Cooperative sociali: attenzione alla reperibilità notturna

Nel settore delle cooperative sociali, la reperibilità notturna è solo una disponibilità o va trattata come orario di lavoro? Il contratto collettivo prevede un’indennità forfettaria per chi è reperibile nelle strutture residenziali continuative, ma una recente sentenza della Cassazione apre a nuovi scenari inediti per i diritti dei lavoratori, riconoscendo quel tempo come lavoro effettivo. Cosa cambia effettivamente per i lavoratori?

Cooperative sociali: la reperibilità notturna nel CCNL

cooperative sociali reperibilità notturnaL’art. 57 del Contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali prevede che nelle strutture residenziali continuative, al lavoratore a cui è richiesta la reperibilità con l’obbligo di residenza nella struttura stessa, per tale reperibilità debba essere riconosciuta una indennità forfettaria pari ad euro 77,47 mensili. Indennità che può essere aumentata nel caso in cui la reperibilità sia svolta in orario notturno, compreso fra le ore 24:00 e le ore 07:00. In tal caso al lavoratore è riconosciuta una somma forfettaria pari ad euro 20,00 per ciascuna notte di effettivo servizio.

Il CCNL prevede, poi, che nel caso in cui la reperibilità si trasformi in un intervento lavorativo vero e proprio, le ore effettivamente lavorate vengono considerate come lavoro straordinario, remunerato secondo gli accordi contenuti nell’art. 53 del contratto collettivo stesso.

In sintesi, il CCNL delle cooperative sociali non considera la reperibilità obbligatoria in struttura come un effettivo “orario di lavoro” ma come una specie di disponibilità del lavoratore a favore della cooperativa, retribuita con delle somme forfettarie e sganciate dalle effettive ore di reperibilità messe a disposizione.

 

Corte di Cassazione: reperibilità in struttura come orario di lavoro

A una conclusione diametralmente opposta arriva la Corte di Cassazione sezione Lavoro, la quale introduce un principio di diritto ben chiaro: la reperibilità obbligatoria in struttura è da considerarsi a tutti gli effetti come “orario di lavoro”, e come tale va debitamente remunerato secondo i principi dell’art. 36 della Costituzione.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un lavoratore di una cooperativa sociale che ha svolto un servizio di reperibilità notturna per tre notti alla settimana immediatamente al termine del turno di lavoro serale e per il quale non gli è stata riconosciuta l’indennità come lavoro straordinario ma bensì solo l’indennità forfettaria mensile prevista per l’appunto dall’art. 57 del CCNL nazionale delle cooperative sociali.

La Corte di Cassazione si richiama, nel suo articolato giudizio, ai principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea con le sentenze C-303/98 e C-151/02 nelle quali si afferma che i periodi di reperibilità, anche senza obbligo di presenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”. Scrive la Cassazione nella sentenza in commento:

i periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”; a maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei confronti di quest’ultimo, al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità”.

L’Unione Europea (direttiva 2003/88) definisce orario di lavoro” un qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Di contro definisce come “periodo di riposo” qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro. Appare evidente come l’obbligo di reperibilità notturna non può essere contemplato come “caso terzo” rispetto a quello che l’Unione Europea considera come orario di lavoro o come riposo. Affermazione questa che trova riscontro nella sentenza della Corte di Giustizia Europea causa C-580/19:

la Corte ha considerato che, nel corso di un periodo di guardia del genere, il lavoratore, tenuto a permanere sul luogo di lavoro all’immediata disposizione del suo datore di lavoro, deve restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale e beneficia di una minore libertà di gestire il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale. Pertanto, l’integralità di siffatto periodo deve essere qualificata come “orario di lavoro”, ai sensi della direttiva 2003/88, a prescindere dalle prestazioni di lavoro realmente effettuate dal lavoratore nel corso di suddetto periodo”.

 

Quale compenso riconoscere per la reperibilità notturna in struttura?

Giunti alla conclusione che la reperibilità notturna in struttura è senz’altro da considerare come “orario di lavoro”, la Corte di Cassazione si interroga su quale debba essere il corretto compenso da riconoscere al lavoratore per tale reperibilità, specificando che quest’ultima non debba essere necessariamente retribuita come se fosse lavoro straordinario. Il criterio da utilizzare nel quantificare il compenso per la reperibilità in struttura deve “essere conforme al principio di retribuzione proporzionata e dignitosa, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa”.

Nel cassare la sentenza della Corte di Appello (che aveva respinto il ricorso del lavoratore) e nel rinviarla alla stessa seppur in diversa composizione, per quantificare il compenso dovuto al lavoratore per le ore di reperibilità obbligatoria in struttura, la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto:

In base alla normativa dell’Unione Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni; l’obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost.”.

 

Fonte: Corte di Cassazione Sezione Lavoro, Sentenza numero 10653 del 5 febbraio 2025.

 

Giovanni Benaglia

Giovedì 29 maggio 2025