affrontata, ancora una volta, la problematica legata all’accesso presso l’abitazione privata: in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare mira a conciliare la rilevanza attribuita alla tutela del domicilio di ogni cittadino della Repubblica, la cui inviolabilità è espressamente riconosciuta…
Con sentenza n. 6836 del 20 marzo 2009 (ud. del 19 febbraio 2009) la Corte di cassazione ha affrontato, ancora una volta, la problematica legata all’accesso presso l’abitazione privata.
La sentenza di Cassazione n. 6836 del 20 marzo 2009
La prima doglianza, svolta dai ricorrenti ed articolata sotto il profilo della illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 33 dpr n. 600/1973 e 52 dpr n. 633/1972), si fonda sulla premessa che durante la verifica fiscale ad una azienda era stato eseguito un accesso nella casa di abitazione di un socio non amministratore, con acquisizione di documenti, in forza di un decreto di autorizzazione del Procuratore della Repubblica, privo dell’indicazione dei gravi indizi cui la legge subordina l’autorizzazione, e senza che tali indizi risultassero nella relativa richiesta di autorizzazione all’A.G.
Ciò posto, secondo i ricorrenti, ne sarebbe derivata l’illegittimità dell’autorizzazione e l’inutilizzabilità degli elementi di prova illegittimamente acquisiti.
La Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere la censura mossa.
“Al riguardo, torna utile premettere che, in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prescritta in materia di IVA dall’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del D.P.R 29 settembre 1973, n. 600) mira a conciliare la rilevanza che la Carta Costituzionale attribuisce alla tutela del domicilio di ogni cittadino della Repubblica, la cui inviolabilità è espressamente riconosciuta dall’art. 14 co. 1 Cost con l’esigenza dell’acquisizione degli elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale, al fine di evitarne l’occultamento o la distruzione”.
Premesso ciò, osserva la Corte che
“ciò comporta che il provvedimento di autorizzazione debba necessariamente trovare causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione va effettuata ex ante con prudente apprezzamento, e sia, pur concisamente, motivato. E ciò, a maggior ragione, quando si tratti del domicilio di un soggetto che, rispetto ai fine di acquisizione degli elementi probatori dell’evasione fiscale contemplato dal provvedimento autorizzativo, non sia il soggetto attivo delle presunte violazioni ma debba essere invece ritenuto un mero terzo.
Tale considerazione non è di poco conto ove si consideri che, nel caso di specie, la richiesta di autorizzazione della G.di F. non contiene l’indicazione di fatti integranti gravi indizi di violazioni alle norme in tema di Iva ed imposte dirette a carica del socio, non amministratore, […] leggendosi nella nota «che una verifica fiscale doveva essere eseguita nei confronti della società della quale il predetto […] era socio». Deve aggiungersi che lo stesso provvedimento del Procuratore della Repubblica non contiene l’indicazione dell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale limitandosi ad accennare che il motivo della richiesta risiede nella necessità di controllare il regolare assolvimento della normativa in materia di Iva ed Imposte dirette”.
La Corte, a questo, punto, richiama il pensiero delle Sezioni Unite, secondo cui
“il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha il potere – dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria.
Pertanto, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove” (Sez.Un. 16424/02).
Riflessioni
Come è noto, l’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole. Si tratta dei luoghi dichiarati ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972 o comunque nei quali si svolge di fatto l’attività e cioè negozi, stabilimenti, filiali, succursali, sedi secondarie, depositi, magazzini e simili.
L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente (1) – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica (come ribadito dalla Corte di Cassazione, fra le altre, con sentenza n. 7368 del 1° aprile 1998, depositata il 27 luglio 1998, e da ultimo con sentenza n. 9568 del 5 marzo 2007, dep. il 23 aprile 2007) e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 (cfr. fra le altre Comm.Trib. di II grado di Padova, sez. IV, dec. n. 2868 del 24 aprile 1985, la cui massima così recita:
“l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, rilasciata ex art. 52 del D.P.R. n. 633/72, esplica effetti nei limiti oggettivi e soggettivi in essa contenuti talchè l’accesso effettuato in abitazione diversa da quella ivi specificata e appartenente ad altro soggetto da quello indicato sempre in essa autorizzazione, è da ritenersi attività espletata in assoluta carenza di potere “.
Sul punto, cfr. anche il pensiero della Corte Suprema, Sez.I, Civ., Sent. del 1° aprile 1998, dep. il 27 luglio 1998, secondo cui
“nel caso di un accesso domiciliare effettuato ……in mancanza della prescritta autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non sussiste il consenso del contribuente all’accesso, dato che dal verbale redatto……..risultava che l’invito a procedere all’accesso rivolto ai militari operanti era stato formulato dal contribuente a seguito di ripetuti richiami alle conseguenze sfavorevoli che sarebbero derivate da un suo rifiuto di esibire i libri e i registri contabili custoditi nell’abitazione.
Le attività tributarie di indagine compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazioni di sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito, dato che in mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica viene meno la prevalenza dell’interesse fiscale, anche costituzionalmente garantito dall’art. 53 della Costituzione, sul diritto del contribuente alla inviolabilità del domicilio“).
La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 9611 del 21 marzo 2008 (dep. l’11 aprile 2008), ha invece affermato che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso ai locali, necessaria per entrare in quelli destinati promiscuamente ad abitazione ed all’esercizio di attività commerciali, non richiede la enunciazione di “gravi indizi” di violazione delle norme in materia di IVA.
