L’articolo 322 ter del codice penale così statuisce: “1. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da
L’articolo 1, comma 143, della Finanziaria
Infatti, tale articolo così recita: “Nei casi di cui agli articoli 2, 3,4,5,8,10 bis,10 ter,10 quater e 11 del dlgs n. 74/2000, si osservano in quanto applicabili le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.
I reati penali-tributari in questione, risulterebbero, quindi, quelli disciplinati dal Dlgs 74/2000; in particolare, quelli previsti dagli articoli 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), 4 (“Dichiarazione infedele”), 5 (“Omessa dichiarazione”), 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 10bis (“Omesso versamento di ritenute certificate”), 10ter (“Omesso versamento di IVA”), 10quater (“Indebita compensazione”) e 11 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”).
Sono esclusi occultamento o distruzione di documenti contabili.
La confisca si applica facendo riferimento ad un ambito soggettivo esteso; infatti è applicabile non solo quando a commettere i citati reati sono pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio, ma anche nel caso in cui i “rei” sono membri appartenenti alle istituzioni europee.
L’ipotesi di confisca in ambito fiscale, disciplinata dall’articolo 322 ter, alla luce della citata finanziaria 2008, porta importanti innovazioni trasformazioni in ambito penal-tributario.
Si osserva che si può ricorrere alla confisca dei beni mobili, immobili, danaro, titoli e quanto altro è nelle disponibilità del reo o di altre utilità equivalenti, anche prima che il reddito sia definitivamente accertato, ponendo l’attenzione su una tempistica processuale corrispondente all’inizio del procedimento nella fase delle indagini preliminari.
Ancora, si sostiene che, se un bene immobile risulta intestato a terzi (moglie o figli) occorre provare la fittizietà di tale operazione dopo aver tuttavia coinvolto tali soggetti quali coautori morali o materiali dell’illecito; questo risulta essere un provvedimento di natura obbligatoria che il giudice deve applicare sia in caso di condanna sia nell’ipotesi di applicazione di pena su richiesta.
Laddove la confisca del profitto non sia possibile, è prevista la cosiddetta confisca per equivalente (cd. misura di sicurezza) “[…] di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322bis, secondo comma”.
Essa è possibile solo dopo che si è provata l’inutilità di procedere per i beni direttamente riferibili al reato.
Non è previsto che il pagamento spontaneo del tributo oggetto del reato da parte del contribuente impedisca la confisca per equivalente ed, inoltre, è esclusa l’applicazione retroattiva della confisca in ambito fiscale.
La finanziaria 2008 non è applicabile ai reati già consumati alla data di entrata in vigore della legge finanziaria
La confisca è una misura di sicurezza a carattere sanzionatorio, che costituisce una pena secondo la nozione della Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’autonomia dei riti (penale e tributario) può essere all’origine di sequestri “ingiustificati” poiché può verificarsi assoluzione in sede penale e condanna in sede tributaria o viceversa.
Tutto ciò porta ad una valutazione tecnicamente tributaria, in quanto, i proventi derivanti dalla commissione di reati, ove non confiscati, costituiscono reddito imponibile anche se realizzati anteriormente all’entrata in vigore del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e ciò in virtù dell’espressa previsione dell’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, che ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 6 del D.P.R. n. 917 cit. nonché dell’art. 36, comma 34 bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, che ha risolto ogni residuo dubbio in ordine alla portata dell’art. 14, comma 4, (Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 06-06-2007, n. 13213).
Secondo la consolidata giurisprudenza del giudice di legittimità, in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla tassazione dei proventi derivanti da attività illecite, ai sensi della l. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, il quale ha natura di interpretazione autentica del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, affinché operi la causa di esclusione dell’imponibilità costituita dalla circostanza che i proventi illeciti risultino “già sottoposti a sequestro o confisca penale”, occorre che il provvedimento ablatorio sia effettivo, non meramente potenziale, perchè solo il sequestro e la confisca penale impediscono il conseguimento del “possesso del reddito”, e occorre anche che il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro lo stesso periodo d’imposta nel quale il provento sia maturato, risultando tale lettura della norma indotta dal principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. onde evitare ingiustificate disparità di trattamento tra i percettori di proventi illeciti ed i possessori di redditi leciti (sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 10591/2007; Corte di cassazione: n. 11148/ 1996; n. 7511/2000; n. 15567/2000; n. 7337/2003; n. 13535/2003; n. 19078/2005).
