Il controllo di gestione nella Pubblica Amministrazione

Il legislatore nazionale ha da molti anni percepito l’importanza o meglio la necessità di introdurre, anche nella Pubblica Amministrazione, strumenti di gestione di derivazione privatistica. A cura di Emanuele Costa.

 Il percorso di avvicinamento ad un sistema di amministrazione simile a quello in uso presso le aziende private è avvenuto in seguito alla progressiva emanazione di norme finalizzate all’inserimento della contabilità economica ad integrazione di quella finanziaria.

 Infatti, mentre la contabilità finanziaria rileva i fatti amministrativi solo ed esclusivamente analizzandone l’impatto monetario (entrata, uscita, avanzo/disavanzo), quella economica non esclude questa tipologia di rilevazione, ma la supporta con informazioni di natura economica (costi, ricavi, margini).

 

L’orientamento dei provvedimenti, ancora a livello embrionale, hanno dato la sensazione di un opportuno repentino cambio di rotta rispetto ad un sistema di gestione delle risorse pubbliche basato sulla semplice misurazione contabile dell’azione amministrativa.

 

Le norme che nel tempo si sono susseguite hanno costretto gli operatori a costruire le fondamenta per lo sviluppo step by step di un lavoro destinato a ridurre il gap esistente tra il modello gestionale delle aziende private, caratterizzato da elasticità/flessibilità, e quello delle Amministrazioni Pubbliche, improntato alla rigidità/complessità.

 

Con la rilevazione dei fatti di gestione sotto il profilo economico, l’Ente Pubblico ha così affiancato le tradizionali informazioni finanziarie a quelle economiche, necessarie per migliorare la valutazione preventiva e prospettica di processi decisionali idonei per un efficace funzionamento della res publica.

 

In quest’ottica, gli operatori del settore sono stati invitati, dall’input normativo, ad abbandonare schemi stereotipati, frutto di prassi preistoriche senza logica e di un radicato modus operandi informato al detto “si è sempre fatto così e bisogna continuare a farlo”.

 

In pratica, gli attori sono stati sensibilizzati all’approccio di una filosofia di pensiero caratterizzata dalla concreta consapevolezza che una scelta amministrativa può avere una convenienza applicativa se analizzata anche in ambito economico, anziché limitare lo studio di fattibilità esclusivamente all’aspetto finanziario.

 

E’ alquanto singolare che ogni indirizzo gestionale, che nel settore privato si colloca nell’alveo delle decisioni manageriali, limiti il campo di analisi confinandolo alla sterile verifica delle disponibilità finanziarie esistenti sul capitolo/intervento di imputazione della pertinente spesa.

 

Infatti, è paradossale pensare che il perseguimento dell’interesse generale sia frutto di decisioni, che trovano in un documento di tipo autorizzatorio dei vincoli, anziché delle opportunità.

 

In altre parole, qualsiasi deliberazione che impatta sul benessere collettivo (nazionale, regionale o locale) dovrebbe comprendere anche un’analisi di redditività, intesa come capacità di generare reddito o, in alternativa, utilità sociale.

 

L’impalcatura del sistema contabile ancora in uso presso la maggior parte della Pubblica Amministrazione, unitamente ad una scarsa cultura manageriale propensa al cambiamento, giustifica la differenza di terminologia utilizzata per definire il modello gestionale come:

q     flessibile/elastico, per il settore privato;

q     complesso/rigido, per l’ambiente pubblico.

 

La flessibilità/elasticità nasce dalla capacità e volontà del management aziendale di modellare decisioni già adottate con rapidità per:

q     sfruttare opportunità precedentemente ignorate;

q     reagire a minacce provenienti dall’ambiente esterno/interno;

nel rispetto di un obiettivo generale condiviso all’interno dell’organizzazione, che trova la sua giustificazione nella necessità di continuare ad esistere sul mercato.

 

L’azienda, quindi, si configura come entità che, dovendo sopravvivere nella giungla concorrenziale, affida la gestione ad un management camaleontico, capace di sviluppare un processo decisionale in qualsiasi contesto, senza traumatizzare la mission grazie ad un mutamento appropriato e idoneo a garantirne la continuità operativa.

