Finanziamento dei soci della SRL: la disciplina civilistica

La riforma del diritto societario ha ampliato le modalità di finanziamento delle società di capitali.

In particolare, con riferimento alle società a responsabilità limitata, accanto ai tradizionali canali finanziari – il credito bancario e l’autofinanziamento – si aggiunge per la prima volta l’emissione di strumenti di debito.

La prima parte della circolare n. 40 del 17 luglio 2007, diramata dall’Associazione italiana tra le società per azioni, esamina il testo le disposizioni contenute nel nuovo art. 2467 del codice civile.

 Provvidenze finanziarie dei soci all’impresa e la fattispecie dell’art. 2467 c.c.

finanziamento dei soci nella SRL I rapporti patrimoniali tra soci e società sono disciplinati dal codice civile con riguardo ai conferimenti.

L’assenza di disciplina non implica, tuttavia, che siano vietati altri rapporti a carattere finanziario.

La giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’ammissibilità e la legittimità di finanziamenti in forma di mutuo del socio alla società. Analogo riconoscimento discende implicitamente dall’assenza nel codice di una disposizione che richieda alla società una dotazione patrimoniale adeguata rispetto all’attività indicata nell’oggetto sociale.

Il finanziamento del socio rappresenta, dunque, uno strumento flessibile per gestire la dotazione finanziaria dell’impresa e può favorire anche la soluzione di uno stato di crisi.

Infatti – osserva ASSONIME – la possibilità di ottenere il credito dai propri soci risulta più conveniente per la società, con riferimento sia ai tempi sia ai costi dell’operazione, rispetto al ricorso al credito bancario.

La riforma del diritto societario non ha introdotto una disciplina organica dei finanziamenti dei soci, ma ha previsto, con l’art. 2467 c.c., una regolamentazione per quei finanziamenti che presentino caratteri di “anormalità”.

Il prestito dei soci può prestarsi ad abusi e comportare l’alterazione dell’equilibrio nella ripartizione dei rischi d’impresa tra soci e creditori. Infatti:

  • nel caso del prestito, il socio finanziatore concorre con gli altri creditori nel recupero del proprio credito, anche in caso di fallimento;
  • nell’ipotesi di conferimento di capitale, invece, il rimborso di quanto conferito dal socio è subordinato al pagamento integrale dei creditori sociali.

L’art. 2467 c.c. stabilisce, al primo comma, che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito.

I finanziamenti cui si applica la norma sono quelli concessi

«in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento» (art. 2467, comma 2, c.c.).

In questo senso l’art. 2467 c.c. non sembrerebbe determinare una riqualificazione imperativa del finanziamento in conferimento – come, invece, ritiene una parte della dottrina – ma impone l’effetto della postergazione per i crediti dei soci in presenza di specifiche circostanze.

La subordinazione del credito del socio a quello del terzo creditore si giustifica anche in una prospettiva di analisi economica, in quanto tende a ridurre nelle società “chiuse” lo squilibrio contrattuale tra il socio e il creditore sociale: infatti, la postergazione del credito riduce i costi di controllo e monitoraggio per i creditori.

In quest’ottica precisa ASSONIME che la regola della postergazione trova applicazione anche nell’ambito dei rapporti di gruppo, ex art. 2497-quinquies. Le ragioni dell’applicazione di questa disciplina si rinvengono, infatti, là dove sono maggiormente concentrati il potere e il controllo sulle scelte gestionali, in considerazione del carattere personalistico della partecipazione (s.r.l.) o per l’esercizio di attività di direzione e coordinamento (gruppo di società).

Alla luce di queste considerazioni, ci si è chiesti se sia possibile estendere l’àmbito di applicazione delle regole in esame anche alle s.p.a. “chiuse”, pur in assenza di una specifica disposizione legislativa, in ragione delle analogie che queste ultime presentano con il modello sociale delle s.r.l. e della sussistenza di simili esigenze di tutela.

Se si accede alla tesi, che riteniamo preferibile, secondo cui nell’àmbito delle s.r.l. tutti i finanziamenti dei soci sono soggetti all’applicazione dell’art. 2467 c.c., a prescindere dalle quote di partecipazioni sociali possedute e dal coinvolgimento nella gestione della società, non appare possibile l’estensione della disciplina anche nelle s.p.a. chiuse.

