I rilievi sull'antieconomicità non toccano l'IVA

se il Fisco contesta maggiori redditi in base all’antieconomicità delle scelte imprenditoriali effettuate dal contribuente-imprenditore, tali maggiori redditi non implicano rettifica dell’IVA

Con l’Ordinanza n. 10041 dell’ 8 maggio 2014 (ud. 3 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che l’antieconomicità è senza IVA.

 

IL FATTO

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la CTR ha rigettato l’appello proposto dalla stessa contro la sentenza della CTP competente, che aveva annullato l’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IRES, IVA e IRAP per l’anno 2007, sulla base di una ritenuta antieconomicità di operazioni commerciali che avevano determinato l’accertamento di un maggior reddito in ragione di vendite immobiliari sottocosto e, per altro verso, per redditi non dichiarati in ragione della cessione di un credito di € 150.000,00 per il corrispettivo di soli € 30.000,00.

Secondo il giudice di appello la cessione del credito al valore di corrispettivo concordato era insindacabile, una volta acclarato che non si trattava di atti fittizi o simulati, mentre rispetto alle vendite di immobili, dalle quali era emersa “una verifica francamente anomala del margine economico“, l’Agenzia non era riuscita ad assolvere l’onere sulla stessa ricadente, avendo fatto riferimento a criteri incomprensibili e non agganciati ad alcun dato normativo.

 

LA SENTENZA

La Corte rileva che, con precipuo riferimento alle imposte sui redditi, è stato “reiteratamente riconosciuto che rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa – cfr. Cass. n. 12813/2000 (con riferimento all’ILOR); Cass. n. 9497/2008 e Cass. n. 3243/2013, Cass. n. 1711/2007 (conriferimento all’IRPEG); Cass. n. 7487/2002; Cass. n. 10802/2002; Cass. n. 5463/2003; Cass. n. 398/2003; Cass. n. 19150/2003. V anche Cass. nn. 1821/2001, 6337/2002, 793/2004.

Per i Giudici di Piazza Cavour, “alla base di questo indirizzo vi è il convincimento che in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, rimasto inspiegato da parte del contribuente, è pienamente legittimo l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d). Ragion per cui il giudice di merito che giunga a ritenere illegittimo l’accertamento è tenuto a specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie – Cass. n. 1821/2001“.

Tuttavia, osserva la stessa Corte che, “chiamata a verificare la possibilità ed eventualmente i limiti entro i quali è possibile estendere i principi giurisprudenziali teste affermati al tributo IVA, ha affermato che in caso di contestazione di operazioni antieconomiche, l’amministrazione non può rettificare l’Iva detratta sugli acquisti, a meno che si tratti di operazioni inesistenti, di sovrafatturazioni o di un più ampio contesto di abuso del diritto. Ciò perchè la regola sull’antieconomicità è propria dell’imposizione diretta e può estendersi anche all’Iva solo nell’osservanza di tutti i principi enunciati in materia dalla Corte di Giustizia, a tenore dei quali, in via generale, non è consentita alcuna limitazione al diritto di detrazione – Cass. n. 22130/2013“.

 

Breve nota

La sentenza in rassegna appare significativa in ordine all’Iva, in quanto confermativa della pronuncia n. 22130 del 27 settembre 2013 (ud 8 aprile 2013), ove era stato già affermato che l’antieconomicità è senza Iva. Per la Suprema Corte, non è possibile “applicare direttamente ed automaticamente i principi espressi in tema di imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità all’interno dell’IVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo da ultimo descritto, tutto correlato al principio di neutralità che si esprime attraverso il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che ha corrisposto l’IVA per l’acquisto di beni o servizi di detrarre l’IVA relativa ai costi sostenuti secondo il noto meccanismo della detrazione. Infatti, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’IVA (v., segnatamente, sentenze Gabalfrisa e a., cit., punto 44; 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, Racc. pag. I 1609, punto 78, nonchè Mahagèben e David, cit., punto 39;Corte giust. 6 settembre 2012, C-324/1 l.Gabor Toth, p. 24“.La Corte di Giustizia ha sottolineato “la centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’IVA, diritto che, in linea di principio, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche. Ed è proprio questo meccanismo a consentire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorchè il bene o servizio viene reso al consumatore finale”.La Corte Europea ha altresì affermato che “la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante (v., Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandio Gasaback, punto 22)”.E, “si è, nella medesima direzione, precisato che qualora beni e servizi siano forniti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’IVA, non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale. E’ solo a livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale – cfr. Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan p. 47“.Inoltre, il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’IVA, e pertanto “non può ritenersi che una soluzione a livello di normativa sull’IVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus ai principio di non discriminazione. – cfr. Corte giust. 17 marzo 2007, causa C-35/05”.Ritiene, quindi, il collegio “che in condizioni normali non sia consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico. Tale verifica l’amministrazione potrà solamente fare allorchè la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA. Se dunque l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta”.

5 giugno 2014

Roberta De Marchi