L’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata

la legislazione italiana punta sull’utilizzo della PEC quale strumento destinato ad interconnettere tra di loro tutti gli attori dell’azione amministrativa, non più in via preferenziale o prioritaria, ma esclusiva ed escludente; per perseguire questo risultato il legislatore crea un indice nazionale degli indirizzi PEC dei professionisti e delle imprese, a disposizione dell’amministrazione e di qualunque cittadino (ivi incluse ovviamente le imprese e i professionisti). A cura di Marco Maceroni.

Lo stato dell’arte della PEC – Posta Elettronica Certificata

notifica di atto tributario via pecIl legislatore con la revisione operata attraverso la disciplina di fine 2012 al CAD, ha regolato i rapporti tra cittadini e amministrazione improntandoli al più alto utilizzo possibile delle tecnologie della comunicazione (ICT).

È un processo di lunga data che trova le sue origini alla fine degli anni 90 dello scorso secolo, ma che ha subito accelerazioni visibili di grande efficacia (almeno per quanto riguarda l’ambito delle imprese) a partire dal 1 aprile 2010, quando per tutte le imprese (comprese quelle individuali) è diventato obbligatorio l’uso della firma elettronica per rivolgere domande e comunicazioni al registro delle imprese, e definitivamente dal 31 marzo 2011, quando è entrato in vigore il DPR 160/2010, che almeno nella sua stesura originale (ed a regime), prevedeva l’esclusivo utilizzo delle ICT nei rapporti tra imprese e SUAP e tra SUAP (front office) e le altre amministrazioni in posizione di back office (cd. Enti terzi).

L’obiettivo del legislatore era chiaro ed esplicito: il costo a carico dei cittadini degli adempimenti burocratici, risulta vieppiù aggravato dalla lentezza dello stesso, causata dalla circolazione di carta dagli incombenti ad esso connessi (posta tradizionale, protocollazione e smistamento delle pratiche, rapporti tra uffici fondati sulla circolazione di pratiche cartacee). Il costo risulta incrementato nel caso in cui la domanda riguardi una concessione, autorizzazione o comunque altro strumento necessario all’avvio di un’attività.

In tale logica il legislatore ha predisposto una serie di strumenti indirizzati a ridurre le esternalità negative riconnesse a quanto sopra evidenziato, riconducibili ad istituti quali il SUAP, la SCIA, che possono svolgere la propria funzione solo e soltanto se risultano azzerati i tempi strumentali. Non ha alcun senso ammettere che l’attività possa essere iniziata sin dal momento della trasmissione della domanda al SUAP (nel caso di procedimento automatico – soggetto a SCIA), come si evidenzia dal complesso delle norme dell’art. 19 della legge 241, dall’articolo 5 del DPR 160/2010 e dal DM 10 novembre 2011, se poi, viaggiando la domanda con mezzi tradizionali, i benefici recati dalla disciplina risultano frustrati dai tempi necessari alla trasmissione della domanda stessa.

In tale ottica e nell’ulteriore intento di garantire la certezza del mittente, del destinatario e dei tempi di spedizione, il legislatore ha progressivamente fatto sempre maggior ricorso associando agli strumenti informatici sopra descritti l’uso della PEC.

Così avvenne con la comunicazione unica per la nascita dell’impresa (Legge 40/2007, DPCM 6 maggio 2009, DM 29 novembre 2008 e s.m.i.), così nell’ambito del SUAP, ancorché in forma residuale e transitoria.

È lo stesso CAD, tuttavia, a generalizzare l’utilizzo della PEC per i rapporti tra cittadino ed amministrazione. Con la riforma operata dal citato DL 179/2012 è stato introdotto l’articolo 3 bis che già dalla rubrica “Domicilio digitale del cittadino” evidenzia l’iter che il legislatore ha definitivamente intrapreso con riferimento all’istituto oggetto della presente riflessione.