Sebbene l’art. 2467 c.c. sancisca un principio di corretto finanziamento delle società di capitali, come precisato da autorevole dottrina10, la valorizzazione della specificità dei modelli societari disegnati dalla riforma del 2003 conduce alla necessità di valutare, in concreto, ragioni ed esigenze di tutela sottese all’applicazione della regola della postergazione.

Qualificazione e àmbito del finanziamento anomalo dei soci

L’art. 2467 del codice civile presenta alcune criticità nell’individuazione della fattispecie indicata al secondo comma.

Ai fini della postergazione – enuncia la norma – sono rilevanti i finanziamenti dei soci a favore della società che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione dell’attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

In primo luogo, occorre chiarire se i due criteri richiamati dal legislatore – di indipendenza finanziaria e ragionevolezza del finanziamento – vadano letti come cumulativi o alternativi. In dottrina sono state sostenute entrambe le tesi.

Secondo una prima opinione, per la corretta interpretazione del finanziamento del socio è centrale il criterio di ragionevolezza, in forza del quale si individua il comportamento tipico del normale operatore del mercato, anche alla luce degli usi commerciali del settore in cui opera. L’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto svolge, dunque, la funzione di specificare il contenuto del criterio di ragionevolezza.

Di conseguenza, la norma farebbe riferimento a una nozione unitaria, in quanto i due criteri costituiscono «due facce del medesimo principio».

Al contrario, altra dottrina ritiene più corretto leggere i due criteri come tra loro autonomi, non solo per il dato letterale della norma, ma anche perché la differenza tra squilibrio patrimoniale e situazione di illiquidità è sostanziale.

La sussistenza di uno squilibrio patrimoniale non determina necessariamente l’irragionevolezza del finanziamento, non potendosi escludere che la società possa godere di credito presso terzi, pur versando in una situazione di sbilancio patrimoniale.

Il criterio della ragionevolezza avrebbe quindi, secondo questa lettura, un carattere residuale rispetto all’indebitamento finanziario.

Vi è anche chi evidenzia una certa incoerenza tra i due criteri: da una parte il legislatore limita l’àmbito dei finanziamenti postergati nel rimborso; dall’altra, con il criterio della ragionevolezza, rende flessibili i confini della categoria.

In realtà, rileva la circolare in commento, il criterio di ragionevolezza svolge un ruolo fondamentale nel modo di intendere una determinata operazione economica, cosicché l’assunzione di un rischio che difficilmente un creditore consapevole sarebbe disposto a assumere indurrà a configurare il finanziamento del socio come un apporto di capitale di rischio.

Il riferimento dell’art. 2467 c.c. ai soli finanziamenti effettuati dai soci necessita – tuttavia –  di alcune precisazioni quanto all’ambito soggettivo di applicazione. In primo luogo, occorre chiarire che il prestito concesso da un terzo divenuto socio in un momento successivo non costituisce ipotesi di finanziamento anomalo ai sensi dell’art. 2467 c.c.

Allo stesso modo, i finanziamenti effettuati da società fiduciarie o in ragione del rapporto di mandato non ricadono nell’àmbito di applicazione della norma in esame. Il fiduciario non è il titolare del rapporto associativo, cosicché solamente nel caso in cui il fiduciario sia il reale titolare delle partecipazione societarie potrà trovare applicazione la duplice regola del rimborso e della postergazione.

Sul punto la riforma societaria ha seguìto una strada diversa rispetto alla disciplina fiscale, la quale equipara ai finanziamenti effettuati da soci qualificati quelli concessi da parti correlate (D.lgs 344/2003).

Occorre, poi, chiedersi se sia possibile operare una distinzione, ai fini dell’applicazione della norma in esame, per i finanziamenti effettuati da parte dei “soci di minoranza”, vale a dire di soci estranei alla gestione societaria, come previsto dalla disciplina tedesca e dalle norme tributarie.

L’art. 2467 c.c. non prevede una discriminazione tra soci.

Il dato testuale suggerisce, dunque, che per il legislatore la posizione che il socio ricopre all’interno della società è indifferente ai fini dell’applicazione della disciplina. Infatti, il ruolo e il potere esteso di controllo che il socio, anche di minoranza, assume all’interno della s.r.l. comporta che quest’ultimo sia in grado di conoscere la reale situazione finanziaria della società, eventualmente anche di abusarne. Non rileva, quindi, che il socio di minoranza non sia titolare di poteri amministrativi o abbia una partecipazione residuale al capitale sociale, in quanto il socio di una s.r.l. è, a prescindere dalla quota posseduta, un socio informato sull’andamento della gestione societaria.