In tema di imposte sui redditi, è legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione finanziaria, accertata l’esistenza di reddito tassabile, lo abbia inquadrato in una categoria reddituale diversa da quella successivamente accertata, prima in sede penale e, poi, dalla commissione tributaria.
Pertanto, una volta accertata la percezione da parte del contribuente di un determinato provento, non se ne può escludere la tassabilità, qualora l’Ufficio non lo inquadri nella corretta categoria reddituale (Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, n. 23238/2006).
Ai fini della confisca di prevenzione il condono tributario non sana l’illiceità genetica da evasione fiscale.
A seguito di sopravvenute acquisizioni investigative il Tribunale può d’ufficio disporre il sequestro di prevenzione in precedenza denegato al pubblico ministero.
La confisca di prevenzione su conti bancari in Svizzera, ad esempio, è legittimata dalla normativa italiana e non determina, pertanto, alcuna nullità la violazione di norme internazionali o di norme del Paese richiesto che riguardano solo l’assistenza giudiziaria (Sent. n. 91/5248 del 23 gennaio 2007 depositata il 7 febbraio 2007 della Corte Cass., sez. II Pen.).
Per la sussistenza del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non occorre che il contribuente sia stato posto in qualche modo in condizione di aspettarsi un’azione esecutiva da parte degli uffici tributari, né che tale azione esecutiva sia in atto (Sent. n. 381/17071 del 4 aprile 2006 dep. il 18 maggio 2006 della Corte Cass., sez. III pen.).
Era ius receptum, prima della entrata in vigore della legge finanziaria
Quando i beni di una società sono sottoposti prima a sequestro e poi a confisca (in base alla cosiddetta normativa “antimafia” (legge 31 maggio 1965, n. 575; 7 agosto 1992, n. 356; 8 agosto 1994, n. 501), cessa la materia del contendere in ordine alla controversia tra la società e l’Amministrazione e relativa alle imposte (Irpeg, Ilor) afferenti a tali beni (Sent. n. 161/2005 della Commissione tributaria regionale di Roma, sez. XX ).
All’evasione dell’Iva all’importazione è applicabile la confisca obbligatoria ex art. 301 del D.P.R. n. 43/1973 (Sent. n. 447/17835 del 3 marzo 2005 dep. il 13 maggio 2005 della Corte Cass., sez. III pen.).
La manovra del 2008, nella sua volontà di colpire e ridurre fenomeni di frode fiscale e di rendere più tempestiva ed efficace l’azione di recupero dell’amministrazione finanziaria, in effetti, contiene una serie articolata di sanzioni, dirette e indirette che, disciplinando specifiche materie, introducono conseguenze più o meno gravi alle irregolarità commesse dai contribuenti.
Il nuovo sistema porta a conseguenze che potrebbero configurarsi, prendendo a prestito i termini dal sistema penale, come pene accessorie.
In materia Iva, ad esempio, c’è l’estensione delle ipotesi di solidarietà passiva dei cessionari, quindi, in presenza di reati tributari, c’è la possibilità per l’amministrazione finanziaria di confiscare all’evasore somme o ricchezze equivalenti a quanto non corrisposto al fisco.
In pratica, il Fisco, potrà soddisfare il debito erariale attraverso la requisizione di beni appartenenti al contribuente evasore, anche se tali beni non costituiscono né il prezzo né il profitto del reato perpetrato.
Ancora, si segnalano, le nuove regole che consentono alle Pubbliche amministrazioni di non pagare i fornitori in presenza di cartelle esattoriali cioè nel caso in cui il fornitore non rispetti l’obbligo imposto dalla legge di certificare i corrispettivi pretesi attraverso l’utilizzo di fatture elettroniche.
