Analizziamo la giurisprudenza di Cassazione in tema di accesso non autorizzato: qual è il destino degli accertamenti fiscali che si basano sulla documentazione raccolta durante tali accessi?
Con sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012 (ud. 23 novembre 2011) la Corte di Cassazione è stata chiamata in causa dall’Agenzia delle Entrate, per la cassazione della sentenza che ha accolto l’appello della società contro la sentenza della CTP di Verona n. 117/09/2002, che aveva integralmente disatteso i ricorsi (poi riuniti in primo grado) della stessa società avverso avvisi di accertamento per IRPEF-ILOR-IVA relative agli anni 1995-1996.
I fatti di causa.
Con avvisi di accertamento per imposte relative agli anni 1995-1996 l’Agenzia ha recuperato, in capo alla società intimata, ulteriore base imponibile determinata in ragione
“degli elementi indiziari desunti dal ritrovamento di documentazione extracontabile da parte della GdF presso l’abitazione dell’amministratore della ricorrente società, B.A.”.
Gli avvisi in questione sono stati impugnati dalla E.T. Sas avanti alla CTP di Verona che ha rigettato i ricorsi, con unica sentenza, dopo averli riuniti.
L’appello interposto dalla società contribuente (“fondato in principalità sull’assunto dell’inesistenza dei gravi indizi richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, ai fini dell’autorizzazione all’accesso in locali diversi da quelli destinati all’esercizio delle attività commerciali nonchè sull’illiceità dell’accesso domiciliare per la parte in cui si era svolta in altri locali del medesimo fabbricato, diversi dall’abitazione del B. e concessi in comodato a tale signora S., nonna del B. medesima”) è stato accolto dalla CTR Veneto, che ha perciò dichiarato insussistente la pretesa tributaria.
La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che “la previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica – condizionata all’esistenza di indizi gravi di violazioni tributarie – è soggetta a sindacato da parte del giudice tributario in ordine alla effettiva esistenza degli indizi stessi.
Non essendo negli atti di causa la copia della nota con cui la GdF aveva chiesto al locale Procuratore della Repubblica l’autorizzazione all’accesso presso l’abitazione privata, non appariva possibile stabilire se i predetti indizi sussistessero effettivamente.
Perciò, il giudicante ha ritenuto che l’accesso sia stato illegittimamente effettuato, con la conseguente inutilizzabilità di tutta la documentazione in tale sede reperita, siccome dotata di valenza determinante ai fini della fondatezza della pretesa impositiva”.
Inoltre,
“l’acceso doveva essere ulteriormente ritenuto illegittimo per il fatto che aveva interessato anche locali per i quali non esisteva l’autorizzazione, e cioè l’abitazione della S., persona estranea alla società ed anche all’amministratore di quella”.
I motivi della decisione
I supremi giudici, rilevano, innanzitutto, che
“secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Corte Cass. SU 13.7.2005 n. 14692; id. SU 16.3.2009 n. 6315 id. SU 7.5.2010 n. 1082), il principio della sindacabilità degli atti indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, anche per difetto o vizi di legittimità degli atti prodromici e strumentali del procedimento ovvero degli atti c.d. presupposti che realizzino un collegamento funzionale con l’atto impugnabile avanti il Giudice tributario (per es. atti autorizzativi al compimento delle operazioni di verifica, ed atto di accertamento: in questi casi non si è in presenza di un’unica sequenza procedimentale ma di autonomi procedimenti definiti con distinti provvedimenti collegati funzionalmente tra loro da un nesso di derivazione necessaria: Corte Cass. SU 21.11.2002 n. 16424; Corte Cass. 5′ sez. 1.10.2004 n. 19689; id. 23.4.2007 n. 9568; id. 16.10.2009 n. 21974; id. SU 16.3.2009 n. 6315 e SU 7.5.2010 n. 11082), giustifica l’attrazione alla giurisdizione tributaria anche della verifica della invalidità del provvedimento autorizzativo all’accesso nei luoghi di pertinenza del contribuente emesso dal PM ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1 e 2”.
