E’ legittimo l’accertamento sostitutivo di un precedente atto

in caso di accertamento IVA è legittimo, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto e l’emissione di un contro-atto

Con la sentenza n. 22019 del 17 ottobre 2014 (ud. 23 settembre 2014) la Corte di Cassazione legittima, ancora una volta, l’accertamento sostitutivo di un precedente atto.

Il fatto

Il 2 dicembre 1995 l’Amministrazione finanziaria richiedeva al contribuente il pagamento di complessive lire 156.435.000, notificando avviso di rettifica riguardo all’IVA per l’anno d’imposta 1993; l’atto impositivo, impugnato con il ricorso n. 794/96, veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale, che annullava il primo avviso di rettifica.

Il 23 febbraio 1996 il medesimo Ufficio, specificando che “il presente atto annulla e sostituisce il precedente notificato il 2/12/95“, notificava al contribuente altro avviso di rettifica per la medesima pretesa impositiva, ma con importo complessivo ridotto a lire 47.026.000. Il secondo avviso era impugnato con il ricorso n. 2908/96, ricorso rigettato dalla Commissione tributaria provinciale, che confermava il secondo avviso di rettifica. Tale ultima decisione, appellata dai contribuente, trovava l’avallo della Commissione tributaria regionale.

Il principio espresso

In tema di accertamento dell’IVA, è pacificamente legittimo, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto. Ciò può avvenire in due diverse forme, quella del ‘controatto’ (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione dei primo) o quella della ‘riforma’ (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso). Entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico. Il che distingue l’atto di ritiro da quello cosiddetto integrativo, che è regolato dal decreto IVA al terzo comma dell’art. 57 ed è, invece, emesso sulla scorta della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Quest’ultimo atto, infatti, è un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perchè in relazione ad un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dal primo, dispone un nuovo contenuto (Sez. 5, Sentenza n. 937 del 16/01/2009)”.

Pertanto, “i principi secondo cui, fino alla scadenza del termine per l’accertamento, questo può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi e nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte, disciplinano soltanto l’integrazione o la modificazione in aumento, rispetto all’accertamento originario, e non anche quelle in diminuzione. Soltanto le prime integrano una pretesa tributaria ‘nuova’ rispetto a quella originaria, mentre le seconde si risolvono in una mera riduzione della pretesa originaria e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso. Ne deriva che, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento – specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario – il quale si aggiunge a, ovvero sostituisce, quello originario, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una ‘nuova’ pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa ‘minore’, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari. (Sez. 5, Sentenza n. 12814 del 27/09/2000). Dunque, l’amministrazione non è affatto vincolata a dover procedere alla riduzione della propria pretesa necessariamente e unicamente nel giudizio di opposizione all’iniziale atto impositivo emesso per maggiore importo”.

Brevi note

Il termine autotutela1 sta ad indicare la potestà che ha la Pubblica Amministrazione di intervenire, sia d’ufficio che su istanza di parte, al fine di modificare od annullare provvedimenti precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori al fine di assolvere correttamente i propri compiti istituzionali. Tuttavia, così è possibile all’ufficio provvedere all’annullamento dell’atto illegittimo ed alla successiva riemissione di un altro avviso di accertamento, nel caso in cui sia incorso in un errore.

Con il termine autotutela si vuole indicare la potestà che ha la Pubblica Amministrazione di intervenire, sia d’ufficio che su istanza di parte, al fine di modificare od annullare provvedimenti precedentemente emessi. Si garantisce, così, al di fuori dei normali organi previsti per l’impugnativa degli atti emessi, che la stessa Amministrazione si autodifenda dai propri errori al fine di assolvere i compiti istituzionali su una base di coerenza e correttezza dei rapporti con i destinatari2”.