Il secondo comma dell’art. 2467 c.c. assoggetta alla regola della postergazione i finanziamenti dei soci «in qualsiasi forma effettuati». L’ambito di applicazione oggettiva riguarda tutti i rapporti patrimoniali in cui sia previsto un obbligo di rimborso delle somme inizialmente trasferite al debitore. La norma comprende, dunque, qualsiasi forma di sostegno finanziario concesso dai soci in favore della società. Ne consegue che la disciplina in esame trova applicazione non solo nel caso di mutuo, ma anche di altre forme giuridiche di finanziamento, come la dilazione di pagamento, l’apertura di credito, il leasing finanziario, il factoring e l’acquisto pro solvendo di crediti della società verso terzi.

Più complesso è stabilire se rientrino nell’àmbito della disciplina in esame le prestazioni di garanzia offerte dai soci.

Il problema investe il ricorso frequente, soprattutto nelle s.r.l. , alla cd. outside collateral, ovvero una garanzia che grava sui beni personali dei soci anziché sugli  assets dell’impresa. Il ricorso a questo strumento è richiesto soprattutto dagli intermediari creditizi nei confronti delle società di minori dimensioni: la presenza di garanzie personali dei soci costituisce lo strumento che incentiva a concedere il credito a queste società.

In realtà, la concessione di garanzia realizza un finanziamento del socio, anche se indiretto, pertanto, se la garanzia è prestata alle condizioni di cui all’art. 2467, comma 2, si dovrebbe applicare la regola di postergazione. A tale proposito, la disciplina fiscale prevede che i finanziamenti garantiti personalmente o realmente dai soci qualificati siano equiparati a quelli erogati dagli stessi direttamente.

Esulano, invece, dall’àmbito di applicazione della norma la concessione di beni in godimento e le prestazioni d’opera e servizi. Siffatte forme di sostegno finanziario non implicano, infatti, un diritto alla restituzione di un importo finanziario e non sono, pertanto, qualificabili come finanziamento ai fini della disciplina in esame. La pretesa volta alla restituzione di una cosa specifica viene soddisfatta in natura, senza interferenze con le pretese degli altri creditori.

La regola della postergazione

Occorre chiarire, inoltre, a parere di ASSONIME se il rimborso è postergato solo nella fase di liquidazione o anche nel corso dell’attività sociale. Sono emerse, al riguardo, due diverse tesi.

La tesi sostanzialistica

La tesi cd. sostanzialistica inquadra la postergazione nel complesso dei presidî posti a tutela della struttura finanziaria della società; la seconda tesi, cd. processualistica, considera la postergazione come una regola posta a tutela della parità di trattamento tra i creditori sociali nell’àmbito delle procedure concorsuali.

I sostenitori della tesi sostanzialistica ritengono che la postergazione si debba applicare nei confronti di qualsivoglia finanziamento effettuato da un socio, anche nell’ipotesi in cui l’impresa sia in bonis.

In altri termini, il diritto del socio al rimborso del finanziamento sorge solo nell’ipotesi in cui siano stati rimborsati tutti i creditori della società; nell’art. 2467 c.c. manca, infatti, qualsiasi riferimento al presupposto dello stato d’insolvenza.

L’art. 2467 c.c. troverebbe applicazione anche al di fuori della specifica ipotesi di apertura di una procedura concorsuale, ogni qualvolta la società non sia meritevole di credito.

In quest’ottica, ogni finanziamento del socio in favore di una società “sottocapitalizzata nominalmente” avrebbe una funzione sostitutiva del capitale sociale, con la conseguente applicazione delle regole ad esso relative. Discende da ciò che il socio non ha diritto alla restituzione di quanto erogato, né potrà essere ammesso allo stato passivo.

La riqualificazione del prestito in conferimento sarebbe, però, parziale, potendo essere rimborsati i crediti ai soci, nel corso della vita sociale, nei casi in cui la situazione finanziaria della società non sia più critica. Allo stesso modo, i crediti scaduti, ma non riscossi, possono essere soggetti ad una riqualificazione imperativa nell’ipotesi in cui la situazione finanziaria della società versi nuovamente in una fase critica.