La sentenza impugnata aveva ritenuto che il provvedimento del Procuratore della Repubblica, che autorizzava l’accesso presso altro locale locato a società in liquidazione adibito anche ad abitazione del ricorrente, ai sensi dell’art. 52, del D.P.R. n. 633 del 1972, fosse illegittimo in mancanza nella motivazione dell’atto della indicazione del requisito dei gravi indizi e di conseguenza ha ritenuto che ne derivasse la nullità dell’avviso di rettifica IVA fondato su documentazione acquisita in detto accesso.
Con il primo motivo di ricorso
“l’Agenzia assume che il requisito dei gravi indizi è richiesto solo dall’art. 52, comma 2, per locali diversi da quelli adibiti all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali di cui al comma 1, per i quali è richiesta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica quando siano adibiti anche ad abitazione, ma senza che sia richiesto il requisito dei gravi indizi quando siano adibiti anche ad abitazione”.
Per i giudici di Cassazione
“il motivo è manifestamente fondato come si evince dalla lettura comparata dei due commi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, che recitano: gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni.
Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono.
Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.
Manca, infatti, nel comma 1, la previsione del requisito dei gravi indizi e la ragione è evidente in quanto basterebbe adibire ad abitazione parte dell’ufficio per rendere più difficile l’accesso a questo”.
Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non è necessario nessun altro presupposto legittimante, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.
In merito, di recente, la Corte di Cassazione – sentenza n. 19689 dell’1.10.2004 – ha avuto modo di fissare, ancora una volta, dei paletti precisi, operando una precisa interpretazione comparativa fra i commi 1 e 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/72: mentre per l’accesso nei locali adibiti anche ad abitazione, è sufficiente la sola autorizzazione del Procuratore della Repubblica, per l’accesso nei locali esclusivamente adibiti ad abitazione, l’autorizzazione del magistrato deve essere concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali. Per quanto riguarda i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e ad attività commerciali o agricole deve trattarsi di un effettivo uso promiscuo, che si ha quando, negli stessi locali, vi è abitazione e attività d’impresa.
In questi casi, si può ritenere, pertanto, che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica sia un atto dovuto, in quanto se pur rilasciata dopo un attento esame della richiesta, non necessita della presenza di gravi indizi di evasione fiscale.
Sul punto si segnala e si rinvia per ulteriori approfondimenti sulla materia al pregevole studio operato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18337 del 30 maggio 2007, dep. il 31 agosto 2007, secondo cui ai fini degli accessi, ispezioni e verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria, non è richiesto il rilascio dell’autorizzazione da parte della Procura della Repubblica ai fini di accedere ad un locale adibito unicamente all’esercizio dell’attività di un soggetto passivo Iva, che sia nella sua piena ed esclusiva disponibilità ed al quale si accede soltanto attraverso altro locale adibito ad abitazione di un terzo il quale abbia prestato il consenso (in pratica, la società utilizzava come uffici due distinti appartamenti posti nello stesso pianerottolo, di cui uno veniva utilizzato esclusivamente dalla società mentre l’altro era adibito anche ad abitazione del custode, detenendone la società solo una stanza. I verificatori, quindi, per poter accedere a tale ultima stanza, sono entrati nell’appartamento nella disponibilità del custode, avendo ricevuto il consenso della moglie).
Non si ravvisa promiscuità dei locali quando l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, sia distinta dal luogo di lavoro; e ancora, non si ravvisa promiscuità nei casi in cui l’abitazione pur se comunicante con il luogo di esercizio del lavoro, sia divisa da una porta chiusa e sia provvista di due separati ingressi (è il caso tipico dei professionisti che hanno abitazione e studio nello stesso appartamento). Inoltre, se i locali adibiti a laboratorio costituiscono pertinenza dell’abitazione è necessaria l’autorizzazione del magistrato (cfr. Cass. n. 26454 del 23 settembre 2008, dep. il 4 novembre 2008)
La distinzione tra locali di diversa natura è configurabile solo se i rispettivi ambiti spaziali siano connotati da una obiettiva indipendenza e incomunicabilità (integrata, magari, ma non necessariamente, dalla circostanza che l’abitazione pur trovandosi nel medesimo complesso immobiliare, costituisce una unità edilizia autonoma e separata rispetto ai locali adibiti all’esercizio dell’impresa).
Per eseguire l’accesso nei confronti di associazioni, circoli sportivi, comitati e Onlus è necessaria l’autorizzazione dell’A.G.. Tuttavia, pur se cautelativamente è opportuno munirsi di autorizzazione, a nostro avviso, nei casi in cui l’ente svolga – legittimamente o meno – anche attività commerciale, non è normativamente necessaria la predetta autorizzazione (2); infatti, nella prima ipotesi – attività commerciale svolta legittimamente – l’autorizzazione non è necessaria per effetto dell’equiparazione ad una normale attività e nella seconda ipotesi – attività commerciale svolta in assenza di licenze – l’eventuale illegittimità dell’accesso è sanata dal fatto che l’ente svolge attività commerciale, e quindi, non necessita l’autorizzazione dell’A.G..
Gianfranco Antico
1 Aprile 2009
(2) Sul punto cfr. PALUMBO, Accesso presso Enc. Quando il funzionario si ferma sull’uscio, in “ Fiscooggi”, edizione del 31 agosto 2007.