In altre parole, l’autotutela designa l’espressione di un potere correlato all’azione amministrativa, che può essere esercitato nella piena e totale discrezionalità della Pubblica Amministrazione, al fine di riesaminare gli atti e i provvedimenti in funzione dell’interesse pubblico al cui perseguimento l’Amministrazione medesima è preposta. Tale potere nasce, pertanto, come potere prettamente discrezionale, e muta solo con il mutare del concetto stesso di potere pubblico… In sostanza, per l’autotutela, pur nell’ambito di un giudizio discrezionale che tenga conto dei diversi interessi coinvolti, assume un rilievo preminente l’interesse alla rimozione dei profili di illegittimità e infondatezza degli atti, e ciò indipendentemente dall’eventuale definitività degli stessi, salvo che non si sia verificata convalescenza dell’atto per decorso del tempo, considerato il principio secondo il quale la possibilità riconosciuta, in genere, alla Pubblica Amministrazione di eliminare con effetto retroattivo i propri atti illegittimi non può spingersi fino all’eliminazione di situazioni irrevocabili ed esauritesi nel tempo… In diritto amministrativo l’autotutela (come l’imperatività del provvedimento) non è prevista da norme scritte: si sostanzia in principi non scritti che lo Stato contemporaneo ha tratto dagli ordinamenti dello Stato assoluto, temperandoli e adattandoli alle mutate situazioni costituzionali. Vi sono però moltissime norme scritte, sparse un po’ in tutte le leggi amministrative, che non sono interpretabili se non presupponendole vigenti. Sostanzialmente, imperatività e autotutela sono nozioni create dalla dottrina3“.

Come rilevato dalla migliore dottrina4, “in altre parole, l’autotutela designa l’espressione di un potere correlato all’azione amministrativa, che può essere esercitato nella piena e totale discrezionalità della Pubblica Amministrazione, al fine di riesaminare gli atti e i provvedimenti in funzione dell’interesse pubblico al cui perseguimento l’Amministrazione medesima è preposta. Tale potere nasce, pertanto, come potere prettamente discrezionale, e muta solo con il mutare del concetto stesso di potere pubblico… In sostanza, per l’autotutela, pur nell’ambito di un giudizio discrezionale che tenga conto dei diversi interessi coinvolti, assume un rilievo preminente l’interesse alla rimozione dei profili di illegittimità e infondatezza degli atti, e ciò indipendentemente dall’eventuale definitività degli stessi, salvo che non si sia verificata convalescenza dell’atto per decorso del tempo, considerato il principio secondo il quale la possibilità riconosciuta, in genere, alla Pubblica Amministrazione di eliminare con effetto retroattivo i propri atti illegittimi non può spingersi fino all’eliminazione di situazioni irrevocabili ed esauritesi nel tempo… In diritto amministrativo l’autotutela (come l’imperatività del provvedimento) non è prevista da norme scritte: si sostanzia in principi non scritti che lo Stato contemporaneo ha tratto dagli ordinamenti dello Stato assoluto, temperandoli e adattandoli alle mutate situazioni costituzionali. Vi sono però moltissime norme scritte, sparse un po’ in tutte le leggi amministrative, che non sono interpretabili se non presupponendole vigenti. Sostanzialmente, imperatività e autotutela sono nozioni create dalla dottrina “.

E’ necessario, per la disposizione delle cose, che il potere regolamenti il potere5”: proprio a tal fine sono stati emanati il D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, il D.L 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella L. 30 novembre 1994, n. 656 e il D.M. 11 febbraio 1997, n.37.

Le pronunce della Corte di Cassazione vanno sulla scia di un orientamento ormai consolidato6 che ha confermato la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela, con rimozione di un atto di accertamento illegittimo e contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato.

In particolare, nella sentenza n. 9197/2011, la Corte di Cassazione opera un preciso distinguo: “il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso di accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all’integrale determinazione progressiva dell’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in tema di impugnazione. L’atto di autotutela, al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico, del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass., 22 febbraio 2002, n. 25; V. anche Cass., 7 luglio 2009, n. 15874)”. Prosegue la sentenza: “Considerato che, a fronte di un atto viziato, e come tale annullato in sede giurisdizionale, quest’ultimo non presenta margini di discrezionalità, ne inferisce, quindi, che l’emissione, nell’esercizio del suddetto potere di sostituzione, di un nuovo avviso di accertamento in luogo di uno precedente illegittimo e annullato in sede giurisdizionale (seppure con decisione non definitiva) non può che implicare, ad un tempo ed automaticamente, la definitiva caducazione dell’avviso sostituito, attraverso la presa d’atto della relativa illegittimità. Nè possono, d’altro canto, paventarsi indebite interferenze con il divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art.67 (a salvaguardia del quale la giurisprudenza generalmente subordina la legittimità della sostituzione all’annullamento dell’atto sostituito), giacchè, quand’anche per avventura ulteriormente coltivato (cosa, peraltro, nella specie non avvenuta, a riprova dell’abbandono da parte dell’Amministrazione degli atti emessi dall’Ufficio di Rimini), il giudizio relativo al primo avviso non potrebbe che, conseguentemente, sfociare in una declaratoria di cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno, con la sostituzione, ogni interesse ad una decisione relativa ad un atto (il primo avviso) ormai deprivato di ogni portata impositiva, esclusivamente concentratasi, per la sostituzione, nell’avviso che lo ha rimpiazzato”. Resta fermo, osserva la Corte, che il corretto esercizio del potere di autotutela “presuppone la mancata formazione del giudicato e la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento (Cass., 26 marzo 2010, n. 7335; Cass., 22 febbraio 2002, n.2531)”.

