Condanna del Fisco alle spese processuali

In caso di vittoriosa difesa del contribuente con conseguente condanna dell’A.F. alle spese processuali è esperibile il giudizio di ottemperanza per il rimborso della somma? A cura di Leonardo Leo.

Condanna del Fisco alle spese processualiIl giudizio di ottemperanza, disciplinato dall’art. 70 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, rappresenta una delle novità più importanti introdotte dalla riforma del processo tributario.

Si tratta di uno strumento molto efficace, nonché di agevole utilizzo, che consente di ottenere l’esecuzione di una sentenza tributaria, ricorrendo i presupposti indicati espressamente dalla suddetta norma (passaggio in giudicato della sentenza; decorso del termine entro il quale è prescritto all’Ufficio tributario l’adempimento; in caso di mancanza del termine per adempiere, devono trascorrere 30 giorni dalla notifica dell’atto di messa in mora effettuata dal ricorrente).

La questione che è stata ed è tuttora affrontata in dottrina e da varie pronunce giurisprudenziali riguarda il rapporto che si verrebbe ad instaurare tra il giudizio di ottemperanza e l’esecuzione processualcivilistica.

Parrebbero infatti non ben delineati i confini di tale rapporto, in quanto entrambi i rimedi consentono di pervenire ad un medesimo risultato, ossia dare concreta esecuzione ad una sentenza di condanna emessa da una Commissione Tributaria, o dalla Corte di cassazione, e passata in giudicato.

La questione non è di poco conto, essendo stata oggetto di dispute dottrinali e di orientamenti contrastanti della giurisprudenza. In questa sede ci si propone di dare una risposta adeguata e condivisibile, con particolare riferimento al caso in cui si debba procedere a dare esecuzione ad una sentenza di condanna dell’Amministrazione Finanziaria alle spese processuali.

In passato vi era un filone dottrinale (Bastioni, Ferrara, Bellè) che sosteneva la concorrenzialità ed alternatività dei due rimedi, riservando l’esecuzione forzata alle condanne al pagamento di somme di denaro, considerando che l’ottemperanza fosse invece rimedio esclusivo in caso di adempimento degli obblighi di fare. Pronunce in tal senso sono state prodotte dalla C.T.R. Toscana, sez. XXX, 2 dicembre 2002, n. 79 e dalla C.T.P. Foggia, sez. X, 6 marzo 2001.

Altra tesi (Bsglione) sosteneva la complementarietà dell’ottemperanza rispetto all’esecuzione forzata, consentendo l’esperibilità della prima solo dopo l’esito negativo della seconda.

Tuttavia, le precedenti prospettazioni non sembrano essere coerenti con quella che è la ratio del legislatore nell’introdurre l’istituto dell’ottemperanza: la finalità perseguita dalla legge delega 30/12/1991 è quella di assicurare al contribuente una più ampia tutela, attribuendogli la scelta di avvalersi di una o dell’altra forma di esecuzione.

Si è espressa in questo senso autorevole dottrina (tra gli altri, Bellagamba, Basilavecchia, Glendi, Trovato, Napoletano, Fabbrocini), che individua nel rapporto tra ottemperanza ed esecuzione forzata il carattere della concorrenzialità ed alternatività, lasciando alla discrezione del contribuente la scelta di esperire l’uno o l’altro rimedio, ovvero entrambi cumulativamente.

Risulta essere quest’ultima tesi quella accolta dalla dottrina maggioritaria, nonché dalla giurisprudenza, che si è espressa in senso analogo (CTP Trieste, 22/04/1997, n. 30; CTP Pescara, 22/08/1998, n. 3517; CTR Friuli Venezia Giulia, 17/08/2001, n. 77; CTR Trieste, 17/08/2001, n. 77; CTR Lombardia, 09/09/2001, n. 462; Cassazione, 14/01/2004, n.358; Cassazione, 14/01/2004, n. 359; Cassazione, 01/03/2004, n. 4126).

Inoltre nella sentenza del TAR Lazio (6/3/1995, n. 221) si esprime quello che era un orientamento già esistente soprattutto nella giurisprudenza amministrativa, in base al quale

non si rinviene norma, o eventualmente principio, che precluda al creditore di attivare contemporaneamente le due suddette procedure, che hanno la stessa finalità; fermo restando che l’esito satisfattivo di una rende improcedibile l’altra”.

 

È da rilevarsi altresì che in riferimento alla sentenza di condanna dell’Amministrazione Finanziaria alle spese, appare ragionevole e condivisibile che il contribuente possa agire attraverso l’esecuzione forzata, oppure abbia facoltà di instaurare un giudizio di ottemperanza, qualora non reputasse conveniente la procedura ex art. 474 c.p.c.

A favore dell’applicabilità del giudizio di ottemperanza per l’adempimento degli obblighi di pagamento delle spese di giudizio si è espressa altra dottrina(Caputo; Buscema; Liviosetti).

Quindi, la proponibilità del giudizio di ottemperanza può essere effettuata come unica scelta del contribuente, oppure può coesistere con la contemporanea azionabilità dell’esecuzione forzata ordinaria.

Citando la già menzionata sentenza della CTP di Trieste, si afferma che.

“oggetto di tale giudizio (n.d.r. di ottemperanza) è anche l’indagine sugli effetti del giudicato che risultano indispensabili per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente, anche in ordine alle spese della causa che siano state liquidate in suo favore”.

Non si deve inoltre trascurare di evidenziare i limiti del procedimento ordinario, limiti che il giudizio di ottemperanza supera, consistenti nella necessità di ottenere il passaggio in giudicato formale della decisione tributaria e nella frequente proposizione di opposizioni da parte degli organi di difesa della P.A.. Peraltro, la decisione dei giudici di ottemperanza è impugnabile solo con ricorso per Cassazione per inosservanza di norme di rito.

L’utilizzo del giudizio di ottemperanza comporta degli indubbi vantaggi pratici a favore del contribuente, anche in considerazione della possibilità di avvalersi di tale strumento persino qualora nella sentenza manchi una condanna esplicita. Si veda a tal riguardo la pronuncia della Cassazione n. 4126 del 01/03/2004, la quale ha asserito che

lo scopo del procedimento di ottemperanza è quello di rendere effettivo il comando contenuto nelle sentenze definitive dei giudici tributari…, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo”.

È innegabile la versatilità, l’efficacia e la celerità di un siffatto strumento, che il legislatore ha introdotto per agevolare il contribuente, e che pertanto può essere utilizzato dallo stesso per l’ottenimento di somme, qualora l’Amministrazione finanziaria sia stata condannata al rimborso, nonché dal difensore, in caso di condanna dell’ente impositore alle spese processuali.

 

4 agosto 2010

Leonardo Leo

 

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