La norma in oggetto ha una portata maggiore del suo ambito d’azione, ove afferma che “al fine di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini…”, ma al tempo stesso pone un’immediata scissione tra i due “utenti” dell’amministrazione: cittadini ed imprese/professionisti. Per i primi infatti l’articolo 3 bis (almeno al momento) prevede che l’utilizzo della PEC sia facoltativo, per le finalità di cui sopra, prevedendo poi disposizioni agevolative per il rilascio della PEC al cittadino; per le imprese ed i professionisti (come s’osserverà) il regime è quello dell’obbligo.

Se dunque il cittadino nei rapporti con la P.A. può indicare un domicilio elettronico, il legislatore ne deriva un obbligo (a carico dell’amministrazione) di iscrivere quel domicilio nell’anagrafe nazionale e ne consente l’utilizzo alla P.A., obbligando la medesima (dal 1 gennaio 2013) ad utilizzare esclusivamente tale strumento per le comunicazioni con il cittadino stesso. Le conseguenze che il legislatore fa derivare sono particolarmente gravose “ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. L’utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale”.

Appare opportuno sottolineare, come ci troviamo di fronte ad una situazione giuridica soggettiva mista che d’un lato prescrive una facoltà per il cittadino (di dotarsi di domicilio PEC ed utilizzarlo “al fine di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini…” ed al contempo prevede un obbligo, duramente sanzionato, per l’amministrazione, qualora il cittadino abbia optato per tale facoltà. Che per il cittadino siamo in ambito facoltativo lo ribadisce la norma ove prevede che le modalità di comunicazione, qualora il cittadino non disponga di indirizzo PEC resta quello tradizionale, sia pure con precisazioni sulla genesi del documento in forma elettronica, anche con riferimento alla sottoscrizione del medesimo, alla conservazione ed al rilascio delle copie analogiche.

Appare di tutta evidenza che il legislatore punti nei rapporti tra cittadino (e vedremo in maniera ben più risolutiva tra impresa/professionista) e amministrazione, all’utilizzo della PEC come strumento di comunicazione ad ogni effetto di legge.

Rinviando a trattazioni pù specifiche sotto il profilo tecnologico della PEC, si può in questa sede osservare come il comma 1 dell’articolo 6 del CAD (nel testo oggi vigente) qualifichi giuridicamente la PEC secondo due criteri essenziali:

  1. vincola il dichiarante
  2. rappresenta espressa accettazione da parte della P.A della domanda.

Se spostiamo l’attenzione sui rapporti tra P.A e imprese/professionisti, possiamo ben rilevare come il regime di facoltatività si converta in obbligatorietà, definitivamente e per tutti i soggetti a partire dell’entrata in vigore del DL 179/2012.

A tal uopo è necessaria una minima ricostruzione storica attraverso testi normativi differenti. L’articolo 5 bis del CAD si limita a prevedere che tutte le comunicazioni, scambi, presentazioni di istanze, da parte di imprese alla P.A avviene “esclusivamente” avvalendosi delle ICT.

Sulle modalità di attuazione della disciplina è intervenuto (con riferimento alle amministrazioni centrali il DPCM 22 luglio 2011) che stabilendo il passaggio ad un’amministrazione digitale impone l’utilizzo di format elettronici tendenzialmente compilabili e “nelle more” l’utilizzo della PEC.

Già in precedenza, il DL 185 del 2008, più volte emendato, aveva disposto l’obbligo, per le imprese (articolo 16 comma 6) e per i professionisti (articolo 16 comma 7) di dotarsi di PEC, da iscrivere rispettivamente nel registro delle imprese o nell’ordine o collegio di appartenenza.

Due elementi balzano immediatamente all’attenzione. La norma in esame prescrive un obbligo (che vedremo è assistito da sanzione) senza ricondurlo (in quella sede) ad una precisa finalità.