Su tale aspetto è ormai concorde la giurisprudenza, riconoscendo la facoltà di procedere alla sostituzione dell’atto, entro i termini di decadenza ed anche in pendenza di giudizio, collegandola all’esercizio del potere di autotutela spettante all’Amministrazione, con il solo limite dell’eventuale giudicato formatosi in ordine al precedente atto nullo7.

Né la proposizione del ricorso si pone “come fattore ostativo alla rimozione dell’avviso nullo“, non sussistendo ancora, in assenza di giudicato, alcun diritto definitivamente acquisito dal contribuente8. Anzi il Consiglio di Stato non ha mancato di rilevare che la notificazione del ricorso ha innanzi tutto “proprio la finalità di esercitare lo ius poenitendi dell’Amministrazione nella direzione richiesta dal gravame9“.

Per completezza si rileva che la Commissione tributaria Centrale10 ha ritenuto che l’emissione di un nuovo avviso di accertamento comporta l’automatico annullamento dell’avviso originario, in quanto deve ritenersi che l’ufficio si sia avvalso del potere di autotutela, in quanto lo stesso ha il potere di integrare o modificare gli accertamenti entro i termini di decadenza (oltre che in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi) solo nell’esercizio del potere di riesame del proprio operato11.

Annotiamo una serie di interessanti ulteriori e recenti pronunce sul punto.

  • Con la sentenza n. 4372 del 23 febbraio 2011 (ud. del 4 novembre 2010), la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela con rimozione di un atto di accertamento illegittimo e contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato.Osserva la Corte che “il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso di accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all’integrale determinazione progressiva dell’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in tema di impugnazione. L’atto di autotutela, al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico, del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass., 22 febbraio 2002, n. 25; V. anche Cass., 7 luglio 2009, n. 15874)”.Resta fermo, osserva la Corte, che il corretto esercizio del potere di autotutela “presuppone la mancata formazione del giudicato e la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento (Cass., 26 marzo 2010, n. 7335; Cass., 22 febbraio 2002, n.2531)”.

  • Con la sentenza n. 21719 del 20 ottobre 2011 (ud. del 13 gennaio 2011) la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione relativa all’annullamento e sostituzione degli atti di accertamento, affermando che l’Amministrazione finanziaria può, anche una volta che è stato instaurato il processo, annullare l’atto impugnato per poi procedere ad un nuovo accertamento con una motivazione diversa, a condizione che non siano ancora decorsi i termini di decadenza dal potere di accertamento. “La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo ‘sostitutivo’ laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (quest’ultimo soggetto in materia di imposte reddituali e di imposte sui consumi alla condizione necessaria della ‘sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi’ D.P.R. n. 600 del 1973, ex art.43, u.c.: D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3)”.La Corte rileva che “viene infatti ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento c.d. di riforma dell’atto, specificandosi che ‘il ritiro di un precedente atto, può avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello prevedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso), caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico’ (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 16.1.2009 n. 937, in materia di Iva)”.Ne segue, per la Corte di Cassazione, “che nel caso in cui venga impugnato avanti il Giudice tributario un atto di rettifica successivamente annullato in sede di autotutela e sostituito con altro atto di contenuto parzialmente diverso non impugnato, il giudice investito della cognizione del primo atto deve limitarsi a dichiarare il sopravvenuto difetto di interesse a coltivare il ricorso senza poter esaminare il rapporto di imposta riconfigurato dall’atto di autotutela che rimane estraneo a tale giudizio in cui l’oggetto devoluto alla cognizione del giudicante, attesa la natura impugnatoria del giudizio tributario, rimane delimitato dai motivi di ricorso proposti avverso l’atto originariamente impugnato e successivamente in tutto od in parte annullato in conseguenza di rettifica o correzione determinata in sede di autotutela (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 3.8.2007 n. 17119): oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l’accertamento dell’obbligazione tributaria, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da quanto risulti nell’atto impugnato, bensì l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che ove risulti accertato che l’amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello errato (così implicitamente annullando quest’ultimo), deve ritenersi che il processo concernente l’impugnazione dell’atto sostituito non debba proseguire per sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sull’impugnazione di un atto già annullato in sede di autotutela. Vedi Corte Cass. 5′ sez. 19.3.2009 n. 6620)”.

