In questo intervento esamineremo la recente R.M. 11.8.2017, n. 112/E con la quale l’Agenzia ha affrontato il tema del Credito per le imposte pagate all’estero in ipotesi di tassazione per trasparenza della società estera in capo al socio controllante italiano in base alla disciplina sulle controlled foreign companies di cui all’art. 167 del Tuir.
I chiarimenti forniti sono particolarmente interessanti anche perché la tesi sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria è particolarmente favorevole al contribuente.
Il caso
La Risoluzione n. 112/E/2017 oggetto di analisi affronta il caso di una società italiana Alfa spa che detiene una partecipazione totalitaria nella società Beta residente ad Hong Kong ed avente ad oggetto lo svolgimento di funzione di distributore dei prodotti a marchio Alfa nel territorio asiatico.
Da tempo Alfa tassa per trasparenza i redditi prodotti dalla società Beta indicandoli nel quadro RM della propria dichiarazione.
Non viene specificato nella risoluzione le ragioni di tale tassazione per trasparenza che potrebbero essere alternativamente due:
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in primo luogo, la società italiana potrebbe non essere in grado di dimostrare nessuna delle due esimenti di cui all’art. 167 c. 5 del Tuir. Peraltro, l’esimente di cui alla lettera b, ossia l’effettivo assoggettamento a tassazione in un Paese a fiscalità ordinaria almeno il 75% del reddito della CFC risulta generalmente di difficile dimostrazione. Spesso ci si orienta verso l’esimente di tipo a, ossia quella connessa allo svolgimento di un effettiva attività industriale o commerciale della società figlia;
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in seconda ipotesi, la società italiana, pur potendo ad esempio dimostrare l’esimente di tipo a), preferiva la tassazione per trasparenza in quanto Hong Kong pur risultando un paese a fiscalità privilegiata, si caratterizzava per un livello impositivo non prossimo allo zero, per cui la tassazione per trasparenza evitava quel fenomeno distorsivo che discendeva dall’impossibilità della società italiana di scomputare in occasione della percezione di dividendi, come credito di imposta, le imposte pagate dalla società di Hong Kong (questo aspetto distorsivo è stato eliminato ad opera dell’art. 3 del D.Lgs. 147/2015).
La tassazione per trasparenza determina la possibilità ti scomputarsi un credito a fronte delle imposte pagate dalla società di Hong Kong. Nell’ambito di un controllo fiscale la società italiana Alfa ha documentato il carico fiscale sostenuto dalla società di Hong Kong (Beta).
Alfa ha evidenziato nella propria dichiarazione dei redditi, al quadro RM colonna 5, tra le imposte assolte all’estero da Beta, anche delle ritenute alla fonte subite su pagamenti che Beta ha ricevuto per servizi di consulenza resi a due società distributrici del gruppo Alfa, per il mercato di Taiwan e Malesia. Le società che hanno pagato queste consulenze operando le ritenute sono residenti a Taiwan, in Malesia e nelle Filippine. Dalle informazioni fornite da Alfa emerge che queste ritenute non risultano scomputabili come credito per le imposte pagate all’estero dalla società cfc in Hong Kong.
In sostanza, Alfa ha chiesto nel quadro RM un credito d’imposta non solo per le imposte effettivamente pagate dalla controllata nello Stato di Hong Kong, ma anche in relazione alle imposte che la società di Hong Kong ha pagato all’estero e che non è riuscita a scomputarsi dal proprio carico fiscale di Hong Kong.
Dalla risoluzione si appura che queste prestazioni di servizi sono qualificate come canoni e che viene applicata una ritenuta del 30% dalle società residenti nelle Filippine, del 10% dalle società residenti in Malesia e del 20% dalle società residenti a Taiwan. Il fatto che l’imposta subita all’estero non sia scomputabile a Hong Kong ha portato la società Beta ad indicarle come costo che Alfa ha ritenuto non deducibile nel quadro FC, infatti, è stata fatta una variazione in aumento nel rigo FC7 del quadro FC.
La non deducibilità delle imposte è connessa al riconoscimento delle stesse come credito. La questione che la risoluzione affronta è se e a quali condizioni si possa recuperare come credito in Italia anche le imposte pagate da Beta non ad Hong Kong, bensì in altri Paesi sotto forma di ritenute.
Prima di esaminare la soluzione data dall’Agenzia proviamo a sviluppare il ragionamento proponendo alcune soluzioni alternative.