E ciò perchè
“la giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D.Lgs. – tutte le fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato” (cfr. SU n. 6315/2009 cit.; conf. SU n. 11082/2010 cit.), risultando conseguentemente incompatibile con il riconoscimento della “esclusività” della giurisdizione in materia tributaria, affermato dalla L. 28 febbraio 2001, n. 448, art. 12, comma 2, la devoluzione di tali “atti istruttori” (ed in particolare degli atti presupposti) alla cognizione del Giudice amministrativo secondo gli ordinari criteri di riparto fondati sulla natura della situazione giuridica sostanziale asseritamente violata”.
Siamo, quindi, nell’ambito dei “vizi c.d. formali dell’atto impugnato, categoria nella quale va ascritto anche il vizio di invalidità del provvedimento autorizzativo, emesso dal PM – ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2 – in difetto di “gravi indizi di violazione di norme tributarie”, in quanto volto ad inficiare l’atto presupposto della verifica e dunque ad interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo, e che viene pertanto a configurarsi come vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata (così Corte Cass. SU n. 6315/2009 cit.) dell’atto consequenziale impugnato”.
Accesso dei verificatori previa autorizzazione – Brevi note
L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.
L’autorizzazione deve contenere1:
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il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;
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l’ordine di accedere;
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l’indicazione del soggetto da verificare;
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le ragioni del controllo;
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le effettive esigenze d’indagine esterna;
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l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;
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le annualità da verificare;
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la data dell’inizio della verifica;
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la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.
L’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole.
L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972.
Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non è necessario non sono necessari i gravi indizi, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.
In merito, la Corte di Cassazione – sentenza n. 19689 dell’1.10.2004 – ha avuto modo di operare una precisa interpretazione comparativa fra i commi 1 e 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/72: mentre per l’accesso nei locali adibiti anche ad abitazione, è sufficiente la sola autorizzazione del Procuratore della Repubblica, per l’accesso nei locali esclusivamente adibiti ad abitazione, l’autorizzazione del magistrato deve essere concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali.
Per quanto riguarda i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e ad attività commerciali o agricole deve trattarsi di un effettivo uso promiscuo, che si ha quando, negli stessi locali, vi è abitazione e attività d’impresa. In questi casi, si può ritenere, pertanto, che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica sia un atto dovuto, in quanto se pur rilasciata dopo un attento esame della richiesta, non necessita della presenza di gravi indizi di evasione fiscale.
Sul punto si rileva che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 9611 del 21 marzo 2008 (dep. l’11 aprile 2008), ha affermato che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso ailocali, necessaria per entrare in quelli destinati promiscuamente adabitazione ed all’esercizio di attività commerciali, non richiede l’enunciazione di “gravi indizi” di violazione delle norme in materia di IVA.
La sentenza impugnata aveva ritenuto che il provvedimento del Procuratore della Repubblica, che autorizzava l’accesso presso altro locale locato a società in liquidazione adibito anche ad abitazione del ricorrente, ai sensi dell’art. 52, del D.P.R. n. 633 del 1972, fosse illegittimo in mancanza nella motivazione dell’atto della indicazione del requisito dei gravi indizi e di conseguenza ha ritenuto che ne derivasse la nullità dell’avviso di rettifica IVA fondato su documentazione acquisita in detto accesso.
I giudici di Cassazione danno lettura del dettato normativo di riferimento:
“come si evince dalla lettura comparata dei due commi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, che recitano: gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono.
Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.
Manca, infatti, nel comma 1, la previsione del requisito dei gravi indizi e la ragione è evidente in quanto basterebbe adibire ad abitazione parte dell’ufficio per rendere più difficile l’accesso a questo”.
Ancora da ultimo, con sentenza n. 21974 del 16 ottobre 2009 (ud. dell’11 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un provvedimento amministrativo endoprocedimentale e strumentale rispetto all’avviso di accertamento e dal quale deve rilevarsi la sussistenza degli elementi atti ad assumere natura di gravi indizi, attesa l’inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost..
Al giudice tributario è devoluto non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione ma altresì l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi.
La giurisprudenza della Corte (alla quale il collegio intende assicurare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene)
“ha infatti affermato che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti, in collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi”.
Da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio – che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (v. tra le atre per tutte S.U. n. 16424 del 2002 e, da ultimo, Cass. n.6836/2009).
17 febbraio 2012
Francesco Buetto
NOTE
1 Per approfondimenti, si rinvia alla migliore dottrina ANTICO-CARRIROLO-FUSCONI-TUCCI-ZAPPI, L’accertamento fiscale, Il Sole24ore, IV edizione, Milano, 2010.