  • Con la sentenza n. 23078 del 14 dicembre 2012 (ud. 30 ottobre 2012) la Corte di Cassazione osserva “che l’annullamento dell’atto impositivo in sede di autotutela da luogo – secondo il costante insegnamento di questa Corte – a cessazione della materia del contendere, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, cui non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l’obiettiva complessità della materia (Cass. 22231/11), come nella specie ha ritenuto – con motivazione adeguata – la decisione di appello. In siffatta ipotesi, infatti, ben può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, in quanto intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un’ipotesi diversa dalla compensazione ‘ope legis’ prevista dal comma 3 dell’art. 46 succitato, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2005 (Cass. 19947/10)”.

  • Con l’ordinanza n. 1643 del 24 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha affermato che “a seguito dell’annullamento di un provvedimento impositivo per autotutela da parte della Amministrazione, questo cessa immediatamente di avere efficacia ai fini della imposizione tributaria, anche se lo stesso sia stato impugnato dal contribuente e sia pendente il relativo giudizio, in quanto le questioni che non vengono implicitamente definite con l’annullamento e rimangono in contestazione, quali il regime delle spese, hanno una autonoma fonte regolatrice (per il regime delle spese l’art. 46 ultimo comma DLGS n. 546/92, come modificato dall’intervento del giudice delle leggi con sent. n. 274 del 2005) dal tutto svincolata dall’atto non più esistente, per cui non vi è alcuna interferenza tra il procedimento relativo, tuttora pendente, ed il nuovo atto impositivo che l’Amministrazione ritenga di emettere in sostituzione del precedente”.

  • Con l’Ordinanza n. 6329 del 13 marzo 2013 (ud. 13 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’autotutela sostitutiva, cioè l’annullamento dell’atto illegittimo e la sua sostituzione con un nuovo atto. La Corte richiama e fa proprie precedenti pronunce del massimo organo:la sentenza 22 febbraio 2002, n. 2531, secondo cui “il potere di autotutela tributaria ha come autonomo presupposto temporale uno dei due seguenti fatti: la mancata formazione di un giudicato o la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento“; la sentenza 20 novembre 2006, n. 24620, secondo cui “l’esercizio di tale potere (di autotutela tributaria) … può aver luogo soltanto … entro il termine previsto per il compimento dell’atto, non può tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato, e dev’essere preceduto dall’annullamento di quest’ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto“.

  • Con la sentenza n. 25160 dell’8 novembre 2013 (ud. 2 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’accertamento sostitutivo di un atto annullato in autotutela. L’art. 43, c. 4, del D.P.R. n. 600/73 disciplina la fattispecie della correzione “in aumento” degli accertamenti fiscali in caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, potere da esercitarsi entro i termini in cui l’accertamento è consentito a pena di decadenza.Invece, nel caso di specie, la questione è integralmente diversa, non riguardando la possibilità di correggere “in aumento” un legittimo avviso di accertamento, bensì di sostituirne uno annullato in autotutela; “ciò che deve ritenersi consentito pure quando vien fatto in via prudenziale, anche se non strettamente necessario, non venendone alcun danno in capo al contribuente e quindi non avendo quest’ultimo alcun interesse a contrastare la mera sostituzione di un atto identico; ed, ovviamente, purchè non siano ancora trascorsi i generali termini entro cui l’Amministrazione può procedere all’esercizio della potestà impositiva (Cass. sez. trib. n. 16115 del 2007; Cass. sez. trib. n. 2531 del 2002)”.

