Compensazioni indebite: il regime sanzionatorio applicabile

Vediamo quali sono i rischi nel caso si compensino indebitamente crediti fiscali inesistenti; attenzione: le sanzioni possono colpire anche i consulenti!

Le indebite compensazioni

limiti alle compensazioni fiscaliGli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972 prevedono l’effettuazione di un lavoro di riscontro e correzione relativamente ai dati dichiarati dai contribuenti nei settori delle imposte sui redditi e dell’IVA, e la successiva comunicazione degli eventuali «disallineamenti» emersi al contribuente,

«per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali».

Quest’ultimo ha facoltà di fornire i necessari chiarimenti entro i 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione, prima che l’esito della liquidazione si «trasformi» in una cartella di pagamento.

Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate nella propria circolare n. 18/E del 10.5.2011, se la procedura di liquidazione automatica è relativa a un’ipotesi di indebita compensazione (art. 17, D.Lgs. 9.7.1997, n. 241), non sono applicabili le sanzioni previste dall’art. 27 del D.L. 29.11.2008, n. 185 (dal 100% al 200% dell’importo indebitamente compensato), bensì le più blande sanzioni per l’omesso versamento (30% dell’importo, ex art. 13, D.Lgs. 471/1997).

 

 

Le sanzioni amministrative per l’indebita compensazione

Secondo quanto è esplicitamente affermato dal diciottesimo comma dell’art. 27 del D.L. n. 185/2008, «l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi».

La sanzione è inoltre rafforzata – con applicazione «secca» della percentuale del 200% – se i crediti compensati sono superiori a 50.000 € per anno solare.

È altresì stabilito dalla norma che «per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472» (acquiescenza e definizione agevolata delle sanzioni).

 

 

Il regime sanzionatorio applicabile all’indebita compensazione

Con particolare riferimento alle fattispecie dell’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti e della comunicazione degli esiti del controllo anteriormente alla scadenza dei termini per avvalersi del ravvedimento, l’Agenzia delle Entrate ha affermato nella predetta circolare n. 18/E alcuni «punti fermi» interpretativi, utili a guidare gli operatori nell’esecuzione delle relative procedure.

In relazione, in particolare, all’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti (indebita compensazione), la pronuncia di prassi fa richiamo alla cennata normativa sanzionatoria che prevede l’applicazione di sanzioni dal 100% al 200%.

Ai sensi poi del sedicesimo comma dell’art. 27 in esame, la riscossione dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione viene effettuata mediante l’apposito atto di recupero di cui all’art. 1, c. 421, della L. 30.12.2004, n. 311.

Tale norma fa salve le attribuzioni e i poteri degli uffici fiscali richiamando sia le norme relative all’accertamento delle imposte sui redditi, sia le disposizioni IVA.

Per quanto è affermato dall’Agenzia,

«tra le attribuzioni ed i poteri sopra richiamati rientrano anche quelli disciplinati dagli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, per effetto dei quali l’amministrazione finanziaria, avvalendosi di procedure automatizzate, procede annualmente alla liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti».

 

 

Attività di liquidazione e indebita compensazione

Anche con riferimento alle indebite compensazioni, quindi, oltre che alle dichiarazioni presentate dai contribuenti, l’Agenzia delle Entrate può, sulla base dei dati e degli elementi a sua disposizione (perché desumibili dalle dichiarazioni o dalle interrogazioni presso il sistema informativo dell’anagrafe tributaria),

  • correggere gli errori materiali e di calcolo;

  • ridurre le deduzioni, le detrazioni ed i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella corretta;

  • controllare la tempestività e la rispondenza con la dichiarazione dei versamenti dovuti in base alla dichiarazione stessa.

Nell’ambito di tale attività di controllo, l’Agenzia verifica infatti anche

«che l’ammontare delle compensazioni effettuate per ciascuna imposta non sia superiore a quanto dichiarato dal contribuente, sia in termini di disponibilità del credito che in termini di effettivo utilizzo dello stesso».

Sotto il profilo sanzionatorio, occorre coordinare le disposizioni appena citate con l’art. 2, c. 1, del D.Lgs. n. 462/1997, ove è previsto che le somme dovute a titolo di imposta o di minor credito, emerse a seguito di liquidazione automatica, sono iscritte a ruolo a titolo definitivo. A tali somme risulta applicabile la sanzione per ritardato od omesso versamento stabilita dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.

Si tratta quindi della sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato o versato in ritardo, «anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile», applicabile anche in caso di liquidazione automatica.

La lettura sistematica delle varie disposizioni normative consente di affermare, secondo l’Agenzia,

«che l’unica sanzione applicabile alle violazioni rilevate in sede di controllo automatizzato delle dichiarazioni …- ancorché riferibili all’utilizzo in compensazione di crediti per un ammontare superiore a quanto dichiarato – è quella prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 per i ritardati od omessi versamenti diretti».

Tale sanzione rappresenta la base su cui calcolare, eventualmente, le riduzioni previste dall’art. 2, c. 2, del D.Lgs. n. 462/1997, in caso di pagamento delle somme dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione degli esiti del controllo automatizzato, e dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, in caso di ravvedimento operoso del contribuente.

 

 

Qualche nota sul ravvedimento operoso

Si rammenta che l’istituto del ravvedimento operoso – disciplinato dall’art. 13, D.Lgs. 472/1997 – è stato compiutamente illustrato dalla C.M. 10.7.1998, n. 180/E, secondo la quale le sue finalità sono di permettere all’autore (od agli autori) ed ai soggetti solidamente obbligati di rimediare spontaneamente, secondo modalità ed entro precisi limiti temporali, alle omissioni e alle irregolarità commesse, beneficiando così di una consistente riduzione delle sanzioni amministrative o anche, in determinati casi, della non applicazione delle sanzioni stesse.