Il secondo elemento è la definizione in termini giuridici dell’istituto, desumibile peraltro dalla formulazione della norma quale standard alternativo alla PEC, dove appaiono chiaramente i segni distintivi dell’istituto sotto il profilo giuridico: certificazione del tempus e del tempus tempi (data ed ora della spedizione ed della ricezione delle comunicazioni), nonché l’integrità del contenuto delle comunicazioni stesse.

La fonte di provenienza appare certa ed incontrovertibile, come testualmente affermano gli articoli 14, comma 1 del DPR 445 del 2000 e 9, commi 1 e 2 del DPCM 11 febbraio 2005 n. 68, che testualmente afferma:

“1. Le ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata sono sottoscritte dai medesimi mediante una firma elettronica avanzata ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera dd), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, generata automaticamente dal sistema di posta elettronica e basata su chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente di rendere manifesta la provenienza, assicurare l’integrità e l’autenticità delle ricevute stesse secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17.

2. La busta di trasporto è sottoscritta con una firma elettronica di cui al comma 1 che garantisce la provenienza, l’integrità e l’autenticità del messaggio di posta elettronica certificata secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’articolo 17”.

La PEC alle imprese ed ai professionisti

Il quadro normativo dunque si completa con la previsione relativa ai due soggetti (società e professionisti) sancendo l’obbligo di possesso ed iscrizione (a fini pubblicitari) dell’indirizzo.

Partendo dalla prescrizione relativa alle imprese il legislatore apre due canali: uno che entra immediatamente a regime per le società costituite dopo il 30 novembre 2008, ed uno transitorio, che impone alle società già costituite a quella data di iscrivere presso il registro delle imprese il proprio indirizzo PEC entro il 29 novembre 2011.

è opportuno chiarire i termini della questione soprattutto per meglio comprendere gli aspetti legati alle sanzioni.

Le società di nuova costituzione devono indicare il proprio indirizzo PEC quale elemento essenziale della fattispecie, l’assenza del quale costituisce motivo di rifiuto dell’iscrizione. Quanto precede era, a parere di chi scrive, già ben chiaro nella locuzione legislativa

“sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese”. Appare vieppiù rafforzato nella definizione sopra richiamata del novellato articolo 3 bis del CAD che definisce l’indirizzo PEC “domicilio digitale”.

Per le società già costituite, invece, l’obbligo si pone in via successiva ed è costruito come adempimento di comunicazione presso il registro delle imprese. Se dal punto di vista pratico, il risultato finale è il medesimo (le notizie del registro delle imprese relative alle società sono integrate dall’indirizzo PEC), il percorso d’alimentazione è differente.

E differente è la sanzione: nel primo caso rifiuto d’iscrizione della nuova società, nel secondo caso il legislatore ha sentito la necessità di introdurre (successivamente) un comma 6-bis secondo il quale

“l’ ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in attesa che essa sia integrata con l’indirizzo di posta elettronica certificata”.

In primo luogo è utile rilevare che espressamente il legislatore lega l’omissione dell’adempimento al maturarsi della fattispecie sanzionatoria di cui all’articolo 2630 codice civile (chi ritarda od omette un adempimento obbligatorio…).

In secondo luogo la norma introduce n regime sanzionatorio alternativo a quello testé ricordato. In sostanza la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 2630 codice civile, non è irrogata, ma accertato e contestato il fatto, l’ufficio sospende le eventuali domande di iscrizione al registro delle imprese che la società abbia depositato. Il legislatore, utilizzando una terminologia molto tecnica ed ineccepibile sotto il profilo formale, potrebbe indurre in errore interpretativo. L’iscrizione di cui parla il comma in questione è qualunque iscrizione al registro delle imprese di atti o fatti diversa da quella dell’indirizzo PEC e diversa da quella iniziale della società. Non si verte in questa seconda fattispecie, perchè altrimenti si ricadrebbe nel rifiuto genetico di iscrizione sopra evidenziato.