Le possibili soluzioni alla questione
Nel silenzio della norma, la casistica potrebbe trovare queste possibili soluzioni alternative che di seguito commenteremo:
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lo scomputo come credito in Italia delle imposte pagate dalla cfc deve limitarsi necessariamente alle imposte sostenute nel paese in cui la cfc controllata è collocata ossia, nel caso di specie, solo per le imposte pagate ad Hong Kong;
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le imposte pagate dalla CFC sono sempre scomputabili in Italia anche se sostenute in paesi diversi da quello in cui è collocata la CFC;
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applicazione del criterio previsto al paragrafo 8.2 della circolare del 5 marzo 2015, n. 9/E il quale prevede per le stabili organizzazioni lo scomputo delle imposte pagate nel Paese della stabile ( nel nostro caso ad Hong Kong) al lordo delle imposte pagate in altri paesi esteri;
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si ammette lo scomputo non solo delle imposte pagate ad Hong Kong, ma anche di quelle sostenute in altri paesi esteri. Tuttavia, lo scomputo è ammesso con l’accortezza di verificare che queste imposte pagate in altri paesi non siano scomputabili ad Hong Kong.
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Lo scomputo delle imposte pagate dalla CFC deve limitarsi necessariamente alle imposte sostenute nel paese in cui la CFC controllata è collocata
Questa prima interpretazione appare particolarmente restrittiva e non in linea con lo spirito del legislatore. Infatti, si trascura che anche le società paradisiache, soprattutto quelle reali che svolgono effettiva attività industriale e commerciale, possono realizzare dei redditi in altri paesi e subire varie forme di tassazione. Si pensi al caso della società cfc che detiene altre partecipazioni e che subisce ritenute su dividendi che le figlie pagano alla madre, o ancora sugli interessi che le stesse corrispondono alla casa madre a fronte di finanziamenti ricevuti.
Si pensi, inoltre, al caso in cui questa società paradisiaca operi in altri paesi attraverso stabili organizzazioni. In una simile fattispecie è facile immaginare che la stabile organizzazione potrà subire un prelievo fiscale non irrilevante. Del resto, come il prelievo fiscale della stabile estera di una CFC può essere un elemento dirimente per concedere l’esimente di tipo b), allo stesso modo, qualora questa esimente manchi, non si vede perché non considerare il carico fiscale anche come scomputabile nel calderone delle imposte pagate dalla CFC. Questa prima interpretazione, pertanto, non appare accettabile.
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Le imposte pagate dalla cfc sono sempre scomputabili anche se sostenute in paesi diversi da quello in cui è collocata la cfc
La seconda soluzione risolve radicalmente i problemi evidenziati nella precedente ipotesi ammettendo lo scomputo non solo delle imposte pagate a Hong Kong ma anche delle altre imposte subite in paesi esteri in cui opera la controllata CFC. Si tratta di una impostazione che sicuramente agevola il contribuente ma che, secondo onestà intellettuale, si presta a possibili abusi o fenomeni distorsivi. Il limite di questa soluzione risiede nel fatto che non viene in alcun modo richiesto al paese della CFC (nel nostro caso Hong Kong) di tentare lo scomputo delle imposte pagate all’estero dalla CFC stessa. Secondo questa impostazione, infatti, la controllante italiana potrebbe detrarre le imposte pagate a Hong Kong e all’estero anche in queste due casistiche.
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La società di Hong Kong potrebbe scomputare le imposte pagate all’estero sotto forma di ritenute in quanto ciò è ammesso dalla normativa interna e dall’eventuale convenzione contro doppie imposizioni stipulata tra Hong Kong e il paese della società che opera la ritenuta; tuttavia la società di Hong Kong non si preoccupa di tale scomputo per errore o magari perché l’operazione richiede una serie di adempimenti burocratici-amministrativi che la cfc non intende eseguire1.
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La società di Hong Kong non può scomputarsi le imposte pagate all’estero tuttavia esiste una convenzione, in vigore con il paese estero, che prevedrebbe la non applicazione della ritenuta. In questo caso la società di Hong Kong con l’ausilio della convenzione, sarebbe legittimata a chiedere il rimborso all’Amministrazione Finanziaria del paese che ha operato la ritenuta. Si tratta di una procedura sicuramente pesante dal punto di vista amministrativo e dei costi da sostenere. Anche in questo caso la società di Hong Kong potrebbe quindi preferire subire una maggior tassazione rinunciando al rimborso, e di fatto ottenendo questo rimborso come credito di imposta in capo alla controllante italiana.