Il ravvedimento non è ordinariamente consentito in presenza di attività di controllo fiscale sul contribuente, e in particolare:

  • se la violazione è già stata constatata dagli uffici;

  • se sono iniziati accessi, ispezioni o verifiche;

  • se sono iniziate altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidamente obbligati abbiano avuto formale conoscenza.

La pronuncia ministeriale sottolinea che l’esistenza di cause ostative deve essere riferita anche «ai soggetti solidamente obbligati» al pagamento della sanzione: ne consegue che l’inizio di una verifica nei confronti di una società impedisce ogni possibilità di ravvedimento anche alla persona fisica che, agendo per conto della società, abbia commesso la violazione.

Come ulteriormente precisato dalla circolare, se l’accesso, l’ispezione o la verifica riguardano specifici periodi d’imposta, il ravvedimento resta esperibile per le violazioni commesse in periodi d’imposta diversi da quelli oggetto di controllo; analogamente, la regolarizzazione rimane possibile per le violazioni relative ad un tributo diverso da quello oggetto di verifica.

Secondo la circolare, la norma ha inteso riferirsi, in via principale, alla notifica di inviti, richieste, questionari, etc., secondo le possibilità offerte dagli artt. 51, c. 2, D.P.R. 633/1972, e 32, D.P.R. 600/1973.

 

 

La comunicazione degli esiti del controllo prima della scadenza dei termini per avvalersi del ravvedimento

Sempre secondo quanto è posto in luce dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate, l’art. 2, c. 8, del D.P.R. n. 322/1998, prevede la possibilità per i contribuenti di correggere eventuali errori od omissioni commessi nella redazione della dichiarazione, presentando una successiva dichiarazione entro i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973.

Per le derivanti irregolarità tributarie, è prevista la riduzione delle sanzioni a 1/81 se la regolarizzazione avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione.

È tuttavia disposto che il ravvedimento con riduzione delle sanzioni non può aver luogo se sono già iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore ha avuto formale conoscenza.

Occorre quindi comprendere come gioca a questo riguardo la ricezione della comunicazione che informa il contribuente degli esiti del controllo automatizzato prima di procedere all’iscrizione a ruolo (art. 2-bis, D.L. n. 203/2005), la quale di per sé non preclude la possibilità di presentare, nei termini normativamente previsti, una dichiarazione integrativa per correggere eventuali errori od omissioni.

Ciò nonostante, basta a escludere la possibilità di ravvedimento – secondo le disposizioni vigenti – la semplice «formale» conoscenza che l’attività di controllo è in atto, fosse pure un controllo «formale» come quello relativo alle compensazioni indebite.

Per tale ragione, secondo quanto è osservato dall’Agenzia,

«il contribuente che abbia ricevuto la comunicazione degli esiti del controllo automatizzato della dichiarazione prima della scadenza del termine per avvalersi del ravvedimento operoso, non potrà beneficiare della relativa riduzione di sanzioni con riferimento alle irregolarità riscontrabili nell’ambito dell’attività di cui agli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (come, ad esempio, l’errato riporto di un’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione precedente e, in genere, gli errori commessi nella determinazione degli imponibili e delle imposte)».

«Il medesimo contribuente potrà, invece, avvalersi del ravvedimento per sanare quelle violazioni non rilevabili in sede di controllo automatizzato (come, ad esempio, l’omessa indicazione di un reddito percepito e, in genere, le violazioni che configurano l’infedeltà della dichiarazione), salvo che non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative delle quali l’interessato abbia avuto formale conoscenza».

Conclusivamente, la «linea di confine» per stabilire se una determinata violazione possa essere o meno corretta mediante la procedura di ravvedimento è rappresentata dalla conoscenza formale che l’ufficio ha iniziato una attività di controllo (in senso ampio), con riferimento non solamente alle irregolarità manifestate nella dichiarazione, ma anche ai fenomeni di indebita compensazione.

 

 

La sanzionabilità penale dell’indebita compensazione

Si rammenta peraltro che l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti o non spettanti è presidiato anche da sanzioni penali, data la sua riconosciuta lesività per l’erario.

Infatti, secondo l’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 – inserito dall’art. 35, c. 7, del D.L. 223/2006 – la disposizione di cui all’art. 10-bis del medesimo decreto legislativo (reclusione da sei mesi a due anni nell’ipotesi di omesso versamento di ritenute certificate) diviene applicabile, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti.

Alla luce dell’espressa riconduzione all’art. 10-bis, e della prassi interpretativa ufficiale (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 2006), il delitto si perfeziona quando è operata la compensazione per un importo superiore alla soglia di punibilità, pari a 50.000 € con riferimento al singolo periodo d’imposta.

Come precisato dalla succitata circolare n. 28/E/2006 (par. 4), inoltre, se, nel corso di uno stesso periodo d’imposta, sono effettuate compensazioni con crediti non spettanti o inesistenti per importi inferiori alla soglia, il delitto si perfeziona alla data in cui si procede, nel medesimo periodo d’imposta, alla compensazione di un ulteriore importo di crediti non spettanti o inesistenti che, sommato agli importi già utilizzati in compensazione, sia superiore a 50.000 €.

 

29 giugno 2011

Fabio Carrirolo

 

 

NOTE

1 La precedente misura di 1/10 è stata così ridefinita a opera dell’art. 1, c. 20, lett. a, della L. n. 220/2010, con riferimento alle violazioni commesse a decorrere dal 1° febbraio 2011.