Oggi affrontiamo il tema dell’importanza della teoria della creazione del valore economico sia in fase di valutazione dell’attività aziendale che per l’implementazione di nuove strategie imprenditoriali.
La teoria della creazione del valore economico
La teoria di creazione di valore economico viene proposta in letteratura verso la fine degli anni ’80, quando sono ormai chiari ai più i pregi e limiti del modello contabile tradizionale.
Le scuole di pensiero che l’hanno elaborata sono quelle delle Università newyorkesi: quelle più vicine a Wall Street.
Dopo l’antesignano lavoro di William Fruhan dal titolo emblematico Financial strategy: studies in the creation, transfer, and destruction of shareholder value (Homewood, Ill. : R. D. Irwin 1979), meritano una segnalazione i lavori successivi lasciano l’Harvard Business School per geolocalizzarsi alla Columbia (A. Rappaport) e alla New York University (Baruch Lev).
In particolare Alfred Rappaport nel 1987, con il suo Creating Shareholder Value, propose che per la valutazione delle performance di un’impresa non ci si accontentasse di valutarne la Redditività (Roi), ma la capacità di produrre Shereholder Value Added.
Questa capacità di creazione del valore è da ascriversi alla capacità di un’impresa di remunerare tutti i fattori produttivi, compreso il capitale di rischio. Così nasceva il VRoi (Value Return on investment).
Sin da allora si colse che era centrale in questa teoria era la determinazione del costo del capitale di rischio (o anche costo dei mezzi propri) indicato con la sigla Ke (Cost of equity).
Per maggiori iriferimenti sulla teoria della creazione del valore economico leggi qui
Valutare la congruità del ROE
In base ad esso, infatti, era possibile valutare la congruità del Roe di un’impresa e procedere anche nel calcolo del valore economico utilizzandolo per determinare:
- Free cash flow, attraverso un’attualizzazione con quel tasso dei flussi di cassa attuali o prospettici (metodo proposto dalla McKinsey);
- Economic Value Added, nettizzando il Reddito operativo dopo le tasse con Oneri Finanziari che contenevano sia degli oneri legati all’indebitamento verso terzi sia degli oneri figurativi legati al Costo del Capitale di rischio e alla percentuale da questo rappresentato sul totale delle fonti di risorse finanziarie.
Il combinarsi del costo del Capitale di rischio (Ke) con il Costo dei Mezzi di Terzi (Ki) e il suo peso nel mix delle fonti di risorse finanziarie determinano il Weighted Avarage Cost of Capital (Wacc – Costo medio del Capitale o anche delle Risorse finanziarie).
Oggi il professor Roger Martin ci offre un’ulteriore rilettura della non sempre perfetta comprensione del Ke (cost of equity – costo del capitale di rischio o anche dei mezzi propri) e del significato di Eva o di suoi indicatori considerati equivalenti, per l’apprezzamento della capacità di creare valore. Le sue riflessioni, pubblicate su Hbr, sono state riproposte da Hbr Italia e messe a disposizione degli studiosi a questo link.
La creazione di valore economico è un concetto strategicamente rilevante
In What Managers Get Wrong About Capital (HBR, May-June 2020) le riflessioni di Roger Martin possono essere così sintetizzate.
- La creazione di valore economico è un concetto strategicamente rilevante: un’impresa deve creare valore economico attraverso un aumento del suo patrimonio netto.
- Il modello contabile non consente di determinare l’entità del valore creato da un’impresa e si rimanda al mercato finanziario per una valutazione della “capacità di creare valore prospettico” di un’impresa.
- Il mercato per effettuare questa valutazione si basa sulle aspettative di creazione di valore in futuro, aspettative che sono date da un mix tra ipotesi di sviluppo dei settori in cui opera un’impresa e l’entità degli investimenti in Asset reversibili o irreversibili. Così, ade esempio, con molti asset irreversibili (come elevati investimenti in impianti altamente specializzati) le imprese sono strutturalmente e strategicamente molto rigide, soluzione ottima solo se il mercato vede crescere o mantiene i volumi.
- L’EVA, che per essere calcolata guarda al solo conto economico e al passato, non è un metodo particolarmente orientato al futuro e non dice niente sulle aspettative degli investitori; in più non spinge molto a guardare agli Assets in termini di loro contributo prospettico.
- Per questo motivo, quando si misurano le performance degli investimenti, non si deve guardare solo al valore attuale degli asset e neanche alla loro Redditività, più o meno in grado di remunerare il Capitale di rischio (Ke) ma alla loro capacità di generare nuovo valore in futuro (flussi di cassa prospettici).
Queste riflessioni sono pienamente condivisibili e come sanno bene coloro che mi seguono in aule reali o virtuali, ci si deve concentrare non sulla ricerca di una “misura perfetta” del valore, ma sulle determinanti del valore che sono di solito Asset Intangibili e, per di più, spesso Reversibili.
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A cura di Alberto Bubbio e Luca Bianchi
Sabato 29 Gennaio 20220
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