La confisca era in precedenza possibile solamente per perseguire le condotte tributarie illecite realizzate in ambito transazionale, a norma della legge 146/06, con le frodi carosello.
In pratica, il Fisco potrà soddisfare il debito erariale attraverso la requisizione di beni appartenenti al contribuente evasore, anche se tali beni non costituiscono né il prezzo né il profitto del reato perpetrato.
L’operatività generalizzata dell’istituto anche per punire le condotte realizzate sul territorio nazionale permette, peraltro, di anticipare la tutela degli interessi erariali attraverso l’adozione dei provvedimenti di sequestro preventivo di cui all’articolo 321 del Codice di procedura penale.
Il giudice può infatti disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca al fine di assicurarne allo Stato la disponibilità in presenza di un determinato esito del procedimento penale ovvero quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati.
La natura di misura di sicurezza della confisca per equivalente implica che a essa si applichino i principi, anche di ordine costituzionale, sanciti in relazione alla pena.
Ne consegue, perciò, l’irretroattività della norma sanzionatoria, con la conseguenza che essa non si dovrebbe applicare ai reati già consumati al 1° gennaio 2008.
Alla lotta all’evasione è invece rivolta la modifica dell’articolo 60-bis del Dpr 633/72 attraverso la previsione di una responsabilità solidale fra cedente e cessionario per le transazioni al di sotto al valore normale.
In questa ipotesi, l’acquirente è tenuto in solido con il cedente per l’imposta relativa alla differenza fra il corrispettivo effettivo e il dichiarato, nonché per le sanzioni.
La ratio della norma è il contrastare comportamenti fraudolenti volti a occultare corrispettivi, talché il cessionario possa avvantaggiarsi di un indebito risparmio di imposta, e preordinati ad accrescerli, mettendo l’acquirente soggetto passivo nella condizione di poter detrarre una maggiore imposta senza che il cedente, d’altra parte, provveda al suo versamento.
In particolare: La lotta all’evasione inasprisce le sanzioni dirette e “nascoste”. Il reverse charge
Le rinnovate misure consistono non solo nella previsione di nuove o più pesanti sanzioni amministrative, ma anche in punizioni “nascoste” o indirette.
Anche in materia fiscale il legislatore cerca di responsabilizzare in modo specifico i revisori contabili che sono chiamati a formulare specifici giudizi circa la conformità e la regolarità del comportamento delle società sottoposte al loro controllo.
In particolare, l’articolo 1, comma 92, della legge 244/07, integrando l’articolo 9 del Dlgs 471/97, prevede per i revisori chiamati a sottoscrivere la dichiarazione dei redditi e dell’Irap delle società che omettono nella relazione di revisione di esprimere i giudizi di cui all’articolo 2409-ter, comma 3, del Codice civile una sanzione amministrativa fino al 30% del compenso contrattuale per la redazione della relazione stessa.
Sanzione che non può essere comunque superiore all’imposta effettivamente accertata a carico del contribuente.
La specifica “pena” impone al revisore una maggiore attenzione nella valutazione del bilancio in tutti quei casi in cui nella sua relazione deve essere espresso un giudizio negativo o in cui dovrebbe rilasciare una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio.
Le ipotesi sempre crescenti di casi in cui il cessionario o il committente deve, in luogo del cedente o prestatore, autofatturarsi l’acquisto di beni o la fruizione di un servizio ha imposto al legislatore di prevedere specifiche sanzioni per le irregolarità che il contribuente potrebbe commettere nell’effettuazione dell’adempimento.
Le fattispecie, previste ora dal nuovo articolo 6, comma 9-bis, del Dlgs 471/97, si riferiscono solo alle ipotesi di reverse charge previste dagli articoli 17 (inversioni contabili nazionali e autofatture per prestazioni di servizio da parte di non residente) e 74, comma7 (cessioni di rottami, cascami e metalli ferrosi) del Dpr 633/72.
Restano, dunque, escluse dalla specifica disciplina le ipotesi di integrazione delle fatture estere relative alle operazioni intracomunitarie.
Queste ultime fattispecie restano sanzionabili con l’articolo 6,comma 1, del Dlgs 471/97.