 

La complessità/rigidità, per contro, si manifesta con l’incapacità e mancanza di volontà degli Amministratori pubblici (politico/amministrativi) di intervenire con tempestività nella prospettiva di un miglioramento, in termini di qualità/efficienza, dei servizi erogati alla comunità locale di riferimento, per:

q     modificare scelte già deliberate;

q     affrontare cambiamenti normativi;

in quanto, all’interno dell’organizzazione, è scarsa la sensibilità nei confronti di un target condiviso e non è recepito alcun pericolo in merito alla sopravvivenza dell’Ente.

 

La Pubblica Amministrazione si presenta come un’organizzazione che, non essendo soggetta alla procedura concorsuale del fallimento, è gestita come un pachiderma, con la conseguenza che non è in grado di cogliere le opportunità derivanti da qualsiasi cambiamento, impattando i risultati in sinuosi meandri procedurali oppure sacrificando potenziali effetti benefici al rispetto formale di regole burocratiche.

 

Proprio per contrastare questa mentalità, ma anche nella direzione del perseguimento dell’obiettivo generale di abbattimento della spesa pubblica, il legislatore è intervenuto con una serie di provvedimenti finalizzati a spingere l’azione amministrativa verso regole gestionali maggiormente aderenti alla realtà, uscendo dallo schema di controllo delle attività fondato sulla burocrazia.

 

Un Amministratore sensibile ai problemi della comunità che governa, oggi è sempre più consapevole che i servizi pubblici potranno essere di qualità superiore solamente se i processi posti in essere saranno capaci di soddisfare le esigenze della cittadinanza e non se avranno rispettato formalmente i procedimenti amministrativi, che, nel loro contenuto, sono disinteressati all’effettivo bisogno della società di riferimento.

 

Le regole organizzative sulle quali ancora oggi ruota il governo della Pubblica Amministrazione si imperniano su logiche:

q     giuridico formali – è necessario interpretare rigidamente la norma, considerando solo ed esclusivamente ciò che il dettato dispositivo recita, tralasciando i margini di libertà insiti in ciò che non è disciplinato espressamente;

q     procedurali – la mancanza di creatività fa sì che è importante “fare e compilare” piuttosto che “pensare e risolvere”;

q     di competenza – in altri termini, occorre limitare la propria attività a ciò che compete, non interferendo sull’attività dell’ufficio che ha generato l’input e non coinvolgendo gli uffici ai quali è diretto l’output;

q     autoreferenziali – è essenziale rispettare ciò che la forma impone, senza preoccuparsi se la sostanza dei risultati prodotti genera benefici all’utente finale.

 

Il legislatore, per ciò che gli compete, ha riconosciuto con le norme l’importanza di andare oltre il concetto di controllo di stampo burocratico, inteso come preciso rispetto di formalità, per meglio orientare l’azione amministrativa grazie al supporto strategico del controllo di estrazione manageriale.

 

Conseguentemente, per effetto di valutazioni economiche preventive e prospettiche, sarà possibile migliorare l’allocazione delle risorse (umane, strumentali, tecnologiche e finanziarie) per ottenere risultati apprezzabili in termini di soddisfazione da parte dei diretti interessati.

 

Operando in questa direzione, miglioreranno gli indici di assorbimento dei fattori produttivi, che qualche lettore potrebbe correttamente intendere come sinonimo di minor spreco o maggiore efficienza, rappresentando la genesi per lo sviluppo di ulteriori benefici sociali.

 

Si innescherà un circolo virtuoso di generazione di nuove risorse da quelle esistenti, senza dover chiedere nulla, in termini di risparmio forzoso, ai cittadini, i quali si troveranno beneficiari di servizi pubblici migliori senza la richiesta di un sacrificio supplementare.

 

La stessa dottrina ravvisa l’esigenza che «per la pubblica amministrazione un punto di svolta decisivo sul piano dell’efficienza e della funzionalità si può avere con il passaggio dallo sfruttamento delle capacità esecutive (controllo burocratico) all’attivazione ed al pieno sfruttamento delle capacità di adattamento dell’azione al mutamento e di rinnovamento dei processi amministrativi (controllo manageriale)» (Elio BORGONOVI – «Azienda Pubblica» – Maggioli Editore).

 

In un contesto caratterizzato sempre più da scenari in continua istantanea evoluzione, l’Amministratore pubblico deve saper affrontare, ma soprattutto risolvere, i bisogni della comunità, gestendo l’approccio al problem solving con dinamismo, grazie alla combinazione sinergica di tutti gli strumenti a supporto delle decisioni.

