Iva di gruppo assolta da controllante società di persone

l’opzione per la gestione dell’IVA di gruppo può avvenire anche quando la società capogruppo è una società di persone – analisi della sentenza di cassazione che ha ammesso questo principio

soci collegati1. Considerazioni generali

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con ordinanza n. 1915/16 del 01/15/2015 pubblicata il 02/02/2016, sancisce la possibilità anche per le Società di Persone, capogruppo/Società controllante, di liquidare l’Iva in misura consolidata stabilendo l’importante principio dell’assoluta gerarchia che concerne il sistema della fonti del diritto all’interno del nostro ordinamento.

Il gruppo di imprese è un schema organizzativo di cui si avvale l’imprenditore nell’esercizio della propria attività e si concretizza in una pluralità di soggetti, sia economicamente che giuridicamente autonomi, riuniti sotto la direzione amministrativa e finanziaria di un’impresa “capogruppo”.

Al gruppo di imprese, nell’ambito dell’ordinamento tributario, viene riconosciuta, a vario titolo, un’autonoma soggettività passiva ma anche effetti legali dal punto di vista civilistico.

In particolare, ai fini della tassazione del reddito d’impresa dei soggetti passivi Ires, il Tuir prevede, all’art. 117 e seguenti, l’istituto del “consolidato fiscale”, mediante il quale, nel rispetto di determinate condizioni soggettive e oggettive, le imprese, a fronte di un’unica obbligazione tributaria, possono compensare redditi e perdite determinando un unico reddito imponibile (o perdita deducibile) “globale” e la corrispondente imposta e di trasferire le eccedenze I.Re.S. maturate nei confronti dell’Erario.

Per quanto riguarda l’assolvimento degli obblighi Iva, l’art. 73, terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito anche “Decreto Iva”) disciplina la procedura di liquidazione dell’Iva di gruppo, le cui disposizioni applicative sono contenute nel D.M. del 13 dicembre 1979 n. 11065 (di seguito anche “Decreto Attuativo”), mentre la prassi amministrativa è contenuta nella circolare ministeriale del 28/02/1986 n. 16/360711. In questo caso, tuttavia, il gruppo assume una propria autonomia fiscale solo dal punto di vista dei rapporti con il Fisco.

Il D.P.R. 633/1972 accoglie quanto previsto dall’art. 4 par. 4 della direttiva 77/388/CE (c.d. “VI Direttiva CEE“, Direttiva del Consiglio del 17/05/1977) che permette agli Stati membri di prevedere la soggettività passiva dei gruppi di imprese legati da particolari vincoli partecipativi che, dunque, possono compensare le proprie posizioni creditorie e debitorie determinando un’unica posizione nei confronti dell’Erario.

A livello comunitario, il regime dell’Iva di gruppo è disposto dall’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE (di seguito anche “Direttiva IVA”) che individua come soggetto passivo unitario le “persone stabilite nel territorio dello Stato che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi” (comma 1). La Commissione UE, per favorire un recepimento più uniforme negli ordinamenti dei singoli Stati Membri1, ha dettato alcune linee guida in ordine all’applicazione dell’art. 11 della Direttiva IVA. In particolare è stabilito che in primo luogo il gruppo costituisce, di per sé, un soggetto passivo, alla stessa stregua degli altri soggetti passivi, quindi a esso competono gli stessi diritti e obblighi e in quanto soggetto passivo, dovrebbe essere dotato di un proprio numero di identificazione Iva; tale procedura può essere adottata solo dalle Società e le stabili organizzazioni stabilite nello Stato UE che applica la disciplina dell’Iva di gruppo (regime esteso a tutti i settori economici); infine i legami di natura finanziaria, economica ed organizzativa, necessari ai fini della soggettività passiva unitaria del gruppo, devono sussistere contemporaneamente e simultaneamente tale da rendere nulli i rapporti intercorrenti tra le società del gruppo ed evidenziare un unico soggetto giuridico. Si tratta di una impostazione, come confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che ha il pregio di semplificare l’aspetto definitorio della soggettività passiva e che tiene in debita considerazione il principio di neutralità del tributo indiretto. La “persona” che non rientra in tale definizione non può considerarsi soggetto passivo IVA e, in via correlata, non dispone del diritto di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti di beni e servizi2.