Ancora nell’ottica dell’applicabilità della norma nel corso dell’attività sociale, vi è chi sostiene che il socio conservi il diritto al rimborso dei propri finanziamenti alla scadenza prevista, salvo, però, il diritto del creditore sociale, insoddisfatto a causa del rimborso del finanziamento in favore del socio finanziatore, di agire direttamente anche nei confronti di quest’ultimo.

Per questa via, si ampliano le garanzie patrimoniali operanti in sede di liquidazione, in quanto

« nella fase attiva la postergazione non altera l’esigibilità del credito al rimborso, e dunque non solo non esclude la liceità della sua effettuazione da parte degli amministratori, ma nemmeno la subordina alla ricorrenza di determinate circostanze, al contrario nella fase di liquidazione, la situazione si modifica ».

Tuttavia, la tesi sostanzialistica (e le sue varianti) appare smentita dalla previsione di un’azione revocatoria nei confronti del rimborso effettuato nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, cosa che offre un valido argomento contro l’applicabilità della regola della postergazione nella fase fisiologica della vita sociale. Come attenta dottrina ha rilevato, infatti, «la ripetibilità del rimborso ottenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento è del tutto compatibile con la qualificazione del finanziamento come diritto di credito, anzi la presuppone».

Inoltre, la ratio della regola della postergazione è quella di tutelare i creditori futuri rispetto al finanziamento, piuttosto che i creditori attuali della società, visto che questi ultimi hanno già fatto affidamento sul patrimonio netto della società, tra l’altro rafforzato dallo stesso finanziamento non immediatamente rimborsabile.

Non vi sarebbe, poi, ragione alla postergazione del rimborso nell’ipotesi in cui non si registri né una situazione di liquidazione ordinaria né concorsuale, in quanto la società stessa, nel pieno della propria attività imprenditoriale, non avrebbe intaccato il patrimonio sociale.

Gli amministratori non potrebbero, dunque, validamente opporre eccezioni alla richiesta di rimborso da parte dei soci, in quanto questa facoltà spetta agli altri creditori della

società.

Diversamente, gli amministratori dovrebbero rifiutare il pagamento quando la società si trovi in una situazione di crisi o insolvenza, anche evidenziata dall’impossibilità di poter regolarmente adempiere le proprie obbligazioni nei confronti dei soci finanziatori.

La tesi processualistica

Appare, pertanto, preferibile  a parere di ASSONIME la tesi cd. processualistica, che ritiene applicabile la regola della postergazione solo laddove vi sia un conflitto “attuale” tra creditori e socio finanziatore.

In tal caso, la norma potrà produrre i suoi effetti non solo nell’ipotesi di crisi o insolvenza della società, ma anche nel caso di esecuzione individuale di un creditore, con intervento di altri creditori.

Non appare, invece, condivisibile l’applicazione della regola della postergazione nell’ipotesi di liquidazione volontaria dell’impresa – ove non si apre, di per sé, alcun concorso tra creditori – in quanto i creditori debbono essere soddisfatti individualmente del loro credito, al momento della scadenza dello stesso.

Infatti, il principio di postergazione del credito vantato dal socio finanziatore nei confronti della società, in base alla fattispecie delineata dall’art. 2467, comma 2, in deroga al principio generale della par condicio creditorum, è applicabile nel solo presupposto della sussistenza di una situazione di criticità della società stessa, sia pure transitoria e connessa a squilibri fisiologici e occasionali recati dalla gestione dell’impresa, ma tale da rendere improcrastinabile il reperimento di nuovi fondi e/o conferimenti.

La postergazione legale presuppone, quindi, che vi sia un danno per i creditori sociali, determinato dall’influenza dei soci e amministratori sulle decisioni strategiche.

Coerentemente con questo presupposto l’applicazione della regola in esame andrebbe ricondotta nell’àmbito delle procedure concorsuali, in quanto è in quello specifico momento

che l’incapienza del patrimonio sociale implica un danno per il creditore sociale.

Il diritto di credito dei soci finanziatori nella procedura concorsuale

Stabilito che il finanziamento del socio non viene riqualificato in conferimento e che, quindi, concorre con gli altri crediti, ASSONIME evidenzia quale sia il rapporto che intercorre fra questo credito e quello degli altri creditori sociali.

L’art. 2467 distingue il diritto di credito del socio da quello degli altri creditori sotto due profili:

a) il rimborso al socio effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento è inefficace e va restituito;

b) il credito del socio è postergato a quello dei terzi creditori.