Le nuove ipotesi sanzionatorie prevedono, oltre a una pena pecuniaria dal 100 al 200% dell’imposta per il cessionario o il committente che non la liquida con il sistema dell’inversione contabile, una analoga sanzione per il cedente o prestatore che ha irregolarmente addebitato l’imposta in fattura, omettendone il versamento.
Comunque, nei primi tre anni di applicazione delle disposizioni in questione, in caso di mancato rispetto del meccanismo del reverse charge, ma con assolvimento dell’imposta, la sanzione è pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta.
In tutti i casi evidenziati la norma prevede, inoltre, una responsabilità solidale per il pagamento sia della sanzione sia dell’imposta di entrambi i soggetti obbligati all’applicazione dello specifico regime.
L’intero sistema prevede, infine, una sanzione dal 5 al 10% per il cedente o il prestatore che non emette la fattura da sottoporre a inversione contabile.
Il caso che ha fatto storia: Sequestro preventivo per equivalente
La Procura di Trento ha applicato per la prima volta in Italia l’articolo 11 della legge 146/2006, per combattere il reato tributario dell’interposizione fittizia di società di comodo con sede in Liechtenstein.
Il processo si è basato su un provvedimento che, dal gennaio 2007, ha aperto la strada a una nuova strategia investigativa, riportando all’Erario circa 5 milioni di euro di evasione fiscale e concludendo i processi a costo zero per lo Stato.
Naturalmente, partendo dal titolo II del Dlgs 74/2000, si è costruito un castello giudiziario che ha nell’articolo 322-ter del Codice penale (confisca) la colonna portante, mentre nell’articolo 11 delle legge 146/2006 (ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente), un pilastro fondamentale per poter costruire inchieste di respiro internazionale, oltre i confini italiani.
In ultima analisi, si è aggiunto dal primo gennaio 2008,
l’articolo 1, comma 143, della Finanziaria; supporto fragile, a detta della giurisprudenza dominante, almeno da qui a un anno.
Si discorre di reati tributari e di uno strumento legislativo, il sequestro preventivo per equivalente, che può rompere in maniera decisa e decisiva le frodi fiscali in campo Iva.
Analizzando il c.d. primo caso del gennaio 2007, si capisce subito che questo era un caso di frode fiscale secca; quindi in tale ipotesi non si poteva far altro che applicare l’articolo 3 della legge 146/2006, definendo i contorni e i contenuti di un reato tributario transnazionale che si dispiegava in più Paesi europei secondo quattro schemi differenti.
E’ possibile ricostruire gli schemi sopra considerati:
1.
ricavi allocati in Liechtenstein. Un soggetto, fornitore italiano, non vende direttamente a cliente tedesco ma a un altro soggetto, società in Liechtenstein, creata ad hoc da fornitore italiano. La prima vendita frutta ricavi irrisori: il fisco italiano tassa solo questi ricavi;
2.
commissioni allocate in Liechtenstein. Fornitore italiano vende direttamente a cliente tedesco, quasi sotto costo. Il cliente tedesco riceve però poi una fattura da società in Liechtenstein per provvigioni dovute a intermediazione in realtà inesistenti. Ancora una volta, il reddito imponibile è sottratto al fisco italiano e allocato in Liechtenstein;
3.
operazioni inesistenti. Tale schema è analogo al precedente solo che ora muta la causale della falsa fattura. La società in Liechtenstein non fattura più costi per intermediazione ma per operazioni di trasformazione, naturalmente mai effettuate;
4.
moltiplicazione di soggetti attivi. Il fornitore italiano continua ad allocare la parte rilevante dei suoi ricavi in Liechtenstein; una nuova società svizzera partecipa alle operazioni tributarie, al fine di rendere difficoltoso il processo investigativo dell’Amministrazione finanziaria. L’intermediazione della quarta società, non alza il prezzo di vendita perché il cliente tedesco continua a pagare la merce sempre a meno rispetto al prezzo medio di mercato.
A questo punto la giurisprudenza più attenta, si è interrogata sul concetto di gruppo criminale, nelle sue presunte allusioni alla “stabile organizzazione”.
