Il Governo vuole reprimere il fenomeno delle residenze fittizie all’estero delle persone fisiche le quali, attraverso una formale iscrizione presso l’AIRE, localizzano fittiziamente la residenza in una paese a fiscalità privilegiata con l’intento di trarne un vantaggio fiscale.
Lotta all’esterovestizione delle persone fisiche
Con la manovra finanziaria estiva varata con il D.L. n. 112/08, si è voluto puntare a reprimere il fenomeno delle residenze fittizie all’estero delle persone fisiche, le quali attraverso una formale iscrizione presso l’Anagrafe Italiana per i residenti All’estero (cosiddetta A.I.R.E ) localizzano fittiziamente la residenza in una paese a fiscalità privilegiata con l’intento di trarne un vantaggio fiscale.
In particolare l’art. 83 commi 16 e 17 del D.l. n. 112/08, prevede, per i comuni che collaboreranno a segnalare all’Agenzia delle Entrate i finti residenti all’A.I.R.E., un compenso pari al 30% degli accertamenti notificati o definiti in adesione.
Infatti la sola iscrizione delle persone fisiche presso l’A.I.R.E, pur essendo una condizione necessaria per acquisire lo status di “residente estero” non è tuttavia sufficiente per poter considerare tale soggetto come non residente in Italia.
In base al comma 2 dell’art. 2 del Tuir, infatti sono considerati residenti in Italia, oltre a coloro che sono iscritti nelle anagrafi comunali per la maggior parte del periodo d’imposta, anche coloro che hanno nel territorio dello Stato italiano il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Posto che per domicilio debba intendersi il luogo in cui il soggetto ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi mentre per residenza si debba invece intendere il luogo in cui una persona ha la propria dimora abituale, ecco le circostanze da esaminare in concreto vanno ben oltre la semplice iscrizione all’A.I.R.E..
Infatti perché un soggetto venga considerato fiscalmente residente in Italia è sufficiente il verificarsi di uno solo degli elementi sopra citati che sono tra loro in posizione di alternatività.
In precedenti interventi di prassi amministrativa l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare che il termine “affari ed interessi” debba essere inteso in senso molto ampio finendo per ricomprendere in esso non soltanto i rapporti aventi una specifica natura patrimoniale ma anche quelli interessi di natura morale, sociale e familiare.
Esiste addirittura una “lista positiva” attraverso la quale è possibile dimostrare la residenza fiscale in Italia di un soggetto iscritto nell’anagrafe italiana dei residenti all’estero.
Tali fatti sono costituiti, per esempio:
- dalla disponibilità di un’abitazione permanente nel territorio italiano ovvero dalla detenzione all’interno della stessa di documentazione amministrativo contabile afferente la ditta estera;
- da linee telefoniche o fax aziendali i cui prefissi telefonici sono collegati con il territorio italiano;
- dalla presenza dei propri familiari;
- dalla disponibilità di rapporti bancari sui quali vengono accreditati i proventi ovunque conseguiti;
- dalla titolarità di cariche sociali
Il concetto di residenza ai fini fiscali. L’art. 2 del T.U.I.R. e l’art. 43 del Codice Civile.
Definizione di residenza nel territorio dello Stato italiano
Nell’ordinamento tributario italiano, il concetto di residenza fiscale delle persone fisiche è specificato nell’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che recita:
“Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato. Ai fini delle imposte sul reddito si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte .del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile”.
Relativamente, alla nozione di maggior parte del periodo d’imposta, esso può coincidere con 183, ovvero 184 giorni in relazione alla durata dell’anno solare rispettivamente pari a 365 vo 366 giorni.
Il predetto periodo di 183 o 184 giorni non deve necessariamente essere continuativo, e deve essere computato tenendo conto del numero dei giorni di presenza fisica del soggetto nel territorio, avuto tuttavia riguardo non solo al periodo in cui è stata effettuata un’attività lavorativa in Italia ma anche:
- alle frazioni di giorno;
- al giorno di arrivo o di partenza;
- ai sabati e alle domeniche.
Nozione civilistica di domicilio, residenza e dimora
L’art. 43 del Codice Civile stabilisce che:
- domicilio si intende il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi sia morali, sociali e familiari (Cass. Sent. 3586 del 26 ottobre 1968 e n. 435 del 12 febbraio 1973). Il rapporto giuridico che si instaura tra domicilio e il centro dei propri affari non presuppone la presenza effettiva in un determinato luogo, ma è caratterizzato dalla volontà soggettiva di conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri interessi (Cass. Sent. N. 884 del 21 marzo 1968). Pertanto ancorché il soggetto abbia trasferito la propria residenza all’estero, deve considerarsi residente in Italia colui che, svolgendola propria attività al di fuori del territorio dello Stato, mantenga il centro dei suoi affari nell’accezione sopra descritta (centro di interessi morali, sociali e familiari in Italia.
- Residenza: si intende il luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Elementi per la individuazione della residenza sono l’elemento oggettivo dato dalla “permanenza stabile” in un determinato luogo nonché la presenza dell’elemento soggettivo della volontà di rimanere nel predetto luogo. Per la dimostrazione dell’elemento soggettivo si precisa che:
- non è necessaria che la permanenza in un determinato luogo sia continuativa o definitiva ma occorre che la persona utilizza tale luogo quale abitazione e vi mantenga il centro degli affari delle proprie relazioni sociali e familiari (Cass. n. 1738 del 14 marzo 1986).