  • Con la sentenza n. 27200 del 4 dicembre 2013 (ud. 15 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha riepilogato le regole in materia di autotutela, ed in particolare, in ordine al potere dell’Amministrazione finanziaria di riemettere un atto riformativo del precedente. La Corte, in apertura, rileva che “ in materia tributaria il potere della PA di provvedere in via di autotutela all”annullamento di ufficio’ od alla ‘revoca’ di atti illegittimi od infondati, anche in pendenza di giudizio o di intervenuta definitività degli stessi per mancata impugnazione, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1 conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 (nell’ambito di tale potere va ricompreso anche il potere di rinuncia alla imposizione ‘illegittima’ od ‘infondata’ in caso di autoaccertamento: D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 1 recante il regolamento di attuazione emanato ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, predetto art. 2 quater, comma 1)”.Il rimedio “di tipo demolitorio ricollegabile al provvedimento amministrativo di secondo grado, che opera con efficacia ‘ex tunc’, si estende a qualsiasi vizio di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) dell’atto impositivo, ivi compreso (‘evidente errore logico o di calcolo’ e l”errore sul presupposto della imposta’ (D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 1, lett. b e c), con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole alla Amministrazione finanziaria (D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2)”.Viene ancora confermato che “la giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo ‘sostitutivo’ laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (in quest’ultimo caso la integrazione è assoggettata, in materia sia di imposte reddituali che di imposte sui consumi, alla condizione necessaria della ‘sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi’ D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, u.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3)”.La Corte ha, infatti, “ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento cd. di riforma dell’atto, specificandosi che ‘il ritiro di un precedente atto, può avvenire in due diverse forme, quella del “contratto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso), caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico’ (cfr. Corte cass. 5 sez. 16.1.2009 n. 937, in materia di Iva)”. La Suprema Corte ha, altresì, ricordato, con specifico riferimento al potere di riforma dell’atto impositivo, che:

    – “l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicchè, rimosso con effetto ‘ex tunc’ l’atto di accertamento illegittimo od infondato, la Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare – nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto – la potestà impositiva (cfr. Corte cass. 5 sez. 20.7.2007 n. 16115, id. 20.6.2007 n. 14377 – entrambe in materia di imposte reddituali –)”;

    – “dalla non consumazione del potere impositivo, in caso di annullamento o revoca dell’atto viziato, discende il corollario che il provvedimento di riforma adottato in sede di autotutela, non dispone per l’avvenire ma retroagisce al momento della applicazione del imposta, proprio in quanto ‘viene a sostituirsi’ all’originario atto impositivo (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.1.2008 n. 1148; id. 30.12.2009 n. 27906 – entrambe in materia di imposte sui trasferimenti -)”;

    – “il rimedio della ‘autotutela sostitutiva’ differisce dal potere di ‘integrazione’ dell’atto impositivo, in quanto quest’ultimo presuppone la esistenza di un precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione necessaria la eliminazione (anche implicita nel caso in cui l’atto riformato riproduca lo stesso contenuto dell’atto sostituito: Corte cass. 5 sez. 3.8.2007 n. 17119) del precedente atto impositivo illegittimo od infondato”;

    – “la riforma dell’atto impositivo non è limitata ai soli vizi formali, ma può estendersi a ‘tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto’ (sic Corte cass. 5 sez. 23.2.2010 n. 4272 – in materia di imposte reddituali – che richiama espressamente la sentenza 22.2.2002 n. 2531, e circoscrive alle sole ipotesi di nullità per vizi formali l’esercizio del potere di ‘sostituzione di un precedente atto impositivo con altro avente contenuto identico’, quindi alle sole ipotesi di ‘correzione’ del medesimo atto: nel caso concreto, peraltro, la ‘sostituzione’ dell’atto impositivo si era resa necessaria in conseguenza di una successiva dichiarazione del contribuente parzialmente modificativa di quella dallo stesso precedentemente presentata)’;

    – “il potere di ‘sostituzione’ dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato (cfr. Corte cass. 5 sez. 16.7.2003 n. 11114; id. 5 sez. 20.11.2006 n. 24620; id. 5 sez. 12.05.2011 n. 10376), nonchè del diritto di difesa del contribuente (nel caso di sostituzione di un precedente atto impositivo, annullato in pendenza di giudizio, con un nuovo atto con il quale viene fatta valere la medesima pretesa – fondata sugli stessi presupposti impositivi – ridotta soltanto nella misura dell’importo, il giudice di merito, non può per ciò stesso dichiarare cessata la materia del contendere ove il contribuente abbia contestato ‘in toto’ la obbligazione tributaria per insussistenza dei presupposti della imposta, ma deve comunque pronunciare nel merito: Corte cass. 5 sez. 26.3.2010 n. 7335)”.

