le imprese che effettuano nuovi investimenti in beni strumentali materiali ed immateriali nelle aree individuate dalla Commissione delle Comunità europee vantano un credito d’imposta entro la misura massima consentita, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti dalla stessa Commissione
Il vecchio art. 8 della L. n. 388 del 23.12.2000 aveva attribuito alle imprese che effettuano nuovi investimenti, in beni strumentali materiali ed immateriali, nelle aree individuate dalla Commissione delle Comunità europee (aree depresse del Mezzogiorno e del Centro-Nord), un credito d’imposta entro la misura massima consentita, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti dalla stessa Commissione.
L’ammontare dell’investimento netto agevolabile – da cui scaturisce il credito d’imposta – è dato dal costo complessivo dei nuovi investimenti, a diverso titolo acquisiti, decurtato del costo non ammortizzato dei beni ceduti e dei beni dismessi, nonché degli ammortamenti dedotti, relativi ai beni appartenenti alla stessa struttura produttiva nella quale si effettua il nuovo investimento (le cessioni, le dismissioni e gli ammortamenti relativi ai beni esclusi dall’agevolazione, non rilevano ai fini della determinazione dell’investimento netto).
Il credito d’imposta sarà, quindi, pari a C x [B – ( D + A) ] dove:
- C è il coefficiente di attribuzione del credito d’imposta differenziato in ragione del settore di attività, della localizzazione e delle dimensioni dell’impresa;
- B è il costo dei beni strumentali nuovi acquistati nel periodo d’imposta, con esclusione dei mobili e delle macchine d’ufficio;
- D è costituito dall’ammontare dei ricavi per cessioni e dismissioni di beni strumentali effettuati nel periodo d’imposta;
- A individua gli ammortamenti dedotti nel periodo d’imposta relativi a beni d’investimento relativi alla stessa struttura produttiva, esclusi i beni oggetto dell’investimento agevolato.
Il credito d’imposta è calcolato applicando all’investimento netto, per come sopra determinato, la percentuale spettante.
L’APPLICAZIONE ELUSIVA
Spesso le imprese non hanno annotato alcun ammortamento sul libro cespiti ammortizzabili, né hanno effettuato deduzioni a tale titolo, sia fra i componenti negativi di reddito del bilancio chiuso sia fra le variazioni in diminuzione del reddito dichiarato nel Modello UNICO.
Non avendo dedotto alcun ammortamento, le aziende hanno calcolato il credito spettante nella misura del 50 per cento dell’investimento lordo realizzato (importo totale dei nuovi beni agevolabili acquisiti), senza decurtare alcuna somma, a titolo d’ammortamento, dal costo totale dei beni acquistati.
Non risultando in bilancio la deduzione di alcun ammortamento, l’impresa, alla fine, ha ricevuto un maggior credito d’imposta.
Di questo comportamento sono state chiamate a decidere le Commissioni Tributarie.
Con sentenza n. 45 del 12.2.2007, dep. il 16.4.2007, la Comm.Trib. Prov. di Siracusa – Sez. 2 – ha affermato che anche se «dal complesso delle disposizioni legislative in tema di ammortamento delle immobilizzazioni materiali, si evince che il dovere dell’imprenditore è quello di ammortizzare sistematicamente – ossia per quote tendenzialmente costanti, fissate di anno in anno dagli organi direttivi dell’impresa – le immobilizzazioni materiali, calcolando la quota di ammortamento in relazione alla residua possibilità di utilizzazione dei beni, e di indicare quindi nella nota integrativa (e nella relazione sulla gestione) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce quanto richiesto dall’art. 2747 n.2 c.c. (Trib. Reggio Emilia 19.1.1999), non convince la tesi dell’ufficio: gli ammortamenti figurativi non sono previsti da nessuna norma di legge, è interesse dell’imprenditore procedere all’ammortamento anche per ragioni fiscali; il mancato rispetto del dovere dell’imprenditore di procedere all’ammortamento non è sanzionato».
In questi giorni, con sentenza n. 5 del 4 febbraio 2009 (ud. del 3 novembre 2008) la Comm. trib. reg. di Palermo, Sez. XIV ha di fatto confermato tale tesi.
Il Collegio, preliminarmente, ha ritenuto che l’atto in contestazione rientri nella categoria giuridica degli “avvisi di accertamento”.
Nel merito, i giudici hanno osservato che nel citato art. 8 della legge 388/2000 “è assente ogni riferimento o anche semplicemente ogni rinvio a ammortamenti figurativi; a tal riguardo è facile rilevare che il legislatore ha voluto prendere in considerazione solo gli ammortamenti contabilizzati, e quindi dedotti, escludendo quelli che per scelta del contribuente non sono stati effettivamente contabilizzati. Giova ricordare che per consolidato principio della Suprema Corte non può imporsi al contribuente alcun adempimento che la legge tributaria non preveda espressamente e, soprattutto, come nel caso di specie, quando si interpretano in modo estensivo disposizioni di legge”.
Il nostro pensiero
L’art. 8, comma 2, della L. n. 388/2000 precisa che per nuovi investimenti si intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi, di cui agli artt. 67 e 68 del Tuir e pertanto, il richiamo operato alla disciplina del testo unico impone il rispetto delle regole previste dai citati articoli 67 e 68.
La sentenza emessa non appare convincente, in quanto il problema non investe gli ammortamenti figurativi.
Una società in normale attività, che possiede adeguati beni strumentali (necessari e/o indispensabili) per esercitare l’attività, ha incrementato i ricavi rispetto agli esercizi precedenti deve – non può – contabilizzare gli ammortamenti.
Nel caso specifico, i mancati ammortamenti producono maggiori vantaggi fiscali ai fini del credito d’imposta. In pratica, il contribuente pur perdendo i vantaggi fiscali degli ammortamenti ne ottiene di più attraverso il credito d’imposta. E’ una chiara operazione elusiva.
Pertanto, l’operato degli uffici che provvedono a rideterminare il valore degli ammortamenti, riducendo il credito effettivamente spettante rispetto a quello richiesto, ci sembra corretto.
Se è vero che l’elusione fiscale è un male naturale, è pur vero che «attraverso la normativa antielusiva il legislatore cerca dunque di fare emergere la sostanza (illecita) sulla forma (lecita). L’elusione rappresenta infatti un abuso del concetto di legittimo risparmio d’imposta.Tale abuso realizza inoltre una distorsione della causa tipica dello strumento negoziale adotatto. Eludere una norma tributaria significa infatti aggirarla tramite la scelta di operazioni contrattuali, il cui principale scopo è quello di ridurre l’onere fiscale[1]».
In sostanza, il soggetto passivo – pur rispettando formalmente una norma – la aggira al fine di procurarsi un vantaggio altrimenti non conseguibile e comunque contrario alle finalità perseguite dalla norma medesima.
Cosa che accade nell’ipotesi in questione: calcolando il credito spettante nella misura del 50% dell’investimento lordo realizzato, senza decurtare gli ammortamenti dal costo totale dei beni acquistati, si ottiene un maggior credito d’imposta.
Gianfranco Antico
22 ottobre 2009
(1) PALUMBO, L’elusione fiscale e il concetto di abuso del diritto, in “ Rivista della SSEF”, 2007