Tale disciplina quindi implica il superamento degli stereotipi giuridici tipici della tassazione indiretta, considerando il Gruppo come unico soggetto passivo d’imposta e dall’altro lato il consolidamento sia degli imponibili ma anche del relativo debito o credito d’imposta.

A livello nazionale invece, la materia della tassazione di gruppo ai fini Iva è contenuta nell’art. 73 del Decreto Iva (rubricato “Modalità e termini speciali”) con il quale il legislatore nazionale ha conferito al Ministero delle Finanze il potere di stabilire, con propri decreti, le modalità di presentazione della dichiarazione Iva e di liquidazione del tributo, da parte di un ente o di una Società che controlla uno o più soggetti. Tale potere si è realizzato con la pubblicazione del D.M. n. 11065 del 13 dicembre 1979 (“Decreto Attuativo”).

Al comma 3 del relativo articolo su menzionato la disposizione recita infatti che “ Il Ministero delle finanze può disporre con propri decreti, stabilendo le relative modalità, che le dichiarazioni delle società controllate siano presentate dall’ente o società controllante all’Ufficio del proprio domicilio fiscale e che i versamenti … siano fatti all’Ufficio stesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente o dalla società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze detraibili”. Inoltre, nell’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 73 d.p.r. 633/72 stabilisce che “si considera controllata la società per cui le azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente”.

Quindi dal punto di vista prettamente pratico l’Iva viene assolta in maniera puramente facoltativa od opzionale da parte della Controllante, per cui le relative posizioni giuridiche delle controllate vengono trasmesse in capo alla società capogruppo consentendone un più facile assolvimento degli oneri amministrativi, contabili e fiscali improntati ad ottenere una situazione complessiva (creditoria ovvero debitoria) di gruppo che permetta l’assolvimento o la richiesta di rimborso, dell’imposta in maniera più celere, efficiente ed efficace.

2. Profili Operativi

In tale situazione si inserisce l’attuazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria governativa attraverso il D.M. del 13/12/1979 per il quale, i soggetti partecipati alla tassazione di gruppo, come previsto dall’art. 2 del Decreto Attuativo, possono essere esclusivamente Società per azioni, in accomandita per azione e a responsabilità limitata e, dunque, alle sole società di capitali. Secondo l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate (cfr. risoluzione del 3 luglio 2009, n. 171), inoltre, anche le società consortili, laddove fossero costituite nelle stesse forme delle società di capitali, hanno facoltà di partecipare all’Iva di gruppo.3

Sotto il profilo della residenza fiscale, nel silenzio della norma e del Decreto Attuativo, l’Agenzia delle Entrate, successivamente ad una prima nota restrittiva, ha affermato la possibilità, a certe condizioni, di estendere alle Società residenti nell’Unione Europea il regime dell’Iva di gruppo.

Infatti, l’ambito applicativo dell’art. 73, c. 3, del d.P.R. 633 del 1972, è esteso anche alle società comunitarie la cui forma giuridica sia sostanzialmente equipollente a quella delle società di capitali di diritto italiano, a condizione che esse siano soggetti Iva in Italia (cfr. ris. 21 febbraio 2005, n. 22/E).

Detta condizione, come ricordato dalla stessa risoluzione 22/E del 2005, può essere soddisfatta o tramite l’esistenza di una stabile organizzazione, o con la nomina di un rappresentante fiscale, ovvero mediante l’identificazione diretta ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. n. 633 del 1972 (cfr. la norma di comportamento n. 167 del 28 giugno 2007, AIDC)

Secondo il Decreto ministeriale, si considerano controllate le società, costituite nella forma di società per azioni, in accomandita per azioni e responsabilità limitata le cui azioni o quote sono possedute per una percentuale superiore al 50% del loro capitale4, fin dall’inizio dell’anno precedente, dall’ente o società controllante. La percentuale di possesso del capitale sociale è calcolata senza tener conto delle azioni prive del diritto di voto.

