False partite IVA, un problema superabile

la Riforma Fonero ha inserito una serie di limiti all’utilizzo della partita IVA al posto del contratto di collaborazione: un quadro della situazione

La Riforma Fornero prevede (art. 1 c. 26 della L. 92/2012) una verifica della reale operatività delle partite IVA al fine di isolare ed evidenziare quei rapporti lavorativi gestiti tramite partita IVA, ma che “nascondono” un rapporto di subordinazione.

Per determinare che le partite IVA individuali siano “vere”, cioè con una effettiva attività di lavoro autonomo, vengono individuati tre parametri presuntivi.

 

I parametri presuntivi

La presunzione principale (di natura relativa) è che i rapporti di lavoro autonomo con partita Iva vengono considerati rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

  1. quando la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi nell’arco di due anni solari consecutivi (originariamente era un anno solare poi modificato, come il successivo punto 2), dalla L. 134/2012 – Decreto Sviluppo);

  2. quando il corrispettivo derivante dalla collaborazione nell’arco di due anni solari consecutivi superi l’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore (anche se fatturati a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi);

  3. quando il prestatore di lavoro abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente.

 

In evidenza

  1. il Legislatore indica che se ricorrono almeno due dei suindicati parametri, il rapporto non si considera di lavoro autonomo ma di collaborazione coordinata e continuativa (presunzione assoluta). Conseguenza non di poco conto perché la normativa in materia di collaborazione coordinata e continuativa (art.409 del Cpc e L.276/2003) rileva che il contratto di collaborazione deve obbligatoriamente essere riconducibile ad un progetto; in caso di mancanza il rapporto si considera di natura subordinata. Pertanto, per effetto di tale collegamento, il soggetto con partita Iva che in relazione ai parametri presuntivi perde la natura di lavoratore autonomo, in caso di mancanza di un progetto viene considerato lavoratore subordinato, oltre che lavoratore in nero in quanto del rapporto non è stata data comunicazione al Centro per l’Impiego

  2. il Legislatore, nell’identificare la figura del committente, utilizza un termine assolutamente nuovo in campo giuslavoristico: soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi. Un termine che ha un campo di applicazione vastissimo. Possono essere riconducibili a tale situazione: più società facenti capo alla stessa compagine sociale, società tra loro controllate o collegate, ma più semplicemente anche realtà giuridiche diverse e senza la medesima compagine sociale ma collegate tra loro per il solo fatto di avere due sedi separate in un unico immobile.

  3. La disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente: ma cosa vuol dire, che non posso avere una scrivania ma posso utilizzare il cellulare dell’azienda piuttosto che l’auto aziendale? Alquanto approssimativa la disposizione normativa e quindi va vista, da parte del committente, in maniera positiva. Positiva perché facilmente giustificabile in caso di contestazione da parte dell’Organo accertatore

 

Prova contraria ed esclusioni

La disposizione legislativa della “Manovra Fornero”, che stiamo commentando, è stata aspramente criticata e se ci fermiamo alla lettura della prima parte del comma 26 dell’art.1, commenti positivi al riguardo proprio non riusciamo a trovarli. Ma se proseguiamo nell’analisi del dettato normativo, vediamo che con una prova contraria ed alcune esclusioni, a ben vedere il Legislatore esclude dalla presunzione relativa ed assoluta di cui sopra tutti quei rapporti che sono realmente di lavoro autonomo:

  1. È previsto che il committente possa comunque fornire prova contraria ai parametri presuntivi (ad oggi comunque non è stato chiarito quale sia la prova contraria e se deve riguardare i presupposti sopra indicati o è libera)

  2. Non opera la presunzione quando la prestazione lavorativa sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi. Come può non considerarsi un “significativo percorso formativo” quello attuato dal soggetto che ha sostenuto un esame per l’iscrizione ad un albo professionale, ma come non può altrettanto non considerarsi un “significativo percorso formativo” il corso professionale per estetista;

  3. Non opera la presunzione quando la prestazione lavorativa sia connotata da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività. Esempio il soggetto che per tanti anni ha lavorato quale dirigente nel campo informatico (anche se non iscritto ad alcun albo professionale) e decide di collaborare come lavoratore autonomo con partita Iva presso uno studio di ingegneria informatica, non potrà assolutamente rientrare nei paramenti presuntivi dettati dal Legislatore

  4. Non opera la presunzione quando il lavoratore autonomo sia titolare di reddito (attenzione parla di reddito e non di volume di affari) non inferiore a 1,25 volte il minimo imponibile di cui all’art.1 comma 3 della L. 233/1990. Trattasi del livello minimo ai fini del versamento dei contributi previdenziali relativo alla gestione previdenziale del commercio. Questo importo è pari, nel 2012, a € 14.930,00 il che porta a un reddito annuo minimo da lavoro autonomo pari a € 18.663,00.