I crediti dei soci costituiscono una sotto categoria dei crediti chirografari di cui all’art. 111, n. 3, legge fallimentare, postergati a tutti gli altri, e non possano formare oggetto di compensazione con eventuali debiti che il socio abbia verso la società.

Quanto al momento in cui possono essere sollevate eccezioni in ordine all’operatività della postergazione, appare coerente con la ratio della disciplina sollevare la questione non solo nella fase di accertamento dello stato passivo, ma anche nella fase successiva della ripartizione dell’attivo e della collocazione del credito del socio finanziatore sul ricavato della

liquidazione. La regola della postergazione ha efficacia reale e si applicherà anche nei confronti dei creditori particolari del socio o degli acquirenti dal medesimo.

Da ultimo, è stato menzionato il rapporto che intercorre tra postergazione legale e postergazione convenzionale, con riferimento alla priorità nel riparto dell’attivo. A questo proposito, sembrerebbe doversi graduare l’ordine dei rimborsi, dando precedenza al credito legalmente postergato su quello convenzionalmente subordinato: in quanto nel primo caso la postergazione è una libera scelta delle parti, mentre nella seconda ipotesi è l’intervento legale che con la qualifica di quel credito, interviene a correggere gli effetti negoziali dell’operazione.

Creditori postergati nel sistema delle classi dei creditori

La regola della postergazione è applicabile anche nell’ipotesi di concordato preventivo, là dove l’impresa si trova in uno stato di crisi non irrimediabile e irreversibile.

Alla luce delle novità introdotte dalla riforma (l. 2006 n. 5), occorre distinguere l’ipotesi in cui il debitore abbia suddiviso in classi i creditori, da quella in cui, invece, non abbia formato alcuna classe nella proposta.

A tale proposito, l’art. 160 l. fall. prevede che il piano proposto dal debitore possa indicare

«c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse».

In primo luogo, la norma prevede la possibilità di trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, senza distinguere tra creditori chirografari e privilegiati. Al riguardo, occorre chiedersi se sia possibile creare una classe dei finanziatori postergati anche nell’ipotesi di non integrale soddisfazione degli altri creditori della società.

Dalla prima casistica giurisprudenziale non emerge un orientamento comune sul punto.

Il Tribunale di Messina (sentenza 29 DICEMBRE 2005), ad esempio, ha omologato una proposta di concordato che non prevedeva il pagamento dei crediti chirografari postergati. La decisione è stata motivata dai giudici siciliani sul presupposto che non fosse possibile prevedere la soddisfazione dei creditori postergati se la proposta di concordato non contemplava il pagamento integrale degli altri creditori chirografari.

Al contrario, il Tribunale di Bologna (sentenza 26 GENNAIO 2006) ha ritenuto legittimo un piano di concordato preventivo che prevedeva la soddisfazione dei creditori postergati, nonostante la soddisfazione non integrale degli altri creditori chirografari.

I giudici bolognesi hanno ritenuto sufficiente un diverso trattamento tra creditori chirografari e postergati per rispettare il nuovo dettato legislativo, posto che è stata abrogata ogni soglia minima nella promessa satisfattiva rivolta alle varie tipologie di chirografari.

Inoltre, i giudici bolognesi rilevano la diversità dell’interesse economico dei creditori “postergati” rispetto agli altri creditori chirografari, tale da giustificare un diverso trattamento giuridico e un diverso ordine nel diritto al rimborso.

Le pronunce citate offrono due diverse interpretazioni del testo normativo riformato.

La prima pronuncia sembra rispecchiare in modo più fedele i principî tradizionali in materia di soddisfazione dei crediti; la decisione del Tribunale di Bologna sembra, invece, attuare la volontà del legislatore della riforma di favorire le soluzioni concordate della crisi con l’introduzione di una maggiore flessibilità dei criteri del piano concordatario, finalizzati alla soddisfazione degli interessi specifici e concreti dei creditori dell’impresa. A conferma di questo orientamento, per altro verso, il Tribunale di Bologna ha omologato una proposta di concordato che prevedeva una classe di creditori postergati in cui erano compresi i sottoscrittori del prestito obbligazionario convertibile, anche in assenza di una soddisfazione integrale degli altri creditori chirografari.