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Applicazione del criterio previsto al paragrafo 8.2 della circolare del 5 marzo 2015, n. 9/E il quale prevede per le stabili organizzazioni lo scomputo delle imposte pagate ad Hong Kong al lordo delle imposte pagate in altri paesi esteri
Riprendiamo per chiarezza il contenuto del paragrafo 8.2 della C.M. 9/E/2015.
La circolare correttamente segnala che le imprese italiane, che operano per il tramite di una stabile organizzazione situata in un altro paese, possono essere assoggettate a tassazione in una molteplicità di paesi terzi in relazione a redditi che risultano attribuibili alla stabile. La circolare fa l’esempio delle ritenute su dividendi, interessi e canoni, non contemplando l’incerta e discutibile figura della stabile organizzazione della stabile organizzazione.
Si pone quindi il problema di capire come possa essere recuperato sotto forma di credito di imposta un’eventuale ritenuta operata in un paese della fonte diverso da quello in cui è collocata la stabile.
Riprendiamo l’esempio del par. 8.2. della Circolare.
Una banca italiana concede finanziamenti a un soggetto residente nello stato C per il tramite di una stabile localizzata nello Stato B. Sugli interessi attivi che spettano alla stabile organizzazione dello Stato B viene operata una ritenuta dallo stato C.
La circolare precisa correttamente che lo stato C effettua la ritenuta prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni vigente, non tra lo Stato C e lo Stato B (Paese della stabile), bensì tra quella in vigore tra lo Stato C (paese della fonte) e l’Italia (paese della casa madre).
Il problema che la circolare affronta è quello di capire se l’Italia, paese di residenza della casa madre, che tassa per trasparenza i redditi prodotti dalla stabile nel paese B,2 sia tenuta a riconoscere un credito d’imposta anche a fronte dei prelievi effettuati nel paese C, oppure soltanto a fronte dei prelievi subiti nel paese B dove si trova la stabile organizzazione. La questione viene risolta, consapevoli della “finalità di risolvere la doppia imposizione perseguita tramite l’istituto del credito d’imposta”, dando rilevanza alle imposte pagate nello stato B di localizzazione della stabile organizzazione, al lordo dello sgravio eventualmente concesso da tale Stato per le imposte prelevate nell’ulteriore Stato C.
La circolare evidenzia che, se lo Stato B (paese della stabile organizzazione) ha riconosciuto lo scomputo delle ritenute subite nello Stato C, il credito che viene riconosciuto in Italia deve tenere conto anche delle imposte che sarebbero dovute nello Stato B ma che non sono state pagate per effetto della detrazione ivi riconosciuta.
Chiariamo con un esempio. Si ipotizzi che la stabile organizzazione abbia un’imposta sul reddito societario lorda di 100, dalla quale viene scomputato come credito un ammontare di ritenute subite nello Stato C pari a 20. La stabile pertanto, nel suo paese B, pagherà un’imposta netta di 80. In base al contenuto della Circolare 9/E/2015, l’Italia non concede un credito di imposta a fronte delle imposte pagate nello Stato B e nello Stato C, bensì ammette un credito di imposta solamente sulle imposte pagate nello Stato B, tuttavia considerandolo al lordo delle ritenute subite nel paese C.
Il risultato nell’esempio proposto è assolutamente equivalente. Infatti, è lo stesso dire che è ammesso lo scomputo delle imposte solo dello Stato B ammettendo però uno scomputo di 100, piuttosto che ammettere lo scomputo di 80 (imposta netta pagata nello Stato B) e lo scomputo di ulteriori 20 (ritenuta applicata nello Stato C).
La soluzione, tuttavia non risulta appagante nel caso in cui la ritenuta di 20 dello Stato C risulti effettivamente dovuta in base alla normativa interna di detto Stato e in base alla normativa interna del Paese B della stabile organizzazione non sia ammessa la detrazione e non vi sia nessuna tutela convenzionale.
In questo ultimo caso il prelievo fiscale complessivo della stabile organizzazione ammonta a 120, dove 100 sono dovuti nel Paese B e 20 sono subiti nel Paese C.
Non vi sono in questi casi elementi ragionevoli per negare un credito di imposta di 120. Si aggiunga, inoltre, che la circolare 9/E subordina il riconoscimento del credito per le imposte pagate dalla stabile in una Paese diverso da quello di localizzazione, mediante la lordizzazione dell’imposta pagata in tale ultimo Stato, alla sussistenza di condizioni di reciprocità.
