Il contenuto della sentenza secondo Cassazione

Il giudice ha dei vincoli nello scrivere e motivare le proprie sentenze: ecco come li spiega la Suprema Corte.

Con sentenza n. 21951 del 27 ottobre 2010 (ud. del 13 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha, fra l’altro, indicato gli elementi essenziali della sentenza.

Il principio di diritto espresso dalla Corte è il seguente:

“la sentenza deve contenere … la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, cioè: 1) l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti addotti per la loro prova; 2) la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi di qualificazione dei fatti di causa; 3) gli atti di giudizio statico e finale per ciascuna serie di comportamenti intellettivi”.

 

 

Cosa deve contenere una sentenza – Brevi riflessioni

L’art. 36 del D.lgs .n. 546/92 dispone che la sentenza – pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana – deve contenere:

1) l’indicazione della composizione del Collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;

2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;

3) le richieste delle parti;

4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;

5) il dispositivo.

 

La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall’estensore.

 

In ordine alla concisa esposizione dello svolgimento del processo essa consiste nell’esposizione dei fatti, rilevanti ai fini della decisione nella loro veste storica e giuridica, essenziali per la ricostruzione della controversia.

L’estensore della motivazione deve ricostruire il percorso logico giuridico che ha condotto il Collegio alla scelta delle prove e delle argomentazioni a base della deliberazione.

La motivazione deve essere comunque espressa, non essendo quindi consentito un semplice rinvio a motivazioni contenute in altri atti del processo (motivazione per relationem), salvo che contenga quella contenuta in atti in cui vi sia una esplicita ed esaustiva ricostruzione dell’iter logico giuridico adottato.

Sul punto specifico della legittimità o meno delle sentenze motivate per relationem, si ricorda che con sentenza n. 14814 del 19 febbraio 2008 (dep. il 4 giugno 2008) la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto la questione – che aveva già visto precedenti e difformi pronunciamenti(1) – affermando che la motivazione di una sentenza può essere redatta per relationem ad altra sentenza, purché la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento, occorrendo la riproduzione dei contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa (anche se connessa) causa sub iudice, in maniera da consentire anche la verifica della compatibilità logico-giuridica dell’innesto, fermo restando, preliminarmente, che quando siano pendenti più processi aventi ad oggetto questioni connesse, il giudice deve utilizzare gli istituti processuali tenendo conto della esigenza di evitare giudicati contraddittori, ma anche di garantire il rispetto dei principi del giusto processo, con riferimento al diritto al contraddittorio ed alla ragionevole durata del processo, del diritto di difesa e del diritto alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, presupposto indefettibile, quest’ultimo,

“per il controllo etero ed endoprocessuale dei provvedimenti stessi e corollario del principio di legalità dello Stato di diritto”.

 

Per le Sezioni Unite della Cassazione, la mancanza di una autonoma ed esauriente motivazione, non consente il controllo di legittimità sull’operato del giudice (criteri di valutazione degli elementi probatori adottati, regole ermeneutiche applicate, logica della decisione) che è l’unico possibile controllo sul corretto esercizio della giurisdizione in uno Stato di diritto. D’altra parte, non si può richiedere il rispetto del principio dell’autosufficienza delle impugnazioni se la sentenza impugnata non è, a sua volta, autosufficiente

 

NOTA

1) Con sentenza n. 15833/2006 la Cassazione ha ritenuto non sufficientemente motivata una sentenza che si limiti a richiamare altre sentenze di organi giudicanti senza riferirne neppure succintamente le argomentazioni.

Nello specifico, il vizio di motivazione della sentenza

“è invece fondato per quanto diragione, in quanto non può essere ritenuta sufficientemente motivata una sentenza che richiami per relationem sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma già prodotte nel giudizio di primo grado senza riportarne, neppure succintamente le argomentazioni”.

 

Successivamente, con sentenza n. 1248 del 21 dicembre 2005 (dep. il 23 gennaio 2006) la Corte di Cassazione ha affermato che non è in sé nulla la sentenza motivata per relationem al contenuto di altra sentenza pronunciata contestualmente.

È pertanto onere del ricorrente che la impugni dedurre che le circostanze di fatto e di diritto, su cui si fondano le due sentenze, non sono identiche e che, di conseguenza, il rinvio alla motivazione di altra sentenza è insufficiente.

Sempre la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 19110 del 16 giugno 2005 (dep. il 29 settembre 2005), aveva già statuito che la decisione della controversia relativa al reddito conseguito dai soci può dipendere, pregiudizialmente, dalla decisione della controversia promossa dalla società.

Pertanto, il giudice della controversia relativa al socio può motivare mediante il richiamo alla sentenza relativa al reddito prodotto dalla società; deve però indicare gli estremi della sentenza cui rinvia nonché dare atto se essa è passata in giudicato (e, in caso contrario, sospendere il processo).

Qualora manchino queste indicazioni la sentenza motivata per relationem è nulla (rectius, inesistente).

Da ultimo, con sentenza n. 3329/2008 la Cassazione, considerato che i Giudici di merito hanno confermato la sentenza di primo grado con ‘acritica condivisione, utilizzando un periodare ed argomentazioni, di per sé inidonee a dare contezza del percorso decisionale’; posto che detti Giudici hanno effettuato ‘un generico richiamo alla sentenza di primo grado, limitandosi, per altro, a rilevare che l’amministrazione non aveva offerto la prova del proprio assunto, senza indicare i concreti elementi, ritenuti rilevanti e posti a base della decisione’; ritenuto che le espressioni utilizzate non assolvono all’obbligo motivazionale, essendo principio consolidato sia quello secondo cui ‘la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il Giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione’ (Cass. n. 1539/2003; n. 6233/2003; n. 2196/2003; n. 11677/2002), sia pure l’altro, per il quale è configurabile l’omessa motivazione, ‘quando il Giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico – giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998)’, ha cassato la sentenza di secondo grado”.

 

4 dicembre 2010

Francesco Buetto