I messaggi WhatsApp non sono solo parole su uno schermo: possono avere valore legale e costituire prova in giudizio.
Ma come vengono valutati? Possono davvero determinare l’esito di una causa? Tra dubbi sull’affidabilità e verifiche di autenticità, ecco cosa dice la giurisprudenza su un tema sempre più attuale e controverso.
I messaggi WhatsApp sono da considerare documenti elettronici in quanto rappresentano atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e, pur non essendo firmati, rientrano nel novero delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 codice civile, rivestendo piena efficacia probatoria sempreché la parte contro cui vengono prodotti non disconosca la conformità ai fatti rappresentati (Cassazione n. 1254/2025).
Attenzione al valore legale dei messaggi su Whatsapp
L’uso di messaggi whatsapp è ormai largamente utilizzato nelle relazioni personali e, grazie all’utilizzo su computer e cellulari, sta diventando più frequente anche nei rapporti di lavoro commerciali.
I messaggi salvati sulla memoria di un telefono cellulare sono da considerarsi prove documentali e possono essere legittimamente acquisiti tramite riproduzione fotografica.
Occorre premettere che per il tema in esame l’art. 2712 codice civile (“Riproduzioni meccaniche”) stabilisce che:
“… ogni rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime“.
Il contenuto della messaggistica istantanea può essere introdotto nel giudizio mediante deposito di trascrizioni delle conversazioni elettroniche elaborate da un consulente tecnico e accompagnate da una attestazione di conformità all’originale rilasciata da notaio o altro pubblico ufficiale
Ciò significa che i messaggi estratti da una chat sono utilizzabili come prova digitale sempreché sia possibile verificarne la provenienza e l’affidabilità.
I testi di messaggistica istantanea (ad es. whatsapp) possono essere utilizzati come prova anche nel processo tributario e nel caso di loro utilizzabilità con quali modalità devono essere prodotti in giudizio.
In virtù delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 2, D.Lgs n. 546/1992, secondo cui i giudici tributari possono applicare le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, quelle del codice di procedura civile, la messaggistica whatsapp può trovare applicazione come fonte di prova scritta anche nel processo tributario, anche se manca giurisprudenza di legittimità e di merito che possa convalidare e rendere effettivo quanto precede.
Il caso: decreto ingiuntivo provato tramite messaggi
Nel caso di specie, la società ricorrente ha proposto opposizione avverso un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di serramenti.
Il Tribunale civile, ritenendo insufficiente la prova del credito, ha accolto l’opposizione, mentre la Corte d’appello ha riformato l’esito del primo grado poiché ha ritenuto provato il debito relativo alla fattura a sostegno del decreto ingiuntivo con un messaggio whatsapp.
La società ha presentato ricorso alla Suprema Corte, contestando l’uso della copia fotografica del messaggio whatsapp e sostenendo che non era stata garantita la certezza sulla provenienza e autenticità dell’autore del messaggio.
L’art. 633 del codice procedura civile, nel regolare le condizioni di ammissibilità della tutela monitoria, prevede che su istanza del creditore di una somma di denaro il giudice può emettere l’ingiunzione di pagamento «se del diritto fatto valere si dà prova scritta» (non specificando se debba essere cartacea o anche digitale).
I giudici di legittimità hanno ritenuto che i messaggi whatsapp e gli sms contenuti nella memoria di un telefono cellulare hanno valore probatorio, a condizione che ne sia verificata la provenienza e l’affidabilità; sono da considerare documenti elettronici in quanto rappresentano atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e, seppur privi di firma, rientrano nel novero delle riproduzioni informatiche previste di cui all’art. 2712 codice civile, sempreché la parte contro cui vengono prodotti non disconosca la conformità ai fatti rappresentati (cfr. Tribunale di Urbino n. 244/2024).
Essi sono classificati tra le prove documentali conosciute dal nostro ordinamento tramite una qualificazione nei termini di riproduzione informatica.
L’eventuale disconoscimento di cui all’art. 2712 codice civile deve essere chiaro e circostanziato ed essere sostenuto da prove documentali attestanti la mancata corrispondenza tra la realtà fattuale e il documento prodotto, poiché non sono sufficienti le asserzioni generiche contenute nell’atto difensivo, senza produrre le “circostanze idonee”.
Le copie fotografiche di scritture (art. 2719 codice civile) hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, quando la loro conformità con l’originale è attestata da un pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta. La semplice trascrizione dei messaggi WhatsApp non è utilizzabile senza la produzione dei supporti informatici contenenti le conversazioni.
La Suprema Corte non ha accolto il ricorso ribadendo la natura probatoria dei messaggi conservati nella memoria del telefono cellulare.
Non è la prima volta che la giurisprudenza tratta di tali messaggi
In tema di mezzi di prova, i messaggi “whatsapp” e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti e soggiacciono alle regole stabilite dall’art. 234 codice procedura penale, sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 codice procedura penale (Cassazione Penale n. 12746/2024).
“I messaggi “whatsapp” e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi” (Cassazione S.U., n. 11197/2023).
I messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ex art. 234 codice procedura penale, sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non applicandosi né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza ex art. 254 codice procedura penale: infatti, non si è in presenza della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della mera documentazione ex post di detti flussi (Cassazione n. 38678/2023).
La stampa dei messaggi whatsapp che attestano l’esistenza di un credito è prova informativa idonea per l’accoglimento di un ricorso per decreto ingiuntivo (Giudice di pace di Latina 2399/2021; cfr. Tribunale di Milano 6935/2021).
La giurisprudenza di merito ha ritenuto che le chat whatsapp (cfr. Cassazione Penale n. 49016/2017), e in generale le conversazioni all’interno di app di messaggistica istantanea, possono essere utilizzate come prova all’interno del processo tributario sebbene la loro utilizzabilità sia tuttavia condizionata all’acquisizione della del supporto telematico o figurativo contenente tale registrazione, così da poterne accertare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto (CTP di Reggio Emilia n. 105/2021).
NdR: potrebbero interessarti anche…
Messaggio Whatsapp: valido come prova nel processo
Martina Di Giacomo
Venerdì 21 febbraio 2025