Aspetti fiscali del recesso del socio persona fisica nelle società di capitali

il recesso del socio nelle società commerciali rappresenta da sempre un argomento, da un punto di vista fiscale, che propone diverse problematiche applicative: ecco un approfondimento in merito a tale complesso aspetto della vita di una società

Il recesso del socio nelle società commerciali rappresenta da sempre un argomento , da un punto di vista fiscale, che ha diverse problematiche applicative. Vediamo di analizzare alcuni aspetti alla luce delle recenti interpretazioni di prassi ministeriale.

Prima di procedere all’analisi degli aspetti fiscali del recesso del socio si ritiene utile un breve cenno alla risoluzione n.68/2008 dell’Agenzia delle Entrate. I tecnici ministeriali con risoluzione 25 febbraio 2008, n. 64/E, hanno affermato che l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso risulta costituito da due componenti:

  1. la prima (afferente la quota di patrimonio netto spettante al socio in proporzione alla quota di partecipazione detenuta) risulta costituita dal rimborso della quota di capitale sociale versato dal socio e dalla distribuzione delle riserve sia di utili che di capitale eventualmente esistenti;

  2. la seconda relativa, invece, al riconoscimento dell’eventuale maggior valore economico del complesso aziendale alla data dello scioglimento del rapporto sociale rispetto ai valori contabili del patrimonio e che costituisce la «differenza da recesso».

 

Per l’Agenzia delle Entrate, a seguito della liquidazione della quota detenuta dal socio uscente, la società procederà per la parte afferente il rimborso del valore nominale della partecipazione all’annullamento della quota di capitale sociale detenuta dal socio ed alla corrispondente riduzione delle eventuali riserve sia di utili che di capitale spettanti al socio. Tali operazioni, di natura esclusivamente patrimoniale, non avranno alcuna rilevanza sulla determinazione del reddito imponibile della società. A diverse conclusioni deve, invece, giungersi con riferimento alla seconda componente della quota da corrispondere al socio receduto, corrispondente alla «differenza da recesso», in quanto tale importo concretizza, a parere dell’Agenzia, un componente negativo rilevante ai fini della determinazione del reddito della società. Occorre, infatti, considerare che tale differenza, come detto, origina “plusvalenze latenti del complesso aziendale, che rimangono insite nel patrimonio sociale anche dopo il recesso del socio”. In particolare,

– le plusvalenze e l’avviamento (derivante dalla effettiva valorizzazione economica della società rispetto ai valori storici indicati in bilancio), quando realizzati, costituiranno componenti positivi di reddito e saranno assoggettati a tassazione, in base al principio di trasparenza, in capo ai soci rimanenti;

– gli utili in corso di formazione alla data del recesso, unitamente a quelli conseguiti nella restante parte dell’esercizio, saranno, invece, tassati per trasparenza in capo ai soci superstiti alla fine dell’esercizio stesso.

 

Nella “prassi professionale” si evita il recesso

La disciplina di natura civilistica che segue il recesso del socio da società di capitali, come anche l’aspetto fiscale, è nel nostro ordinamento piuttosto complesso; questo comporta come conseguenza che si preferisce nella prassi quotidiana professionale suggerire la cessione delle quote rispetto al recesso di quote anche se bisogna sottolineare che l’istituto del recesso non può, essere accantonato con sufficienza, nonostante diversi aspetti presentino difficoltà interpretative non facili da superare.

Nelle società di capitali la normativa civilistica prevede che l’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito:

  1. al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società;

  2. alla sua fusione o scissione;

  3. alla revoca dello stato di liquidazione;

  4. al trasferimento della sede all’estero;

  5. alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo;

  6. al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci .

Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. Nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l’atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno. I soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente.

Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale.

Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.

 

Aspetto fiscale

Nella normativa fiscale il recesso del socio è disciplinato dall’art. 47, comma 7, del DPR 917/86 (cd. Tuir), il quale stabilisce che “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”. I tecnici delle Entrate hanno precisato che nella specifica ipotesi di recesso del socio, la predetta eccedenza, per le persone fisiche che non detengono la partecipazione in regime di impresa, va qualificata come utile, allorché si verifichi un “recesso tipico”, il quale comporta l’annullamento delle azioni o quote.

Vediamo di analizzare, brevemente, le diverse ipotesi di recesso previste dalla normativa fiscale.

  1. Società di capitali il rimborso. Nell’ipotesi di rimborso da parte di una società di capitali, in regime ordinario Ires, per effetto del recesso di una società di capitali soggetto passivo Ires, con relativo annullamento delle azioni o delle quote si dovrà fiscalmente individuare la quota parte riferibile agli utili da partecipazione (imponibili, quindi, per i soggetti passivi Ires nella misura del 5%), dato dalla differenza tra eventuale maggiore somma ricevuta rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione (da assoggettare al regime proprio delle plusvalenze, con possibile applicazione, in presenza dei requisiti richiesti dall’art. 87 del Tuir, della cosiddetta participation exemption). Va compiuta, pertanto, una ricostruzione complessiva delle somme o del valore normale dei beni ricevuti dal socio recedente, soggetto ad Ires, secondo le anzidette modalità.

  2. Persona fisica il recesso. Se il socio persona fisica, è titolare di una partecipazione non qualificata ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. c, del Tuir, la differenza tra somma ricevuta (o valore normale dei beni ricevuti) e valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione è da qualificarsi come reddito di capitale (art. 47, c. 7, del Tuir); la circolare 16 giugno 2004, n. 26/E dell’Agenzia delle Entrate afferma che, in questa ipotesi, “ciò vale anche per la parte di tali eccedenze che derivano da riserve di capitale”. Non si guarda, pertanto, alla natura delle somme in capo alla società erogante, ma l’intero differenziale costituisce dividendo, come tale soggetto alla ritenuta alla fonte di cui all’art. 27, c. 1-bis, del D.P.R. n. 600/1973. Si tratta di una ritenuta «secca» (che elimina quindi, almeno quando si recede da società residenti, ogni obbligo dichiarativo) che è fissata al 12,50% sino al 31 dicembre 2011, ma è aumentata al 20%, a decorrere dal 1° gennaio 2012, per effetto della riforma delle rendite finanziarie e dei redditi diversi prevista dal Manovra di Ferragosto (D.L. 13 agosto 2011, n. 138). Nel caso di socio persona fisica con partecipazione qualificata il differenziale ha sempre natura di reddito di capitale ma, in luogo della ritenuta alla fonte, vi è la concorrenza di una parte della somma ottenuta alla determinazione del reddito da assoggettare ad IRPEF in dichiarazione (addizionali comprese); attualmente tale parte è fissata al 49,72%.

  3. Recesso in “regime di impresa”. Nel caso in cui il socio che recede è una persona fisica che detiene la partecipazione in regime d’impresa la circolare n. 26/E del 2004 dell’Agenzia delle Entrate è del parere che, passando dal socio “persona fisica” al “socio impresa”, non si ragiona più in termini di “reddito di capitale” ma di un componente del reddito d’impresa costituito dalla plusvalenza su partecipazioni. Nel caso di requisiti “PEX”, pertanto, le plusvalenze ottenute in sede di recesso sono attualmente esenti, per le “imprese IRPEF”, nella misura del 50,28% (art. 2, c. 2, del D.M. 2 aprile 2008). Ne risulta una quota imponibile del 49,72%, che sale al 100% in assenza dei requisiti “PEX”.

 

7 marzo 2012

Federico Gavioli