In altri termini, recita testualmente la circolare:
“il credito d’imposta non sarà concesso al lordo delle imposte pagate nello Stato terzo qualora, al verificarsi della situazione speculare di una stabile organizzazione in Italia di un soggetto residente in un altro Stato, tale ultimo Stato non riconoscesse, a sua volta, il credito per le imposte italiane al lordo di quelle pagate in un Paese terzo”.
La valutazione della sussistenza di questa condizione di reciprocità può essere tutt’altro che agevole. Il contribuente, infatti, potrebbe farsi rilasciare il parere di un professionista ma non è detto che il consulente locale sia in grado di fornire una adeguata risposta sul punto. Del resto anche il consulente italiano, senza il supporto della C.M. 9/E/2015, potrebbe avere non poche perplessità sulla questione.
L’applicazione anche al caso della cfc dei chiarimenti forniti per la stabile organizzazione era stata proposta dalla Direzione che ha posto il quesito.
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Si ammette lo scomputo non solo delle imposte pagate ad Hong Kong ma anche di quelle sostenute in altri paesi esteri tuttavia, con l’accortezza di verificare che queste imposte pagate in altri paesi non siano scomputabili ad Hong Kong.
Secondo l’ultima possibile soluzione, che chi scrive ritiene di condividere, lo scomputo in capo alla controllante italiana, deve riguardare sia le imposte di Hong Kong, sia quelle pagate all’estero dalla CFC. Tuttavia non si condivide né un criterio permissivo come quello evidenziato al punto 2, che sembra richiedere come unica condizione l’effettivo pagamento di dette imposte, né il criterio dello scomputo al lordo che la C.M. 9/E/2015 ha previsto per le stabili organizzazioni, in quanto presenta le criticità già evidenziate nel precedente pt 3.
In sostanza, ad avviso di chi scrive, lo scomputo delle imposte estere in capo alla controllante italiana, pur potendo avvenire sia in relazione alle imposte pagate a Hong Kong, sia in relazione alle imposte pagate all’estero e non scomputate a Hong Kong, richiederebbe a monte la seguente verifica:
- la normativa di Hong Kong, neppure integrata dalla disposizioni di una eventuale convenzione con il paese della fonte, non consente lo scomputo delle imposte pagate all’estero dalla cfc;
- la convenzione contro le doppie imposizioni tra Hong Kong e il paese della fonte, se esistente, non consente alla società di Hong Kong di richiedere a rimborso la ritenuta subita nel paese estero.
Questa tesi, invero più restrittiva rispetto alla nr. 2, richiede comunque una ragionevolezza in merito alle prove che il contribuente deve fornire circa l’impossibilità di recuperare in qualche modo l’imposta subita nello Stato C. Ad esempio, dovrebbe esser ritenuta sufficiente una dichiarazione in tal senso da parte della società cfc, eventualmente ed opportunamente corroborata da un parere di un professionista locale.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia chiarisce che, in relazione al reddito della CFC, non assume alcuna rilevanza la definizione di “reddito prodotto all’estero” in quanto si ha a riguardo ai redditi conseguiti dal soggetto estero imputati per trasparenza al socio residente. Nel regime cfc, pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, non trovano applicazione:
- il criterio della lettura a specchio dell’art. 23 contenuto nell’art. 165 co. 2 in base al quale i redditi si considerano prodotti all'estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall'articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato;
- il criterio di collegamento stabilito nella specifica convenzione contro le doppie imposizioni;
- il criterio della “per country limitation” di cui al al citato art. 165 c. 3 che impone di operare il calcolo della detrazione singolarmente per ciascun Stato estero di produzione del reddito.
Secondo l’Agenzia, nel regime CFC, il credito è calcolato in via isolata con riferimento a tutti i redditi della società estera secondo il diverso meccanismo della “per company limitation”.
Secondo l’Agenzia, queste peculiarità giustificano la formulazione contenuta nel secondo periodo dell’art. 167 c. 6, dove viene fatto un generico riferimento alle “imposte pagate all’estero a titolo definitivo” senza alcuna limitazione territoriale che circoscriva il credito solamente alle imposte pagate nel paese di residenza della CFC.
Viene inoltre evidenziato che non viene operato alcun richiamo nello stesso comma 6, al comma 1 del medesimo articolo 165 secondo cui la detrazione spetta solo per le imposte “ivi pagate”.
Inoltre, non opera nemmeno l’ulteriore condizione dell’art. 165 c. 1 secondo cui il credito spetta “fino a concorrenza della quota di imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo”, in quanto si tratta di previsioni incompatibili con il meccanismo della tassazione separata del reddito da CFC.
