il vizio motivazione può essere eccepito dal contribuente con un certo margine di successo tutte le volte in cui l’Ufficio si sia limitato a richiamare la mera esistenza di un atto formale (avviso di accertamento, PVC o provvedimento di irrogazioni di sanzioni)
Il presidente della Commissione Tributaria Provinciale può accogliere la richiesta di iscrizione ipotecaria o sequestro conservativo, in presenza dei presupposti di legge, che nella specie sono il fumus boni iuris (fondatezza della pretesa) e il periculum in mora (pericolo attuale per il buon esito della riscossione). Pertanto, l’applicazione di una misura cautelare, ai sensi dall’art. 22 del D.Lgs. 472/1997, deve essere negata se la motivazione addotta dall’Amministrazione Finanziaria per giustificare l’istanza è costituita da una mera elencazione dei rilievi contenuti nell’avviso di accertamento e se l’asserito fondato timore di perdere la garanzia del proprio il credito non risulta supportato da dati oggettivi circa la consistenza patrimoniale del contribuente/debitore. Lo ha affermato la CTP di Lecce, nella sentenza n. 233/02/12, pubblicata il 9 ottobre scorso mediante deposito in segreteria.
Le misure cautelari
Giova premettere che le misure cautelari dell’ipoteca e del sequestro conservativo sono previste dall’art. 22 D.Lgs. n. 472/1997 e sono dirette a preservare l’integrità del patrimonio contro il rischio di eventuali atti dispositivi del debitore.
In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la relativa notifica, l’Amministrazione, quando nutre il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito può richiedere, con istanza motivata rivolta al presidente della Commissione Tributaria Provinciale, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni.
Presupposti di legge
Il presidente della Commissione provinciale può accogliere la richiesta di iscrizione ipotecaria o disporre il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili del debitore/contribuente, in presenza dei presupposti di legge, ossia del:
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fumus boni iuris (fondatezza della pretesa);
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periculum in mora (pericolo attuale per il buon esito della riscossione).
Il creditore procedente, quindi, ha l’obbligo di motivare l’istanza di iscrizione di ipoteca o di sequestro conservativo rivolta alla CTP, esplicitando:
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le regioni per le quali ritenga fondata la pretesa;
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le ragioni per le quali ritenga giustificato il timore di perdere le garanzie a tutela del proprio credito.
Di tale obbligo di legge ha tenuto conto la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, quando con la sentenza in commento ha deciso di bocciare la richiesta di misure cautelari e conservative sul patrimonio della società debitrice avanzate dall’Agenzia delle Entrate. Ma andiamo con ordine, partendo dai fatti di causa.
Il caso
L’Agenzia delle Entrate chiedeva al Presidente della Commissione tributaria provinciale, ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. 472/97 e dell’art. 27, commi 5-6 e 7 del D.L. 185/2008, l’autorizzazione a iscrivere ipoteca legale sui beni immobili di proprietà della società debitrice, fino alla concorrenza di 1 mln 255 mila euro (il doppio della somma complessivamente dovuta).
La richiesta trovava fondamento nel processo verbale di constatazione redatto a seguito di una verifica fiscale eseguita nei confronti della società resistente, alla quale si contestavano, con riferimento all’anno 2008, alcune violazioni alla normativa tributaria, per un carico complessivo di 309 mila 697 euro oltre sanzioni e interessi.
La difesa
Dal canto suo la contribuente – una società di capitali esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali – si costituiva in giudizio, opponendosi alla richiesta di misure cautelari:
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per inammissibilità dell’istanza per difetto assoluto di motivazione, per non avere l’Ufficio individuato e descritto gli immobili nei confronti dei quali veniva richiesta l’autorizzazione a iscrivere ipoteca;
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in ogni caso, per mancanza di entrambi i presupposti previsti dalla legge.
Ebbene, la difesa della contribuente è risultata vincente.
Osservazioni sul “fumus”
I giudici precisano che l’applicazione di una misura cautelare presuppone l’esistenza del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora”.
Nella fattispecie invece la richiesta dell’Ufficio si è limitata a richiamare l’avviso di accertamento e il processo verbale di constatazione dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, nonché a dare la generica indicazione della somma complessiva dovuta dalla società contribuente per l’anno d’imposta in contestazione.
In altre parole, la motivazione adottata per giustificare la richiesta di misura cautelare si è risolta in “una mera elencazione dei rilievi contenuti nell’avviso di accertamento”.