Per poter determinare l’Iva su base consolidata, è necessario che ricorrano alcuni requisiti soggettivi, cioè che:

a. la società controllante sia una società di capitali o un ente diverso dalle società;

b. la società controllante abbia una partecipazione di controllo superiore al 50% del capitale delle controllate. Il requisito del controllo si sostanzia nel possesso di una percentuale maggiore del 50% delle azioni o quote della Società partecipata. La soglia richiesta dalla norma è determinata al netto delle azioni prive del diritto di voto, quali sono, ad esempio, le azioni emesse ai sensi dell’art. 2351 cod.civ. (cioè azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti, oppure con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative);

Osserva

Oltre al rapporto partecipativo diretto, il controllo si considera verificato anche nel caso in cui sia esercitato indirettamente, attraverso un c.d. “controllo a cascata”. In questo caso, ovviamente, devono comunque essere rispettate, in ogni rapporto, le soglie di partecipazione al capitale tra controllanti e controllate. Per quanto riguarda le Società o enti controllanti, invece, l’art. 2 del DM 13 dicembre 1979 (Decreto Attuativo), pone come condizione che il controllo sia esercitato attraverso una partecipazione superiore al 50% del capitale delle controllate, sin dall’inizio dell’anno solare precedente.

In merito a tale ultimo requisito (c.d. temporale), la Corte di Cassazione, ha sostenuto che il requisito del possesso è mirato a neutralizzare la possibilità di far “transitare” occasionalmente, all’interno del gruppo, le Società con ingenti debiti Iva che compensino altrettanti crediti, e “che il tale vincolo soggettivo all’accesso all’Iva di gruppo non ha ragione di esistere nel momento in cui una Società viene costituita a seguito di conferimento” (cfr. Cass. 9 marzo 2007, n. 55031).

c. le società controllate abbiano la forma giuridica di società di capitali;

d. il possesso della partecipazione di controllo sussista fin dall’inizio dell’anno solare precedente a quello in relazione al quale si esercita l’opzione per il regime speciale.

3. La risoluzione delle antinomie da parte della Suprema Corte

Il principio sollevato dalla Cassazione riguarda essenzialmente una caratterizzazione dei soggetti, che possono essere ammessi al regime opzionale dell’Iva di gruppo, più ampia rispetto a quanto sancito dal Decreto ministeriale e dalla circolare dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, l’impostazione logica dell’art. 73 del Decreto Iva, non dispone la restrizione dei soggetti coinvolti alle sole società di capitali ma l’estensione del regime ad ogni Società o Ente controllante. Di fatto si configura per la Suprema Corte un’incompatibilità tra il decreto ministeriale, di grado inferiore rispetto alla norma di legge contenuta nell’art. 73 del d.p.r. 633/1972.

Infatti considerando la gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento i regolamenti così come definiti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge, per cui tale incompatibilità ripone l’illegittimità della trattazione della specifica fattispecie alla mera regolamentazione da parte dell’Amministrazione statale, principio peraltro incompatibile, sotto certi aspetti anche con il diritto comunitario di regolazione del mercato europeo.

Quindi come afferma la Suprema Corte, “i regolamenti sono gerarchicamente subordinati alle leggi, le quali, in caso contrario, prevalgono…”.

La sentenza disegna fortemente tre elementi a sostegno della propria decisione; la presenza di un elemento testuale sulla definizione di società controllante, l’elemento testuale sulla definizione di società controllate ed infine l’elemento finalistico.

Per quanto riguarda il primo elemento sia l’art. 73 c. 3 del dpr 633/1972 che il Decreto ministeriale al comma 2 non escluderebbero dal novero delle Società controllanti anche le società di persone, divenendo anche lo stesso decreto ministeriale oggetto di relativa interpretazione con una circolare interna all’Amministrazione finanziaria stessa nella quale esclude dalla cerchia le Società di persone. Essendo la circolare ministeriale gerarchicamente inferiore sia al regolamento sia alla legge, si ritiene che non sia lecito escludere dal novero delle controllanti anche la presenza di società di persone come capogruppo.

Per quanto riguarda la presenza dell’elemento testuale relativo alle Società controllate, sia il Decreto ministeriale che la circolare escludono dal categoria le società di persone. La norma principale dell’art. 73 c. 3 del d.p.r. 633/1972 invece non pone alcun accenno all’esclusione delle società di persone dall’applicazione della disciplina opzionale dell’Iva di gruppo ma delinea le modalità e alle finalità per i quali la controllante detiene il controllo sulla controllata, nel caso specifico di Società di Capitali.

Quindi sempre per il principio della gerarchia delle fonti dell’ordinamento, la norma prevale sia sul regolamento (ovvero il Decreto ministeriale) che sulla circolare amministrativa.

