Il recesso del socio nelle società di capitali

In materia di recesso del socio da società di capitali, il nuovo diritto societario introduce rilevanti novità che differenziano il trattamento giuridico del recesso nelle società per azioni
rispetto alla medesima regolamentazione riferita alle società a responsabilità limitata. In quest’ultime la regolamentazione statutaria può apportare significative differenze che possono rendere più personalizzata la disciplina nelle società a responsabilità limitata.

Sintesi

In materia di recesso del socio da società di capitali, il nuovo diritto societario introduce rilevanti novità che differenziano il trattamento giuridico del recesso nelle società per azioni
rispetto alla medesima regolamentazione riferita alle società a responsabilità limitata. In quest’ultime la regolamentazione statutaria può apportare significative differenze che possono rendere più personalizzata la disciplina nelle società a responsabilità limitata.

Aspetti preliminari del recesso in una società di capitali

La recente riforma del diritto societario, ha apportato significative novità in materia di recesso da società di capitali, con la possibilità, nelle società a responsabilità limitata, di accrescere l’autonomia statutaria in materia. Appare rilevante, distinguere nelle quote liquidate ai soci, la componente della quota che rappresenta una restituzione di capitale, irrilevante sotto il profilo reddituale, dalla componente della medesima quota con rilevanza reddituale. A tal fine l’art. 86, comma 5-bis, del T.U.I.R. relativamente alle partecipazioni possedute in regime d’impresa, così recita:
Nelle ipotesi dell’articolo 47, commi 5 e 7, costituiscono plusvalenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.

La norma, quindi, stabilisce che nelle ripartizioni di capitale e riserve (ndr anche a seguito di recesso ) è considerata plusvalenza, solo il valore che eccede il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione stessa. L’istituto del recesso, si pone come mediazione tra l’esigenza dei soci di non restare vincolati senza possibilità di uscita dalla società e l’esigenza della società di salvaguardare l’integrità del capitale sociale. In altri termini, con il recesso, da un lato il socio viene posto nella condizione di sciogliere il rapporto sociale e di monetizzare l’investimento – la partecipazione sottoscritta nella società – mentre dall’altro la società viene posta nella condizione di proteggere l’entità del capitale da un evento che ne determina la riduzione.

Rispetto alla vecchia disciplina codicistica che vedeva l’istituto del recesso come un istituto a valenza straordinaria, azionabile solo in alcune tassative ipotesi, la nuova, nel superare il principio di tassatività delle motivazioni del recesso, ha liberalizzato l’istituto concedendo ai soci spazi più ampi di manovra.

Ad esempio l’art. 2437, comma 3°, del c.c. in materia di S.p.A. recita: Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il
socio può recedere con preavviso di almeno 180 giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno.

La disposizione codicistica appena riportata conferma la radicalità dell’innovazione normativa in materia di recesso che apre ad una maggiore libertà dei soci in materia. La conferma di siffatta apertura, verso una maggiore libertà dei soci rispetto alla volontà di proseguire o interrompere il rapporto sociale, trova il suo rafforzamento nell’ultimo comma dell’art. 2437
laddove si afferma che…

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