La previsione di una classe dei creditori postergati non determina necessariamente una situazione di conflitto d’interesse. E’, infatti, possibile che le quote del socio siano già state pignorate dai creditori particolari dello stesso in sede di esecuzione individuale, cosicché chiamati a pronunciarsi sulla proposta di concordato sarebbero soggetti diversi dagli stessi soci. I creditori particolari del socio, così come i cessionari, saranno postergati nella soddisfazione del credito, in quanto la qualificazione di postergazione legale del credito ha efficacia reale, cosicché sarà produttiva di effetti anche nei confronti del successivo cessionario.

La postergazione non implica un’esclusione dal concorso, ma costituisce, semmai, un privilegio negativo, cosicché il titolare del credito postergato avrà diritto ad essere soddisfatto in misura sussidiaria rispetto agli altri creditori, anche prescindendo dall’integrale soddisfazione dei creditori chirografari.

Non si capirebbe, in caso contrario, il riferimento che il legislatore opera nell’art. 160, legge fallimentare, alla differente posizione giuridica, quale presupposto per la creazione di differenti classi dei creditori. La postergazione esplica, quindi, la funzione di creare a favore dei creditori chirografari non postergati, una prelazione nel pagamento, non escludendo, però, dal riparto dell’attivo i creditori postergati.

Il rimborso del finanziamento

L’art. 2467 c.c. prevede, infine, l’obbligo in capo al socio di restituire il rimborso del finanziamento avvenuto nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento.

Una parte della dottrina ha qualificato l’obbligo di restituzione del rimborso come un’ipotesi di indebito oggettivo, per cui il pagamento eseguito in pendenza di una condizione legale di efficacia – la postergazione – deve reputarsi non dovuto.

A differenza dell’azione  revocatoria fallimentare, infatti, l’anomalia che giustifica il rimborso non sussiste nel momento in cui viene compiuto l’atto suscettibile di revoca (il rimborso, appunto), ma nel momento in cui viene concesso il finanziamento.

La reazione alla restituzione degli apporti dei soci non deve, quindi, considerasi conclusa con gli art. 2467 c.c. e 65, legge fallimentare, in quanto anche quando queste due norme non trovano applicazione, le pretese alla restituzione sono azionabili sulla base delle regole sull’indebito oggettivo.

In quest’ottica, appare possibile che l’amministratore agisca per la restituzione anche dei crediti ultrannuali, qualora fornisca la prova che la ripetizione sia avvenuta durante uno stato di crisi. Ne consegue che il rimborso deve considerasi ripetibile.

Infatti, gli stessi amministratori potrebbero essere considerati civilmente responsabili se, nel corso della vita della società, rimborsassero i finanziamenti dei soci e siffatto rimborso fosse determinato da un errore di valutazione della situazione societaria o da un comportamento doloso.

Tuttavia, altra dottrina ha osservato che la fattispecie dell’indebito oggettivo richiede l’assenza di un titolo che giustifichi il pagamento, mentre, nel caso di specie, il titolo esiste, è liquido, esigibile e certo33. Il rimborso non è condizionato alla presenza di liquidità per la soddisfazione dei creditori sociali, ma alla sopraggiunta dichiarazione di fallimento.

Appare, dunque, a parere di ASSONIME, preferibile ritenere che l’art. 2467 c.c. preveda una nuova figura di revocatoria ex lege, posto che l’unica differenza fra le due ipotesi consiste nella conoscenza della situazione di crisi. Nel caso dell’art. 2467 c.c. questa è presunta iuris et de iure dal legislatore, cosicché il curatore non dovrebbe dimostrare la conoscenza del socio dello stato

d’insolvenza della società.

E’ pur vero che la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del socio di s.r.l. non dovrebbe presentare particolari problemi, dato il potere di controllo che lo stesso detiene sullo svolgimento dell’attività societaria.

La stabilità degli effetti del rimborso si manifesta una volta decorso l’anno dalla dichiarazione di fallimento della società, in quanto le uniche azioni proponibili sono quelle dell’art. 2467 c.c. e 65, l. fall.

La funzione della restituzione risiede, infatti, nel ripristino della par condicio, in quanto la restituzione del rimborso è strumentale all’applicazione della regola della postergazione nel concorso fra più creditori.

La restituzione della somma consente di allargare l’attivo residuo su cui i creditori sociali possono far valere le proprie ragioni.

Per approfondire: I finanziamenti soci: prassi operativa, contabilità e profili fiscali

Antonino Romano

6 AGOSTO 2007