La volontà del legislatore è chiara, nel senso di mettere la società in condizione di operare un ravvedimento operoso (iscrizione fuori termine dell’indirizzo) se vuole che un’iscrizione da essa richiesta, sia evasa dall’ufficio. Il legislatore è stato particolarmente attento ad escludere gli atti di bilancio (il cui mancato caricamento nel registro delle imprese) avrebbero creato una discontinuità informativa e quindi un danno al mercato (e non alla società), parlando espressamente di iscrizioni, e con ciò escludendo i depositi.

Non era chiaro l’esito del procedimento sanzionatorio decorsi i tre mesi previsti dalla norma, se cioè nell’inattività della società riemergesse la sanzione pecuniaria, ovvero se la sanzione consistesse nel solo ritardo di esecuzione della formalità.

Il Ministero con la recentissima circolare 3660/C ha definitivamente risolto la questione, sulla base del parere del Consiglio di Stato affermando una terza via che si ricollega pienamente alla differente efficacia della PEC con riferimento alle riforme introdotte dal DL 179.

Afferma infatti la circolare che trascorsi i tre mesi previsti dalla norma, l’ufficio del registro delle imprese non può che respingere la domanda di iscrizione depositata dalla società rimasta inerte nei confronti dell’adempimento PEC. Il fondamento secondo la circolare si rinviene proprio nella disciplina del 2008, che si fonda su una “prospettiva di semplificazione dei rapporti tra imprese e amministrazione”.

La conclusione cui perviene la circolare è dunque la seguente: l’istanza, sospesa per un periodo di tre mesi, che sostanzialmente rimette in termini la società per adempiere all’iscrizione del proprio indirizzo PEC nel registro delle imprese, in caso di inerzia da parte della società stessa si intende come “non presentata”1.

Anche per professionisti è stato introdotto un regime parallelo a quello sopra osservato, salvo il fatto che il periodo transitorio è ridotto ad un anno.

La vera differenza è costituita dalla mancanza di un regime sanzionatorio a carico del professionista inerte e dal regime di pubblicità. Mentre per le imprese si ha una pubblicità piena, per i professionisti, la PEC è iscritta dall’ordine o collegio in un “elenco riservato” consultabile dalle amministrazioni. Vedremo che questa norma è implicitamente abrogata in parte qua a seguito della modifica apportata al CAD dall’articolo 5 del DL 179.

Ma nel tessuto originario della disciplina (rimasto immutato) compare una specifica ipotesi sanzionatoria (peraltro profondamente incisiva) a carico degli ordini o collegi che non pubblichino gli indirizzi:

“L’omessa pubblicazione dell’elenco riservato previsto dal comma 7, ovvero il rifiuto reiterato di comunicare alle pubbliche amministrazioni i dati previsti dal medesimo comma, costituiscono motivo di scioglimento e di commissariamento del collegio o dell’ordine inadempiente”.

Solo di recente, con l’articolo 5, commi 1 e 2 del DL 179 si è completato l’iter, estendendo anche alle imprese individuali l’obbligo di dotarsi di PEC ed iscriverla presso il registro delle imprese con le stesse modalità previste per le società, salvo che il periodo transitorio, di più breve durata, si è chiuso il 30 giugno 2013. E’ opportuno rilevare che il legislatore perviene per via legislativa alla medesima soluzione cui, per via interpretativa era giunta la circolare 3660/C per le società, e cioè che, spirato il termine di grazia introdotto col regime sospensivo alternativo alla sanzione pecuniaria, la domanda è rifiutata.

Si è discusso sulla applicabilità della fattispecie stante il richiamo da parte del comma 2 dell’articolo 5 del DL 179 all’articolo 2630 codice civile, invero incongruente, in quanto applicabile alle sole società e non anche alle imprese individuali la cui corrispondente norma sanzionatorio di riferimento è l’articolo 2194. secondo tale tesi la fattispecie alternativa non sarebbe applicabile perchè è inapplicabile l’articolo 2630, fattispecie sanzionatoria principale.