  • Con la sentenza n. 4823 del 28 febbraio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato che “l’Amministrazione, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito”. Nel caso in questione, l’ufficio ha provveduto a notificare, nel termine triennale, altro avviso di liquidazione completo di sottoscrizione, a rettifica del precedente avviso non sottoscritto. “Questa Corte ha già rilevato che è legittimo il comportamento dell’amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dall’art. 43, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, lo sostituisca con un nuovo avviso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19064 del 12/12/2003). Né è preclusivo dell’intervento sostitutivo la circostanza che il giudizio sul primo atto fosse ancora pendente”.

Le conclusioni sintetiche che possiamo quindi trarre dalla lettura delle sentenze della Corte di Cassazione sono le seguenti.

L’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicché, rimosso con effetto ex tunc l’atto di accertamento illegittimo od infondato, l’Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare (nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto) la potestà impositiva.

Dalla non consumazione del potere impositivo, in caso di annullamento o revoca dell’atto viziato, discende il corollario che il provvedimento di riforma adottato in sede di autotutela, non dispone per l’avvenire ma retroagisce al momento della applicazione del imposta, proprio in quanto viene a sostituirsi all’originario atto impositivo.

Il rimedio della “autotutela sostitutiva” differisce dal potere di integrazione dell’atto impositivo in quanto quest’ultimo presuppone la esistenza di un precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione necessaria la eliminazione.

La riforma dell’atto impositivo non è limitata ai soli vizi formali, ma può estendersi a tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e riconduce la condizione necessaria della nullità formale alla sola ipotesi di sostituzione di un precedente atto impositivo con altro avente contenuto identico e quindi alle sole ipotesi di correzione del medesimo atto .

Il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato.

29 dicembre 2014

Gianfranco Antico

1 In relazione al potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria, cfr. di recente, ex multis, MUSCARA’, voce Autotutela (dir. trib.), in Enc. Giur., vol IV, Agg., 1996, LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Milano, 2000, pag. 90 e ss. e Manuale giuridico professionale di diritto tributario, III ed., Milano, 2002, pag. 163 e segg.; FERLAZZO NATOLI – SERRANO’, I nuovi istituti per prevenire ed estinguere le liti, in Corr. Trib., n. 32/1995; LA ROSA, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari, in Riv. Dir. Trib., 1998, I, pagg. 1131 e ss.; FERLAZZO NATOLI, Corso di diritto tributario, Parte generale, II ed., Milano, 1999, pagg. 185 e ss.; FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 1999, pagg. 401 e ss.; FANTOZZI, Diritto tributario, II ed., Torino, 1998, pagg. 377 e ss..

2 D’AMICO, Autotutela tributaria, in “ il fisco”, n.2/2004, pag. 218, al quale si rinvia per un brillante excursus storico.

3 SERVIDIO, Rilevanza dell’autotutela nelle varie fasi del procedimento tributario, in “il fisco”, n.24/2004, pag.3704, il quale richiama GIANNINI, in Diritto amministrativo, Milano, 1988, vol. II, pag. 714.

4 SERVIDIO, Rilevanza dell’autotutela nelle varie fasi del procedimento tributario, in “il fisco”, n.24/2004, pag.3704, il quale richiama GIANNINI, in Diritto amministrativo, Milano, 1988, vol. II, pag. 714.

5 MONTESQUIEU, citato da D’AMICO, Autotutela tributaria, in “il fisco”, n. 2/2004, pag. 218.

6Cfr. Cass. sentenza n.11114 del 15 gennaio 2003, depositata il 16 luglio 2003, che distingue le condizioni ed i limiti dell’autotutela (quale possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sostituire un atto che, successivamente alla sua emanazione, ravvisi illegittimo, con altro atto emendato dei vizi) da quella in cui l’Amministrazione proceda ad integrazione o modifica di un precedente avviso di accertamento per la sopraggiunta conoscenza di nuovi elementi che determinano una maggiore pretesa tributaria, ex art.43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

7 Cfr. Cass. Sez. Unite, 17.03.89, n. 1333; Cass. Sez. I, 21.08.93, n. 8854 e 30.08.93, n. 9196.

8 Cass. Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4303