In vero, il concetto di non-estemporaneità del gruppo criminale non significa che lo stesso gruppo debba essere una “stabile organizzazione”.
Il gruppo criminale non è necessario che sia “stabile” nel senso proprio di chi si occupa di fiscalità internazionale. I gruppi possono avere anche una struttura minimale. L’importante è che i fatti reato compiuti non siano estemporanei.
Gli organi inquirenti devono dunque individuare uno “stabile”, duraturo, preciso progetto criminoso.
In realtà si potrebbe porre il problema se la definizione di gruppo criminale data dall’articolo 3 sia sovrapponibile, e in quali termini, al nostro 416.
Parte della dottrina persegue la tesi della sovrapponibilità, sostenendo che nei casi di reati fiscali transnazionali di cui si parla, si sarebbe potuto contestare ai soggetti indagati anche l’art. 416; inoltre, la pratica, ha portato a ritenere che la non applicazione dell’articolo suddetto deriva da una necessità di tipo investigativa, una strategia, meglio, che ha fruttato anche una inequivocabile adesione alla pretesa fiscale.
Si osserva che, in realtà, allo stato attuale la confisca preventiva per equivalente potrebbe anche applicarsi retroattivamente al 2006, sollevando una questione di costituzionalità in merito all’articolo 1, comma 143, della legge 244/2007.
Il comma 143 della Finanziaria 2008 è un pilastro fragile per chi volesse edificare un castello probatorio al fine di applicare, anche in modo retroattivo, la confisca preventiva per equivalente.
L’articolo 1, comma 143, estende la confisca per equivalente a (quasi) tutti i reati tributari, come già presentato nella prima parte della trattazione.
Sappiamo, inoltre, che la confisca è una misura di sicurezza (articolo 236, comma 1, n. 2, cp) e, in quanto tale, può essere applicata retroattivamente.
Oggi, l’autorità giudiziaria avrebbe la facoltà di richiedere la confisca del saldo di c/c di un soggetto per, ad esempio, una dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti, da lui commessa anteriormente al 1° gennaio 2008, cioè prima dell’entrata in vigore della Finanziaria 2008.
Qui si pone una valutazione di tipo tecnico: la confisca, anche per equivalente, è inquadrabile come una misura di sicurezza oppure può ricadere nel novero della vera e propria “pena”?
L’Italia, a livello internazionale, si pone su posizioni totalmente diverse dagli altri Stati, maturate sulle basi tradizionali del diritto penale, che vogliono ergere a principio indispensabile la c.d. certezza della pena, che quindi la ritiene conoscibile precedentemente dal reo.
La Corte europea dei diritti dell’uomo qualifica come “pena” anche tutte quelle misure cautelari di sicurezza che non solo limitano la libertà dell’individuo ma che vanno a incidere pesantemente anche sul suo patrimonio.
Per la Corte europea, quindi, a differenza del legislatore italiano, la confisca preventiva di beni di cui il reo abbia disponibilità è una pena.
La stessa Corte suprema italiana, con la sentenza 41936/2005 a sezioni unite, ha ritenuto che la confisca per equivalente “costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti viene ad assumere un carattere eminentemente sanzionatorio“.
Ciò è emblematico, poiché si desume che, anche per la dottrina e la giurisprudenza italiana, la confisca per equivalente dovrebbe essere intesa come una pena.
Analizzando, poi, l’articolo 7 della Cedu (Convenzione europea diritti dell’uomo, recepita nel nostro ordinamento con la legge 848/1955) “non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è commesso”, si ritiene che l’articolo 1, comma 143, della Finanziaria 2008 sia incostituzionale.
Se si ragionasse secondo di orientamento europeo, si applicherebbe la confisca ex articolo 1, comma 143, solo per le violazioni degli articoli 2 e 10 del Dlgs 74/2000 commesse dal 1° gennaio 2008 in poi.
Per risolvere la questione servirebbe una pronuncia della Corte costituzionale, in quanto il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma Cedu.
Sonia Cascarano
13 Agosto 2008