Tale tesi appare destituita di fondamento, ove si rifletta che l’articolo 5 del DL 179 è norma di rango primario al pari del codice civile ed ha disposto un principio sanzionatorio esplicitamente in deroga alla disciplina codicistica, con efficacia chiaramente innovativa.

Le norme relative all’amministrazione

L’articolo 16 sopra richiamato, oltre a stabilire un obbligo in capo ad imprese e professionisti, disciplina anche la posizione delle P.A, imponendo l’obbligo di dotarsi di una PEC per ogni registro di protocollo informandone l’Agenzia per l’Italia digitale al fine del caricamento sull’IPA (indice delle pubbliche amministrazioni), consultabile liberamente da chiunque. È evidente che il contenuto della disciplina de qua risulta oggi integrato dalla novellata disposizione del CAD (aggiunta col DL 179), che impone l’obbligo per l’amministrazione di servirsi esclusivamente della PEC alle condizioni sopra evidenziate.

Il ruolo della PEC, nella riforma del CAD

Si è dunque osservato il ruolo che il legislatore assegna alle ICT nell’ambito della riforma del CAD operata col DL 179. Non a caso la prima parte (sezioni da I a VI) del DL è denominata Agenda digitale italiana. In tale ambito il legislatore assegna alla PEC un ruolo centrale. Prendiamo ad esempio le disposizioni in materia di processo civile telematico (articolo 16 del DL 179) che rappresenta uno dei punti di maggior impatto dell’intera disciplina dell’Agenda.

Queste disposizioni modificano il codice di procedura civile in alcuni articoli chiave. I commi 4 e seguenti dell’articolo 16 precisano

“4. Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria…

6. Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario“.

Appare ictu oculi che la sanzione che il legislatore appresta per l’ipotesi che il destinatario (professionista/impresa) non si sia dotato di indirizzo PEC o non l’abbia comunicato, risulta senza precedenti in materia e comporta la sostanziale inconoscibilità dell’atto giudiziario. Forse è questa la norma che maggiormente ci da il senso della scelta legislativa e delle conseguenze ad essa connesse.

Strettamente connessa alla questione qui sopra trattata, appare la vicenda relativa alla notifica delle sanzioni amministrative.

Il quadro normativo di riferimento va collocato sistematicamente in una triplice matrice legislativa. D’un lato la disciplina amministrativa integrata e modificata dalle norme del CAD, dall’altro le disposizioni della risalente legge 689 del 1981, e da ultimo il codice di procedura civile, cui l’articolo 14 della legge 689 rinvia a fini formali.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che

“in tema di sanzioni amministrative, la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione non costituisce un elemento intrinseco, integrante la stessa, nè – in assenza di alcuna disposizione in tal senso rinvenibile nella legge n. 689 del 1981 – una condizione di validità della medesima, bensì un mero adempimento di carattere estrinseco che, come per la generalità degli atti amministrativi, è finalizzato a renderlo noto ai destinatari, agli effetti della relativa efficacia e a quelli dell’impugnabilità; ne consegue che l’omissione o l’invalidità della notificazione non comportano l’inesistenza del provvedimento impugnato, rilevabile d’ufficio” (Cass. 5 giugno 2006, n. 13207).

Certamente il coacervo normativo non chiarisce la direzione intrapresa dal legislatore. Se da un lato appare preferibile la tesi della prevalenza delle disposizioni generali relative al provvedimento amministrativo e quindi la applicabilità doverosa della regola dell’esclusiva trasmissione tramite PEC, si obietta che la disciplina formale di riferimento (c.p.c.) appare sì modificata ma non in toto.

L’INI-PEC

Tutto il sistema, fondato su uno scambio di conoscenze e sulla immediata disponibilità degli indirizzi non può che fondarsi su un sistema anagrafico. Come esiste un’anagrafe delle persone, una dei professionisti ed una delle imprese, cui rivolgersi ad ogni finalità di notificazione (ivi comprese quelle giudiziarie), così oggi il sistema appronta un anagrafe degli indirizzi PEC finalizzata alle medesime esigenze.