L’ultimo elemento analizzato dalla Suprema Corte è appunto l’elemento finalistico. Tale elemento riguarda essenzialmente l’applicabilità per analogia della liquidazione di gruppo considerando il modello opzionale della tassazione su base consolidata e la rigidità dei sistemi contabili delle società di capitali rispetto a quello delle società di persone.

C’è appunto da considerare come il modello di tassazione su base consolidata è delineata ex lege sotto i profili di compatibilità soggettiva ed oggettiva. Infatti, la tassazione ai fini delle imposte dirette prevede, sia una definizione di soggetti che opzionalmente possono aderire al consolidato di gruppo, ma anche sotto il profilo oggettivo per quanto concerne la definizione di controllo, dove la normativa fiscale diviene più precisa rispetto al quadro civilistico, ed infine le modalità di applicazione del tributo.

Dal punto di vista strettamente contabile invece a prescindere dalla rigidità con cui vengono tenute le scritture contabili delle Società di Capitali rispetto ad una maggiore possibile flessibilità data alle società di persone, tali “adempimenti in materia contabile ai fini iva non presentano differenze in funzione della natura del soggetto d’imposta …(omissis)…”, anzi si può affermare infatti che sussista una disparità di trattamento delle Società di Persone nell’ambito dei gruppi di società, ammessi al regime Iva di gruppo, rispetto ad altri soggetti (Società di capitali) organizzati in gruppi che operano nello stesso mercato.

4. Conclusioni

La sostanza di legittimità, si esplica quindi nella risoluzione di quelle antinomie intese in tutti quei casi in cui vi è incompatibilità tra due norme che disciplinano una medesima fattispecie.

Tale presenza di antinomie è per il sottoscritto patologica se appunto l’intento dell’amministrazione è restringere il campo di applicazione della procedura di liquidazione di gruppo ad una cerchia ben definita di soggetti; le antinomie divengono però fisiologiche nella mera presenza nell’ordinamento giuridico di una pluralità di fonti del diritto in esso esistenti. Da ciò discende che il problema è puramente di interpretazione, nel caso specifico tale risoluzione è secondo il criterio gerarchico lex superior inferiori derogat.

Il problema si può contestualizzare considerando l’aspetto positivo della disciplina sulle modalità di tassazione a livello di gruppo ai fini Iva, unendo a ciò la prassi amministrativa ai fini di una più corretta applicazione della procedura e del calcolo del tributo.

Infatti, coerentemente all’analisi della Cassazione in merito alla soggettività giuridica dei soggetti coinvolti all’espletamento della procedura di determinazione e dichiarazione dell’imposta, per cui si ritiene che possa costituirla ogni Società o ente, si debba tener conto del fatto che tale procedura possa essere imputata solo ed esclusivamente con dei sistemi contabili idonei a quantificare l’eventuale onere di imposta e quindi in un certo senso sempre per il principio di parità di trattamento e per finalità di interesse pubblico visto in misura indiretta, far adottare nel caso di specie alle società di persone “Capogruppo” gli stessi sistemi ordinari di contabilità esplicati dalle stesse società di capitali.

Il sistema delineato dall’art. 73, c. 3, del Decreto Iva e disciplinato dal D.M. del 13 dicembre 1979 n. 11065, è caratterizzato dal mantenimento della soggettività passiva di ogni singola società appartenente al gruppo, concretizzandosi, di fatto, in una semplificazione meramente procedurale nella liquidazione dell’Iva. L’art. 11, c. 2, della direttiva 2006/112/CE5 (norma comunitaria) prevede, invece, che “ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma sostanzialmente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”. Ciò significa che, il legislatore nazionale, non ha recepito il principio comunitario di individuazione di un unico soggetto passivo, ma ha previsto, ai soli fini procedurali, lasciando ad ogni società appartenente al gruppo la propria soggettività passiva, un metodo speciale di compensazione dei saldi di imposta in capo alla capogruppo.

