un assegno di divorzio a favore del coniuge sprovvisto di mezzi adeguati o che si trovi nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Di seguito, dunque, ad analizzare le seguenti tematiche:

Deducibilità dell’assegno di divorzio:
  •  assegno al coniuge e assegno alla prole
  • quantificazione dell’assegno
  • privacy e accesso agli atti
  • somma periodica
  • somma “una tantum”
  • trattenuta sulla pensione
  • risoluzione
  • analisi e commento sentenza

 

Criteri e versamento dell’assegno di divorzio

Nel liquidare l’assegno di divorzio il giudice deve tenere in conto taluni criteri fissati dalla legge:

🠆 le ragioni della decisione, ovvero bisogna accertare la causa che determina la rottura del rapporto (cd. criterio risarcitorio);

🠆 il contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune (cd. criterio compensativo);

🠆 le rispettive condizioni dei coniugi ed il reddito di entrambi, in modo da valutare il pregiudizio che può causare ad uno dei coniugi lo scioglimento del matrimonio (cd. criterio assistenziale).

L’assegno può essere concesso quando sussista una di queste tre componenti.

L’assegno deve essere versato dal momento del passaggio in giudicato della sentenza, oppure può essere richiesto successivamente, se siano mutate le condizioni di vita di uno dei divorziati (ad esempio, sussistenza di un oggettivo stato di bisogno).

L’assegno di divorzio può essere corrisposto solo se l’ex coniuge beneficiario non abbia mezzi adeguati o sia nell’impossibilità di fatto di procurarseli per ragioni oggettive.

Le parti possono anche concordare che l’assegno di divorzio venga corrisposto “una tantum”, cioè in un’unica soluzione. Il tribunale dovrà verificare che l’ammontare dell’assegno sia equo ed adeguato.

 

Assegno divorzile una tantum

L’assegno divorzile può, dunque, essere liquidato in una sola soluzione (“una tantum”), previo accertamento del tribunale sulla congruità della somma offerta.

In tali casi viene meno qualunque diritto della parte che lo ha ricevuto a proporre ulteriori richieste di natura economica.

Ad esempio, il beneficiario non potrà chiedere un aumento dell’assegno di divorzio, anche se mutano le condizioni degli ex coniugi, né potrà vantare pretese sul trattamento di fine rapporto percepito dall’ex coniuge; l’obbligato, d’altra parte, non potrà chiedere la riduzione dell’assegno, anche se peggiorano le sue condizioni economiche.

Inoltre, in tali casi il coniuge non potrà vantare alcun diritto in ambito successorio.

 

Assegno divorzile periodico 

Oppure corrisposto periodicamente. Il coniuge che lo riceve, in caso di morte dell’ex coniuge, potrà ottenere una quota dell’eredità proporzionale alla somma percepita con assegno mensile, e vedersi riconosciuto automaticamente il diritto alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa.

 

Rinuncia all’assegno di divorzio

La legge disciplina, inoltre, la rinuncia all’assegno, ma anche in questo caso, se sopraggiunge uno stato di bisogno, sarà possibile revisionare le decisioni assunte precedentemente dal tribunale.

 

Deducibilità dell’assegno divorzile

L’assegno di mantenimento assume, dal punto di vista fiscale, due diversi connotati.

Infatti, la disciplina fiscale interessa sia l’ex coniuge che lo eroga che quello che lo riceve.

In particolare, vale la pena di ricordare che:

  • l’articolo 10, del TUIR, al comma 1, lettera c) riporta tra gli oneri deducibili “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”;
  • l’articolo 50, comma 1, lettera i) del TUIR fa rientrare tra i redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente “i) gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro, compresi quelli indicati alle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 10 tra gli oneri deducibili ed esclusi quelli indicati alla lettera c) del comma 1 dell’art. 41”.

Per chi eroga l’assegno è possibile, dunque, portare tale somma in deduzione dal proprio reddito complessivo nella dichiarazione Unico.