Ulteriore elemento evidenziato dalla risoluzione a sostegno della tesi secondo cui il credito di imposta non può limitarsi all’imposta pagata nel paese della cfc è costituito dal richiamo all’art. 3 c. 3 del D.M. 21/11/2001 n. 429, ove si stabilisce che possono “essere ammesse in detrazione le imposte pagate all’estero a titolo definitivo dall’impresa, società o ente non residente”, ovvero quelle pagate dalla sola CFC. In sostanza, anche il decreto non sembra porre particolari limitazioni.
La risoluzione conclude, pertanto, nel senso di ritenere che le imposte estere accreditabili in Italia, in caso di imputazione per trasparenza dei redditi conseguiti dalla società controllata non residente ai sensi dell’articolo 167, comma 1, del TUIR, consistano non solo nelle imposte pagate dalla medesima nel proprio Stato di residenza ma anche in quelle assolte in altri Paesi esteri, nella misura in cui le stesse siano rimaste effettivamente a carico della CFC.
A sostegno della propria tesi l’agenzia evidenzia che la soluzione proposta risulta in linea “con gli esiti del Report OCSE ‘Designing Effective Controlled Foreign Company Rules’, relativo all’Action 3 del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), che raccomandano la previsione di disposizioni domestiche idonee a garantire l’eliminazione della doppia imposizione che si determina per effetto dell’applicazione della disciplina CFC”.
L’Agenzia ricorda anche che “Il medesimo orientamento, volto a riconoscere il credito in relazione a tutte le imposte assolte dalla controllata estera sul reddito imputato al socio per trasparenza, è stato accolto anche nella Direttiv 2016/1164 del Consiglio UE del 12 luglio 2016 recante “norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (cfr. articolo 8, par. 7, c.d. Direttiva ATAD)”.
Osservazioni critiche
Dall’esame della Risoluzione n. 112 emerge chiaramente che la tesi dell’Agenzia non può in alcun modo collocarsi nella nostra tesi numero 1.
Riteniamo, inoltre, che l’Agenzia delle Entrate non accolga nemmeno la tesi numero 3, ossia l’assimilazione della CFC alla stabile organizzazione. Ciò in quanto il testo della risoluzione non fa alcun riferimento al punto 8.2 della C.M. 9/E/2015 ed, inoltre, anche la lettura del testo stesso porta ad una interpretazione che sembra incompatibile con l’assimilazione alla stabile, in quanto non si fa mai riferimento ad un imposta lorda della cfc ma si fa riferimento sempre all’imposta del paese della cfc e dei paesi esteri.
Pur con l’incertezza del caso, pare di poter ritenere che l’Agenzia aderisca alla tesi numero 2, ossia alla possibilità di scomputare le imposte pagate anche in paesi diversi da quello della CFC senza significative limitazioni3.
Un ulteriore aspetto che non trova soluzione nella Risoluzione e che è stato evidenziato in dottrina, attiene alla possibilità/necessità di considerare le imposte di altri paesi esteri in occasione del credito di imposta indiretto introdotto dal D.Lgs. 147/2015 sui dividendi provenienti da società cfc per le quali ha operato l’esimente di tipo a). Sul punto si ricorda che la C.M. 4 agosto 2016 n. 35 part. 3.6 chiarisce che il credito di imposta indiretto deve rispettare le modalità di calcolo e limitazioni previste dall’art. 165 del tuir.4
Ennio Vial
1 Si potrebbe ipotizzare, prescindendo assolutamente dal caso concreto, che uno Stato cfc possa ammettere anche lo scomputo di imposte pagate all’estero solo a condizione di fornire una adeguata documentazione probatoria. Questo adempimento amministrativo potrebbe risultare particolarmente gravoso per cui la società di Hong Kong rinuncia allo scomputo consapevole che il maggior prelievo fiscale sarà compensato da una minor tassazione in capo alla controllante italiana.
2 All’epoca della circolare non era ancora in vigore art. 168ter relativo al regime della branch exemption introdot/eto solo successivamente dal d.lgs. 147/2015.
3 A meno di non attribuire particolari significati all’espressione “nella misura in cui le stesse [imposte] siano rimaste effettivamente a carico della CFC” contenuta a pagina 6 della risoluzione.
4 S. Sanna, “La controllante detrae tutte le imposte pagate dalla cfc” in Eutekne.info del 12/08/2017.