Peraltro, la Commissione Europea, proponendo le proprie considerazioni in merito alla corretta applicazione dell’art.11 della Direttiva Iva nei singoli ordinamenti nazionali, ha precisato che “un gruppo viene considerato un soggetto passivo unico, ne consegue logicamente che il gruppo piò soltanto essere identificato, ai fini dell’IVA , mediante un numero IVA unico, conformemente all’art. 214 della direttiva IVA, ad esclusione di qualsiasi altro numero IVA individuale” (cfr. comunicazione COM(2009) 325 del 2 luglio 2009.6

Come evidenziato da una parte della dottrina, dunque, “il completo recepimento del principio comunitario in tema di Iva di gruppo non può che passare per l’attribuzione al gruppo un’unica soggettività passiva a prescindere dalla natura giuridica (in luogo di tutte quelle dei soggetti appartenenti al gruppo) e, di conseguenza, un unico numero di partita Iva, in modo che sia l’Amministrazione finanziaria, sia gli operatori di mercato possano identificare coloro che effettuano operazioni rilevanti ai fini Iva”7.

7 luglio 2016

Sabino Losito

1 Comunicazione 325 del 27 luglio 2009 COM (2009); sul tema, l’interpretazione dominante fornita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE privilegia la necessità di ampliare la nozione di soggetto passivo al fine di garantire la neutralità dell’impostaCGCE, sentenza del 20 giugno 1991, causa C-60/90, Polisar Investments Netherlands BV v. Inspecteur der Invoerrechten en Accijnzen, in Racc., p. I-239.

2 Sentenze CGCE, sentenza dell’8 febbraio 2007, causa C-435/05, Investrand BV v Staatssecretaris van Financiën, in Racc., p. I-1315 e CGCE, sentenza del 29 ottobre 2009, causa C-29/08, Skatteverket v. AB SKF,  n Racc., p. I- 10413.

3 La stessa Amministrazione aveva già affermato in tema di consolidato fiscale con la risoluzione 15 marzo 2007, n. 52/E, sostenendo che, “lo scopo consortile, attiene all’oggetto sociale e non al tipo di Società e, dunque, ai fini dell’accesso alla tassazione di gruppo, queste Società seguono le regole del modello societario secondo cui sono costituite”.

4 Per esempio, se la Società Rossi controlla la Società Gialli al 70% e quest’ultima, a sua volta, possiede il 60% delle azioni o quote del capitale della Società Colore, è possibile per Rossi “consolidare” il debito o credito Iva di Colore. Eventualmente, anche la Società “intermedia” Gialli può optare per il regime dell’Iva consolidata, a condizione, però, che la Società che la controlla rinunci alla possibilità di avvalersi del regime di gruppo, come controllante. A differenza di quanto previsto dall’art. 120 del D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917, che disciplina il rapporto di controllo ai fini del consolidato fiscale, in ambito Iva, non è prevista alcuna disposizione che applichi la demoltiplicazione della catena societaria. Nel caso del “consolidato I.Re.S.”, infatti, per stabilire l’esistenza di un controllo in una catena societaria, è necessario moltiplicare le percentuali di partecipazione nelle diverse Società. Ritornando all’esemplificazione precedente, dunque, applicando il demoltiplicatore, la Società Rossi partecipa al capitale della Società Colore in misura del 42% (il 70% del 60%), cioè non ha un controllo valido ai fini del consolidato fiscale, ai sensi dell’art. 120 del Tuir. L’esempio qui riportato, allora, rappresenta uno dei casi nei quali è verificato il requisito del controllo ai fini del regime dell’Iva di gruppo, ai sensi del decreto attuativo a cui rinvia l’art. 73, c. 3, del D.P.R. 633 del 1973; viceversa, non sussiste il rapporto di controllo richiesto dall’art. 120 del Tuir per l’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale ex art. 117 e seguenti del Testo Unico.

5 Riguardo ai vincoli che si riferiscono alle Società controllate, cioè forma giuridica ed entità della partecipazione, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 22 maggio 2008, causa C-162/07, ha stabilito che le disposizioni dell’art. 73 non sono in contrasto con i principi comunitari di proporzionalità, divieto di abuso del diritto e neutralità fiscale. In estrema sintesi, si è chiarito che, laddove i requisiti e i vincoli richiesti dalla normativa nazionale svolgano, di fatto, una funzione antielusiva-antifrode, non violano i citati principi comunitari.

6 L’Iva di gruppo così come definita nell’ordinamento nazionale, come mera procedura di liquidazione o meglio semplificazione dell’imposta, si discosta molto dal quadro normativo comunitario delineato, che prevede appunto una maggiore aggregazione e unificazione non solo a livello di imponibile ma anche di soggettività passiva.

7

 P. Centore, Le modifiche nel progetto di riforma fiscale, in Corriere Tributario n. 38 del 2012.