- Dimora: si intende il luogo in cui la persona attualmente si trova Da quanto sopra esposto si evince che la nozione di domicilio e di residenza si differenziano non tanto per la titpologia dei rapporti patrimoniali o extra rilevati nei due istituti quanto dalla reale presenza del soggetto; nella residenza infatti, la situazione di fatto – intesa come presenza di fatto – risulta elemento determinante, diversamente dalla nozione di domicilio, in cui la presenza del soggetto non è richiesta
La riforma del sistema fiscale ad opera del decreto legislativo 12 dicembre 2003 n. 344 non ha modificato il testo dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 917/86, che nell’attuale formulazione ripropone in toto sia la forma che il contenuto previgente. In particolare il suddetto comma individua i due principi cardine del sistema impositivo italiano, ossia il criterio della globalità del reddito prodotto (wordwide system), per i soggetti residenti, e il criterio della tassazione dei redditi prodotti sul territorio, per i soggetti non residenti.
Il principio della globalità dei redditi prodotti prevede che, a prescindere dalla natura e dal luogo di produzione, tutti i redditi conseguiti da soggetti residenti in Italia debbano essere assoggettati in Italia debbono essere assoggettati a prelievo fiscale.
La tassazione dei residenti per i redditi prodotti in Italia e all’estero
Per i soggetti residenti, ai sensi dell’art. 3, comma 1 del TUIR, il reddito complessivo è caratterizzato dalla sommatoria di tutti i redditi posseduti, vale a dire che l’imposizione personale nei confronti di tali soggetti è caratterizzata dal principio della globalità (World wide taxion).
Questo vuol dire che alla formazione della base imponibile concorrono tutti i redditi del soggetto possessore, a prescindere dalla natura e dal luogo della loro produzione; a riguardo, si può affermare che la base imponibile su cui calcolare l’imposta unica, personale e progressiva, è formata anche dai redditi prodotti all’estero solo per i soggetti passivi residenti nel territorio dello Stato, in quanto è solo su tale presupposto di relazione personale con lo Stato che trova applicazione il principio della globalità per imposizione.
Nel caso in cui, una persona fisica residente in Italia produca un reddito all’estero, l’ordinamento italiano riconosce nel calcolo del reddito complessivo, un credito d’imposta dovuto fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo.
In dottrina, prima della riforma del Tuir avvenuta con il d.l. 12 dicembre 2003 n. 344, il concetto di reddito estero veniva desunto dalla lettura dell’art. 23 del Tuir, il quale elenca tutti i redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato. Orbene tutti i redditi che non venivano ricompresi dalla lettura del prefato art. 23 venivano considerati redditi esteri.
Tale posizione era stata criticata in dottrina e in particolare, per l’applicazione in via analogica delle norme di diritto tributario. Infatti l’applicazione speculare dell’art. 23 del TUIR, comportava l’applicazione analogica della norma medesima che, in diritto tributario notoriamente non è ammessa perché contravviene al principio costituzionale della capacità contributiva.
Con la riforma fiscale, il legislatore ha inserito l’art. 165 del Tuir con il quale al secondo comma viene disposto che: “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’art. 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. In forza di questa norma, tutti i redditi che trovano collocazione nelle categorie elencate nell’art. 23 sono considerati redditi esteri.
In assenza di una convenzione fra i due paesi interessati, il reddito conseguito dal soggetto residente in Italia viene tassato due volte: all’estero, in quanto il reddito conseguito da una stabile organizzazione e in Italia, in applicazione del principio della globalità dei redditi prodotti.
Nel caso in cui una soggetto “persona fisica” residente, abbia fittiziamente localizzato la propria sede all’estero, al fine di trarne un vantaggio fiscale in quanto il paese estero risulta avere una tassazione fiscale più vantaggiosa, il reddito prodotto in tale Stato potrà essere ripreso a tassazione tout court dall’Amministrazione finanziaria italiana qualora venga accertato che il centro degli affari ed interessi è di fatto nel territorio italiano, indipendentemente dal luogo i cui le prestazioni di servizio vengono effettuate ovvero i beni ceduti.
Obblighi contabili e fiscali dei soggetti residenti in Italia
Le società, gli enti e le ditte individuali operanti sul territorio in Italiano, devono assoggettare a tassazione il reddito di impresa .
In particolare, l’art. 13 e segg. del D.P.R. 600/73, nonché gli artt. 23 e 25 del D.P.R. 633/72 prevedono, l’obbligo nonché la tenuta documentazione amministrativo contabile in relazione al proprio regime naturale di contabilità che ogni impresa deve istituire.
Fermo restando quanto previsto per gli obblighi relativi alla tenuta della contabilità, le imprese sono tenute alla presentazione della dichiarazione annuale, utilizzando il “Modello UNICO”, che deve essere trasmesso “telematicamente” (ovvero tramite una banca o un ufficio postale, qualora gli enti in questione non rientrino nelle categorie di soggetti obbligati alla presentazione telematica delle dichiarazioni
Paolo Giovanetti
30 Dicembre 2008