Invece, in caso di separazione di fatto poiché non c’è alcun obbligo legale di corrispondere gli assegni, se essi vengono comunque corrisposti non è possibile dedurli.

Non si possono nemmeno dedurre gli assegni o la parte degli assegni destinati al mantenimento dei figli. Se il provvedimento dell’autorità giudiziaria non distingue la quota dell’assegno periodico destinata al coniuge da quella per il mantenimento dei figli, l’assegno si considera destinato al coniuge per metà del suo importo.

Occorre, inoltre, prestare molta attenzione alle modalità con le quali l’assegno viene erogato.

 

Deducibilità dell’assegno una tantum

Sulla base della formulazione letterale della norma, l’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza non ammettono la deducibilità dell’assegno versato una tantum.

Infatti, nel caso in cui all’ex coniuge vengono corrisposte somme in unica soluzione, esse non sono deducibili.

Secondo la giurisprudenza (Cassazione, sent. n. 16462/2002; sent. n. 23659/2006), l’assegno versato in un’unica soluzione non può essere considerato come un reddito assimilato a quelli di lavoro dipendente in quanto non rientrante nella definizione contenuta nella predetta lettera c) dell’articolo 10.

Infatti, la somma erogata una tantum, a titolo di capitale, a seguito di divorzio, non integra gli estremi dell’onere continuativo che ricade direttamente sul reddito, poiché non assolve a quel mantenimento periodico che è l’unica forma ammessa alla deducibilità fiscale.

Di conseguenza, l’assegno in unica soluzione avrebbe natura prevalentemente risarcitoria e perciò non imponibile per chi lo riceve e non deducibile per chi lo corrisponde.

Come evidenziato dalla ris. Agenzia delle Entrate 11.6.2009 n. 153/E, gli assegni una tantum

“rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi”.

Dunque, nessuna rilevanza reddituale ha l’assegno corrisposto in unica soluzione.

La ris. Agenzia delle Entrate 11.6.2009 n. 153/E ha, inoltre, chiarito che l’indeducibilità dell’assegno riguarda anche l’ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo:

  • il cui versamento venga frazionato in un numero definito di rate;
  • qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di presentare una “successiva domanda di contenuto economico”.

In tal caso, infatti, la possibilità di rateizzare il pagamento costituisce solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va, quindi, confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo.

 

Deducibilità dell’assegno periodico

quantificazione assegno di divorzioLa deducibilità spetta, invece, per gli assegni periodici corrisposti al coniuge.

Tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo l’art. 10 del Tuir richiama, alla lettera c), “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.

Alla luce del dettato normativo, pertanto, ai fini della deducibilità dell’assegno da parte del coniuge che lo corrisponde è necessario:

🠆 che la somma sia determinata in sede giudiziale, non essendo possibile dedurre gli assegni corrisposti volontariamente;

🠆 che la corresponsione avvenga periodicamente e non in unica soluzione.

Gli assegni così erogati costituiscono, per il percipiente, reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50, c. 1, lett. i, del Tuir.

Inoltre, se il provvedimento giudiziario non distingue la quota per l’assegno periodico destinata al coniuge da quella per il mantenimento dei figli, l’assegno si considera destinato al coniuge per metà del suo ammontare.

La ris. Agenzia delle Entrate 15.6.2009 n. 157/E ha chiarito che rimangono deducibili gli importi corrispondenti agli assegni periodici che risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, ma che non vengono materialmente pagati in quanto compensati con crediti vantati nei confronti del coniuge separato o divorziato beneficiario degli stessi.

Parallelamente, nei confronti del coniuge separato o divorziato, gli assegni spettanti continuano ad avere rilevanza reddituale, ancorché non aterialmente percepiti per effetto dell’intervenuta compensazione.