Tale circostanza ha indotto il Collegio ad affermare che l’Amministrazione sia venuta meno al preciso obbligo di “corroborare” la propria richiesta di applicazione di misura cautelare con ulteriori elementi non risultanti dall’avviso di accertamento; obbligo che diventa ancor più pressante se dalla lettura degli atti processuali non sia emersa “una preoccupante attività di evasione” da parte del debitore.
In sostanza, a parere della CTP, “l’assoluta carenza di materiale probatorio non consente di valutare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria”, con conseguente impossibilità per il giudicante di ritenere provato il “fumus”.
Osservazione sul “periculum”
La posizione dell’Ufficio non è parsa “limpida” neanche sotto il profilo del “fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”.
Infatti, per provare l’esistenza di un rischio per la riscossione, l’Ufficio avrebbe dovuto fare riferimento “a dati oggettivi”, riguardanti la consistenza patrimoniale del debitore, e a indici soggettivi concernenti il comportamento processuale ed extraprocessuale dello stesso.
“Il timore per essere fondato – si legge in sentenza – non può essere basato su apprezzamenti psicologici e personali, bensì su elementi obiettivamente sintomatici di un pericolo reale. Nel caso di specie, l’ufficio si è limitato ad affermare di ritenere che sussista fondato timore per l’Amministrazione Finanziaria di perdere il proprio credito, omettendo di supportare con dati oggettivi tale affermazione, e, quindi, sottraendosi all’onere motivazionale generalizzato per ogni provvedimento, alla cui osservanza viene espressamente richiamato, anche, dall’Amministrazione centrale, con circolare 14 luglio 2000, n. 25”.
Dalla stessa richiesta di applicazione di misure cautelari, osserva ancora il Collegio salentino, è emersa la totale l’assenza del “pericolo” per il Fisco di perdere la garanzia del proprio credito, considerato che:
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a fronte di un potenziale debito di circa 620 mila euro (imposte più sanzioni) è risultato un patrimonio immobiliare della resistente, di valore di gran lunga superiore all’importo accertato, essendo essa “intestataria di ben 236 immobili, di cui n. 198 iscritti al catasto fabbricati e n. 38 al catasto terreni. II presumibile valore di tali beni sarebbe già sufficiente a garantire la pretesa tributaria, anche se dovesse essere integralmente confermata in sede di giudizio di merito; né risultano evidenziati comportamenti della resistente volti a far perdere la garanzia del credito, quali tentativi di alienazione del notevole patrimonio immobiliare”.
Conclusioni
Insomma, la Commissione Tributaria di Lecce, in difetto di entrambi i requisiti di legge (fumus e periculum), ha ritenuto di dover respingere la richiesta formulata dall’Ufficio procedente, in quanto “connotata da un’assoluta genericità”, che ne ha determinato, conseguentemente, “un difetto di motivazione, non essendo stati indicati né i beni immobili sui quali iscrivere ipoteca né il valore degli stessi, e, neppure, gli immobili sui quali risultava già iscritta ipoteca”. Spese del giudizio compensate.
Il vizio di motivazione
La sentenza in commento conferma che il vizio motivazione può essere eccepito dal contribuente con un certo margine di successo tutte le volte in cui l’Ufficio si sia limitato a richiamare la mera esistenza di un atto formale (avviso di accertamento, PVC o provvedimento di irrogazioni di sanzioni).
L’illegittimità dell’istanza di misure cautelari può essere invocata anche per l’ipotesi in cui l’A.F. abbia dedotto l’esistenza del presupposto che a suo dire giustificherebbe la misura cautelare, senza avvalorare tale affermazione con altri elementi quali l’indice di solvibilità e di indebitamento desunti dal bilancio per le imprese ovvero sulla scorta della capienza dei beni strumentali al netto degli ammortamenti, alle rimanenze del magazzino, o ancora al patrimonio immobiliare e ai beni mobili registrati, nel caso in cui le misure vengano richieste in danno a soggetti non obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria oppure ai lavoratori autonomi. In tal senso si è infatti espressa anche l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 4/E/2010.
Provvedimenti cautelari |
Gli Uffici si attivano a richiederli tutte le volte in cui reputino reale e attuale il rischio di comportamenti del debitore volti alla sottrazione di beni disponibili a eventuali azioni esecutive. A maggior ragione se il patrimonio del contribuente si presenti sin da subito insufficiente o appena sufficiente a soddisfare la pretesa erariale. |
Chi decide sulla richiesta? |
Il presidente della Commissione Tributaria Provinciale competente per territorio, in presenza:
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Crediti sottoponibili alle azioni esecutive |
Tutti quelli relativi a tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate. Vi rientrano, quindi, i crediti IVA, IRPEF, IRAP, imposta di registro etc. |
8 maggio 2013
Antonio Gigliotti