L’anagrafe di cui sopra è introdotta con l’articolo 5 del DL 179, che novellando il CAD aggiunge un articolo 6-bis a quest’ultimo. Il modello prescelto dal legislatore è quello di un indice nazionale che comprende tutti gli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti. Questo indice, tenuto dal Ministero dello sviluppo economico è costituito in maniera tale da consentire a tutte le amministrazioni di accedevi per le finalità evidenziate nei paragrafi precedenti.

In sede di conversione del decreto legge, si è ritenuto opportuno ampliare la platea dei soggetti aventi diritto alla consultazione dell’INI-PEC, includendovi (oltre alle amministrazioni, ai gestori e concessionari di pubblici servizi, alle imprese ed ai professionisti) anche i cittadini. Tale scelta appare meritevole di analisi. Innanzitutto il legislatore non pone limiti alla consultabilità da parte dei cittadini, non richiedendosi un interesse specifico, né rinviando alle norme sul diritto d’accesso. Anzi la norma, proprio a rinforzare il diritto del cittadino a consultare l’INI-PEC, fissa il criterio secondo cui l’accesso avviene “senza necessità di autenticazione”.

La ratio della disciplina appare dunque chiara: l’indice è a disposizione di tutti, liberamente e gratuitamente consultabile, secondo modalità tecnologicamente accessibili (sito web). Ciò ci conforta nella affermazione sopra esposta al paragrafo 2, secondo cui il legislatore con l’articolo 5-bis del CAD, ha iniziato a disegnare un percorso (per ora work in progress) a formazione progressiva, in cui al momento pone come facoltativa e discrezionale per il cittadino la domiciliazione elettronica, ma al contempo, progettando l’architettura dell’INI-PEC, lo include già oggi tra i soggetti fruitori e così comportandosi, ripeto a mio parere, in prospettiva futura, il legislatore progetta un utilizzo esclusivo erga omnes dello strumento PEC.

La norma introdotta nel CAD (articolo 6-bis) è molto stringata nel dettare i principi generali.

Il primo criterio chiaramente desumibile consiste in ciò, che la titolarità dei dati (indirizzi PEC) resta in capo ai singoli soggetti che li detengono (registro delle imprese per le imprese, e ordini e collegi per i professionisti).

L’INI-PEC si limita a registrarli e pubblicarli, consentendone la fruizione a qualunque cittadino, P.A, impresa o professionista.

L’altro criterio esplicitato dal legislatore, è che tutte le imprese iscritte al registro delle imprese, indipendentemente dalla natura di piccolo imprenditore, impresa agricola, impresa artigiana, individuale o societaria, deve iscrivere il proprio indirizzo PEC presso il registro delle imprese, che lo comunica per la pubblicazione all’INI-PEC2.

Parimenti lo stesso obbligo grava su tutti i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato e conseguentemente sui rispettivi ordini o collegi professionali per il riversamento dei dati all’INI-PEC. Da questa norma si arguisce come vi sia un limite positivo “iscrizione in albi ed elenchi”, più ampio della mera declaratoria degli albi professionali (tale ad es. da ricomprendere anche gli spedizioneri doganali), ed uno negativo “istituiti con legge dello Stato” (o con atto di pari rango).

Null’altro è desumibile dalla norma del CAD, al di là della già citata platea dei soggetti autorizzati alla consultazione, delle modalità della stessa e della delega al Ministero per la definizione dei criteri e delle modalità di realizzazione tecnica, aggiornamento e consultazione dell’indice stesso.

Il decreto ministeriale 19 marzo 2013

Il DM 19 marzo 2013 attua la delega prevista dall’articolo 6-bis. In adesione alla delega il DM individua le modalità di realizzazione e gestione operativa dell’INI-PEC, le modalità di accesso allo stesso;

le forme con cui gli Ordini ed i Collegi professionali comunicano e aggiornano gli indirizzi di posta elettronica certificata relativi ai professionisti di propria competenza.