La circ. Agenzia delle Entrate 12.6.2002 n. 50/E ha, invece, negato la deducibilità, ai sensi dell’art. 10 c. 1 lett. c del TUIR, delle somme pagate da un coniuge separato in relazione alle rate di mutuo contratto per l’acquisto della casa coniugale di  competenza dell’altro coniuge, con corrispondente rinuncia di quest’ultimo all’assegno mensile di mantenimento.

In tal caso, infatti, non sussiste una compensazione tra crediti e debiti (in quanto l’altro coniuge ha rinunciato all’assegno di mantenimento), ma si tratta di una specifica regolamentazione dei rapporti patrimoniali dei coniugi nell’ambito della separazione consensuale.

In questa ipotesi, si verte più nell’ambito di una sorta di corresponsione dell’assegno “in natura”, piuttosto che in quella della compensazione.

La deducibilità si estende anche all’adeguamento automatico dell’assegno periodico, ai sensi dell’art. 5 c. 7 della L. 1.12.70 n. 898, ma solo nel caso in cui la sentenza del giudice preveda un criterio di adeguamento automatico dell’assegno dovuto al coniuge.

Resta, invece, esclusa la possibilità di dedurre importi corrisposti volontariamente al fine di sopperire alla mancata indicazione da parte del Tribunale di meccanismi di adeguamento dell’assegno.

 

Deducibilità degli assegni mantenimento dei figli

Gli assegni di mantenimento dei figli sono esclusi dalla base imponibile IRPEF (art. 3 c. 3 lett. b del TUIR).

Qualora dalla sentenza non emerga la quota dell’assegno periodico destinato al mantenimento dei figli, la stessa si intende stabilita nella misura del 50% (art. 3 del DPR 4.2.88 n. 42), a prescindere dal numero di figli.

 

Esempio

Se al coniuge separato viene corrisposto un assegno pari a 700,00 euro mensili, comprensivo della quota per il mantenimento dei figli, l’importo deducibile è sempre pari a 4.200,00 euro (700,00 x 12 x 50%), indipendentemente dal fatto che i figli siano uno, due o più.

 

La giurisprudenza sugli assegni divorzili periodici o una tantum

La questione del diverso regime fiscale applicabile agli assegni corrisposti al coniuge, a seconda che abbiano carattere periodico o di “una tantum”, è stata più volte sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 383 del 6 dicembre 2001, e più di recente con ordinanza n. 113 del 29 marzo 2007, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del Tuir nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell’Irpef, dell’assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione.

In particolare, la Corte Costituzionale, nell’ordinanza del 2001, ha affermato che le

“due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.

Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come:

  • “l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una revisione, in aumento o in diminuzione;
  • mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente”.

 

Alla luce di quanto affermato, la Corte ha rilevato come la scelta del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione tributaria per l’assegno periodico rispetto a quella riservata all’erogazione una tantum non debba considerarsi irragionevole.

Anche la Corte di Cassazione si è espressa più volte in maniera conforme (si veda sent. n. 16462/2002; sent. n. 23659/2006).

Con la pronuncia della Cassazione n. 10323 del 10 maggio 2011 è stato stabilito che l’assegno di divorzio, per il mantenimento dell’ex coniuge, è deducibile solo se derivi da una decisione del coniuge, a nulla rilevando la successiva misura concordata privatamente dai coniugi.

Un contribuente aveva dedotto dal suo reddito imponibile i 90 mila euro versati alla ex moglie a titolo di assegno di divorzio. Tuttavia, la revisione era stata concordata dai due con una scrittura privata e non era, quindi, stata disposta dall’autorità giudiziaria. In particolare, il contribuente osservava l’illogicità di non attribuire ai patti revisionali, raggiunti privatamente dai coniugi, lo stesso regime fiscale dell’assegno di mantenimento determinato giudizialmente.