 

L’attenzione si sposta, quindi, dal rispetto di regole ridondanti al controllo dei risultati, riducendo il time to market necessario affinché la soluzione prospettata si traduca in linee guida verso l’adozione di provvedimenti idonei a produrre gli effetti desiderati.

 

Coloro che hanno la possibilità di manovrare le leve decisionali all’interno dell’Ente dovranno convincersi, ma più di ogni altra cosa condividere l’idea, che la comunità di riferimento si aspetta un deciso miglioramento sia dell’efficienza interna, sia dell’efficacia degli interventi.

 

Solo una gestione che ottimizza i costi di funzionamento della struttura pubblica sarà capace di individuare e destinare una quantità maggiore di risorse a processi di produzione ed erogazione di servizi in grado di rispondere, con successo, alle aspettative della cittadinanza.

 

Il perseguimento dell’economicità di gestione, che non deve assolutamente tradursi come taglio di risorse, ma migliore allocazione di quelle disponibili, deve diventare l’obiettivo primario di tutti gli Amministratori pubblici.

 

Essi devono acquisire la consapevolezza che attraverso il potenziamento della struttura, per effetto di un crescente sviluppo delle capacità organizzative interne, si potrà arrivare ad offrire servizi sempre più personalizzati, nel rispetto delle strategie definite a monte e dei vincoli di bilancio tradotti a valle.

 

In un ambiente caratterizzato da una pluralità e complessità di variabili in gioco, si colloca il processo di Controllo di Gestione, come insieme di attività in grado di mettere a disposizione della direzione politico/amministrativa informazioni utili per governare la realtà attraverso l’adozione di politiche razionali.

 

Si tratta di un orientamento di natura economico/aziendale in quanto il carburante che alimenta l’attività del controller è costituito da una gestione razionale delle risorse disponibili, per rendere razionale l’attività di consumo delle risorse non solo finanziarie.

 

In questa direzione, non si può pensare di impostare le attività del Controllo di Gestione senza aver delineato a monte quelle di programmazione, al fine di assicurare, per effetto del continuo confronto obiettivi/risultati, la realizzazione delle finalità dell’Ente.

 

Sotto questo aspetto, il Controllo di Gestione si concretizza in un’attività che per essere efficacemente implementata necessita di una preventiva e capillare analisi delle peculiarità del singolo Ente e della sua organizzazione interna, al fine di comprendere e chiarire cosa si intende per qualità/efficienza ed efficacia e tradurre le definizioni in concreti sistemi di misurazione.

 

Il Controllo di Gestione nell’Amministrazione Pubblica è, quindi, prima di tutto una sfida culturale senza precedenti, dal momento che ogni individuo non percepisce con favore qualsiasi processo di cambiamento che va ad incidere sulla sfera lavorativa.

 

La novità è guardata con sospetto, poiché costituisce un pericolo latente che influenza quell’ambito gestionale conquistato con fatica nel tempo, in altri termini l’orientamento al cambiamento è tradotto come la progressiva perdita di un potere consolidato, che non si ritiene suscettibile di mutamento, sia esso migliorativo o innovativo.

Le prime risorse dovranno perciò essere investite nel processo di comunicazione interno nella speranza di far condividere agli Amministratori che il Controllo di Gestione non è finalizzato all’ispezione e alla punizione, ma è uno strumento di guida indirizzato a verificare le attività nell’ottica della ricerca continua del miglioramento.

 

Un Amministratore pubblico particolarmente illuminato che saprà inquadrare il Controllo di Gestione come essenziale strumento di decision support system per la pianificazione strategica, potrà garantire, da un lato, un reale miglioramento dell’efficacia dell’azione amministrativa e, dall’altro, un livello qualitativo dei servizi offerti alla cittadinanza sensibilmente migliorato.

 

Il crescente livello di soddisfazione percepito dalla comunità locale si tradurrà in consenso per i risultati raggiunti, ricucendo quello strappo che nel tempo ha progressivamente allontanato il cittadino dalla gestione dell’Amministrazione Pubblica, nei confronti della quale è invece l’elemento centrale del suo buon funzionamento.

 

Emanuele Costa

Maggio 2007