L’indice è ovviamente strutturato su base esclusivamente informatica. L’INI-PEC è strutturato in due sezioni, l’una riferita alle imprese, l’altra ai professionisti.

Il primo problema che l’indice affronta è quello della determinazione delle key word, che rappresentano allo stesso momento, le chiavi d’alimentazione e d’accesso all’INI-PEC. Per le imprese sono individuate la provincia (in cui è stabilita la sede principale della stessa), che coincide con l’ufficio del registro delle imprese e quindi la CCIAA presso cui l’impresa è iscritta; il codice fiscale (che coincide con il numero d’iscrizione al registro delle imprese); la ragione sociale o la denominazione della società (il DM non cita la ditta dell’impresa individuale, ma si deve ritenere sottintesa); ed infine l’indirizzo PEC della stessa.

Per i professionisti la provincia e l’ordine o collegio di iscrizione; il codice fiscale del professionista (necessario per escludere le omonimie); il nome e cognome dello stesso; l’indirizzo PEC. Appare opportuno soffermarsi sul primo elemento (provincia ed ordine/collegio).

La norma delegata parte dal presupposto che i dati (come a mio parere ben desumibile dal citato articolo 16 del DL del 2008) sono comunicati dai professionisti ai rispettivi ordini o collegi professionali provinciali (o infra o sovraprovinciali) e da questi detenuti e non già dai consigli nazionali, che in virtù di disciplina e regolamentazione interna, possono ben fungere da depository esponenziale, senza tuttavia incidere sulla titolarità del dato che resta in capo al singolo ordine/collegio distrettuale.

Se spostiamo l’analisi sul fronte della consultazione, il decreto delegato chiarisce che tutti i dati saranno fruibili in formato aperto, proprio a voler ribadire, in assenza di ogni sistema o linguaggio proprietario, la completa consultabilità da parte di tutti i soggetti individuati dalla norma.

Il DM, in attuazione dell’articolo 6-bis individua due momenti di implementazione dell’indice: quello iniziale, che prevede il primo caricamento dei dati e sostanzialmente il riempimento del contenitore delineato dal legislatore, e quello a regime, in cui i dati già presenti nell’indice devono necessariamente essere attualizzati, aggiornati, modificati e se del caso cancellati.

La fase iniziale prevede un caricamento massivo operato, per la sezione imprese, con l’estrazione massiva degli indirizzi PEC iscritti nel registro delle imprese; per la sezione professionisti, con il trasferimento in via telematica da parte dei singoli collegi ed ordini degli indirizzi PEC da questi detenuti.

Appare indispensabile in questa sede fare una precisazione.

Il DM afferma all’articolo 3 che sono caricate le “informazioni relative alle imprese che risultano attive e che hanno provveduto al deposito dell’indirizzo PEC “, ribadendosi in capo all’indice, il ruolo di mero ricettore delle informazioni (indirizzi PEC) detenuti dai rispettivi titolari (registro delle imprese e ordini/collegi), ed al contempo presumendosi, che pur in presenza di una norma cogente, vi siano soggetti tenuti per legge, che non abbiano adempiuto all’obbligo di iscrizione o comunicazione dell’indirizzo PEC. La regola secondo cui il titolare dei dati risponde dei medesimi e della corretta trasmissione all’INI-PEC, appare ulteriormente ribadito dall’articolo 4, commi 7 ed 8 del DM.