E’ un valore sicuramente attendibile e che ha un senso logico, perché se prendiamo il lordo di un terzo livello super del CCNL Studi professionali (€ 1.391,00) al netto dei contributi previdenziali a carico del dipendente (9,19%) e lo moltiplichiamo per 14 mensilità, aggiungendo la quota di Tfr annuale, l’importo che ne deriva è di ca. € 19.000,00., quindi un importo vicinissimo a € 18.663,00. proposto dal Legislatore

    1. Non opera la presunzione quando la prestazione lavorativa è svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati. Sembrerebbe scontato pertanto che se il lavoratore autonomo con partita Iva è iscritto in un Albo professionale, in merito al presente ed al precedente punto 2), lo stesso non può che essere considerato tale. Ma attenzione: questo vale anche per gli albi, elenchi, ecc. tenuti dalla CCIAA ed inoltre non è indicato che il lavoratore sia “iscritto” ad un Ordine ma quando la prestazione è svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un Ordine.

Qui si apre un ulteriore scenario.

Una norma di interpretazione autentica è contenuta nel comma 27 del richiamato art. 1 della Riforma Fornero, riguarda le collaborazioni coordinate e continuative, ma è estendibile per analogia anche al lavoratore autonomo con partita Iva: interviene in merito alla disposizione dettata dalla Legge Biagi al comma 3 dell’art.61 (L.276/2003) indicando che sono escluse dal campo di applicazione delle norme che regolano i cocopro, le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali.

L’esclusione di tutta la normativa dettata dalla Legge Biagi in materia di cocopro riguarda solo le collaborazioni il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione. Prendiamo ad esempio l’attività di uno studio professionale: la tenuta della contabilità è una attività “riservata” per il cui svolgimento è necessaria l’iscrizione all’Albo dei ODCEC? No, pertanto il lavoratore con partita Iva dedito esclusivamente alla elaborazione della contabilità dei clienti dello studio rischia di essere qualificato come collaboratore coordinato e continuativo e se manca il progetto (a cascata) come lavoratore subordinato.

Ma il lavoratore con partita Iva che all’interno dello studio gestisce, in collaborazione con il professionista, esclusivamente procedure fallimentari (attività riservata) piuttosto che contenzioso, non può non essere considerato che lavoratore autonomo.

In ogni caso il comma 3 dell’art.26 demanda ad un Decreto del Ministero del Lavoro da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della riforma (18/10/12), la ricognizione delle attività di cui al presente punto.

 

Decorrenza

le presunzioni per il lavoratore con partita Iva si applicano a tutti i rapporti di lavoro instaurati dal 18/07/2012 (data di entrata in vigore della Riforma), mentre per i rapporti già incorso a tale data, le disposizioni in commento si applicano solamente decorsi dodici mesi sempre dall’entrata in vigore, quindi dal 18/07/2012.

 

La considerazione finale è che il Legislatore, a ben vedere, ha voluto mettere un “freno” a tutti quei rapporti gestiti sotto forma di “partita Iva” ma poi alla realtà dei fatti… “fasulli”, lasciando comunque spazio a quelle situazioni di lavoratori autonomi “reali”. Impossibile immaginare lavoratore autonomo con partita Iva un ragazzo di 19 anni appena uscito dall’istituto secondario, che presta attività di disegnatore in uno studio Professionale di Geometri; assolutamente attendibile il lavoratore autonomo con partita Iva che presta la stessa attività, ma che è stato iscritto al registro praticanti dell’Ordine Professionale ed ha sostenuto l’esame abilitativo superandolo, ma che magari per propria scelta non si è iscritto all’Albo Professionale. Allo stesso modo è altrettanto attendibile quel lavoratore autonomo con partita Iva che per molti anni ha svolto la medesima attività presso un Ente Pubblico.

 

27 agosto 2012

Maurizio Falcioni