 

La Corte è tornata sul tema degli oneri deducibili dal reddito, sostenendo che

“l’art. 10, lett. c D.P.R. n. 917/86, limita la deducibilità solo agli assegni periodici corrisposti per il mantenimento del coniuge (ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli), in conseguenza di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.

In altri termini, il beneficio fiscale non si applica se non in virtù di un provvedimento del giudice.

 

Sul tema si era già espressa anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 370 del 28 luglio 1999, la quale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale in merito alla deducibilità dal reddito degli importi per assegni alimentari, solo se essi risultino da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, mentre sono esclusi quelli prestati spontaneamente dal soggetto obbligato.

Sul tema della deducibilità degli assegni divorzili troviamo anche una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (n. 153/E del 11 giugno 2009), con la quale si individua la deducibilità degli assegni periodici, purchè la misura e la periodicità risultino dal provvedimento dell’autorità giudiziaria; mentre gli assegni corrisposti in un’unica soluzione non hanno natura reddituale, rappresentando sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi, dunque per tali assegni non è prevista né tassazione né deduzione.

Con la sentenza in commento, la Corte ha confermato la deducibilità degli assegni periodici corrisposti per il mantenimento del coniuge, in conseguenza di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, senza che invece abbiano fiscalmente rilievo le maggiorazioni intervenute per eventuali patti privati successivi o accordati spontaneamente dal coniuge obbligato.

 

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Assegno divorzile con trattenuta sulla pensione

Un’ulteriore modalità di corresponsione dell’assegno divorzile periodico, ad opera del coniuge onerato all’obbligo, è rappresentata dalla trattenuta sulla pensione effettuata mensilmente dal proprio ente previdenziale.

Tale ipotesi ha rilievo ai fini fiscali, in quanto si ha diritto alla deduzione ex art. 10 del TUIR.

Mentre nessuna rilevanza reddituale ha il prelievo una tantum sul trattamento di fine rapporto (TFR).

Infatti, il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, quale titolare di assegno di mantenimento, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio.

Non può, invece, richiedersi la quota di TRF se la corresponsione dell’assegno di mantenimento in sede di divorzio sia stata concordata in unica soluzione.

La percentuale di indennità di fine rapporto cui ha diritto il coniuge separato (o divorziato) deve essere intesa al netto delle imposte.

Con riferimento a tale somma, non deve essere operata nessuna tassazione in capo al coniuge separato, né è possibile per il coniuge erogante beneficiare della deduzione del reddito.

 

Privacy e accesso agli atti in caso di assegno di divorzio

Il soggetto titolare del diritto all’assegno ha, inoltre, diritto ad avere copia del Cud del coniuge, senza che ciò vada a ledere la “privacy”, in quanto il reddito non è un dato sensibile.

In tali casi, la Pa non può rifiutare la richiesta di accesso ai documenti reddituali del coniuge sostenendo che è necessaria una autorizzazione del giudice civile, perché

“trattandosi di un diritto autonomamente riconosciuto dalla legge, che può essere limitato solo in casi specifici e tassativi, non vi è alcuna necessità che l’esibizione della documentazione sia disposta dall’autorità giudiziaria” (Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, parere 14 marzo 2007).

Inoltre, non costituisce valido motivo di rigetto dell’istanza di accesso la mancanza del consenso o dell’opposizione manifestata dal coniuge nei cui confronti si chiede l’accesso agli atti.

Ciò significa che la Pa è tenuta a rilasciare copia delle dichiarazionI dei redditi, delle buste paga e di ogni altra documentazione attestante la situazione economica del coniuge, previo oscuramento di tutte le parti a carattere riservato ininfluenti ai fini della tutela dell’interesse esposto nell’istanza di accesso dal coniuge richiedente.

Dovrà, inoltre, inviare, al soggetto nei cui confronti si procede, una comunicazione avente come scopo quello di consentire allo stesso di prendere parte al procedimento di accesso.

 

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21 giugno 2011

Antonio Gigliotti

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