Una volta procedutosi alla prima costituzione dell’indice, la disciplina prevede le modalità di aggiornamento, che riguardano tre macrocategorie: modifiche degli indirizzi PEC relativi a imprese/professionisti già iscritti all’INI-PEC (è il caso di soggetti già caricati che mutino il proprio indirizzo PEC, ad es. perchè modificano la stringa della denominazione, ovvero perché, ad es., mutano il gestore della stessa); imprese/professionisti di nuova iscrizione al registro delle imprese o ai relativi albi/elenchi (si tratta di soggetti fino ad allora ignoti all’INI-PEC, sia nel caso che si tratti effettivamente di neoiscritti, sia nel caso si tratti di soggetti già tenuti all’obbligo che hanno adempiuto in ritardo); imprese/professionisti che cessano l’attività e che pertanto non sono più tenuti all’obbligo della PEC a norma dell’articolo 16 del DL del 2008 (è evidente che detti soggetti, come cittadini potranno disporre della propria PEC, ma questa non comparirà più sull’INI-PEC).

La fase a regime (iniziata il 19 novembre 2013) che contempla gli aggiornamenti sopra evidenziati, è alimentata “ad horas”, nel senso che il registro delle imprese, d’un lato, e gli ordini e collegi dall’altro trasmettono a cadenza quotidiana tutte le variazioni relative agli indirizzi PEC, come sopra evidenziate, ricadendo sui titolari dei dati la responsabilità dell’ottemperanza dei termini di aggiornamento. L’indice assicura l’immediato caricamento e quindi la immediata disponibilità dei dati così comunicati.

Ciò evidenzia la rilevanza che il legislatore assegna all’indice che, in quanto pubblico registro, è fonte di certezze giuridiche e deve contenere dati reali ed aggiornati.

Conclusioni

Appare quindi chiaro l’orientamento del legislatore, che con l’Agenda digitale italiana, parte centrale del decreto legge 179/2012, punta proprio sull’utilizzo delle tecnologie dell’informazione (e in maniera particolare sulla PEC) per accelerare la ripresa del sistema economico del Paese.

L’INI-PEC rappresenta la chiave di volta del sistema, d’un lato il punto conclusivo di un processo avviato nel 2005 ed implementato nel 2008, dall’altro la base dati su cui l’Agenda digitale si costruisce. Il processo civile telematico, nella parte delle notifiche può funzionare se funziona l’INI-PEC; il nuovo modello di rapporto “telematico” tra l’amministrazione (centrale, locale, tributaria) ed i professionisti e le imprese può funzionare se l’INI-PEC è in grado di costituire la certa anagrafe dei domicili elettronici.

Quel che però più conta è che il legislatore, completando con il DM 19 marzo 2013, l’iter legislativo, impone e non più, propone, alle amministrazioni centrali e soprattutto locali, un nuovo modello di rapporto con l’impresa ed il professionista.

Per le amministrazioni (centrali o locali che siano), l’INI-PEC, dovrà divenire, in tempi strettissimi l’unico riferimento pubblico per ogni forma di comunicazione di qualunque tipo di atto amministrativo verso imprese e professionisti.

28 febbraio 2014

Marco Maceroni

NOTE

1 Cfr. Circolare 3660/C del Ministero dello sviluppo economico del 24 aprile 2013, che integra il parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 1714/2013 del 18 aprile 2013.

2 Cfr. Circolare Ministero sviluppo economico 23 aprile 2013, n. 68168, con la quale si è tra l’altro precisato che anche le imprese agricole con fatturato inferiore ai 7000 euro, volontariamente iscrittesi al registro delle imprese (sezione speciale), pur non essendovi tenute per legge, sono assoggettate alla disciplina relativa l’obbligo di indicare il proprio indirizzo PEC. Nella stessa circolare si afferma che tenuto conto della specificità assegnata dal legislatore alla PEC nel quadro dell’Agenda digitale italiana (ed in primis con le norme sull’INI-PEC), è necessario che le imprese che comunicheranno al registro delle imprese per l’iscrizione il proprio indirizzo PEC non possano che indicare il proprio indirizzo PEC, senza possibilità di domiciliazione presso altro soggetto (impresa capogruppo, altra impresa, professionista, associazione di categoria…), rivenendo sulla propria precedente posizione espressa prima del decreto legge 179 del 2012, con la quale, nel diverso contesto normativo, tale domiciliazione si tollerava.