I revisori dei conti devono pagare l’IRAP?

il caso del commercialista revisore di società è particolare nell’assoggettamento del contribuente ad IRAP: vediamo le ultime pronunce giurisprudenziali a riguardo

Il tema dell’assoggettamento ad IRAP dei compensi spettanti ai revisori dei conti in società private e pubbliche che svolgono solo tale attività è un tema molto sentito; l’argomento è sempre al centro dell’attenzione della prassi ministeriale e di importanti orientamenti giurisprudenziali sia di merito, sia di legittimità. Vediamo, quindi, di procedere all’analisi di alcune sentenze giurisprudenziali e della prassi ministeriale per comprendere quale sia il comportamento corretto da tenere.

Certamente di interesse è la recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 15803 del 19 luglio 2011, che ha confermato il principio per cui i compensi derivanti dall’attività di sindaco o amministratore non sono soggetti ad Irap; nell’ordinanza è stato, inoltre, precisato che è a carico del contribuente l’onere di provare sia quale parte dei compensi derivi dallo svolgimento dell’attività di sindaco (rispetto a quelli relativi all’attività professionale), sia la inesistenza del requisito organizzativo.

La vicenda trova la fonte dal fatto che l’Agenzia delle Entrate era ricorsa per cassazione nei confronti della sentenza della CTR, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto il ricorso di un contribuente, dottore commercialista, avverso il silenzio rifiuto su istanza di rimborso di somme versate nell’anno 2003 a titolo di Irap. La sentenza ha premesso che il rimborso era stato chiesto sul presupposto della mancanza del profilo impositivo, stante l’inesistenza di struttura organizzata a corredo dell’attività professionale svolta. Il commercialista ricorrente ha motivato il ricorso ritenendo che “ci troviamo di fronte ad un commercialista che svolge prevalentemente attività di sindaco nei collegi sindacali, che solo attraverso le sue capacità e la sua presenza può procurarsi clientela e produrre reddito, che non può certo essere ampliato dalla presenza di un collaboratore con meri compiti esecutivi inerenti la fissazione di appuntamenti, l’accoglimento di clienti o il rispondere alle telefonate, il quale costituisce solo un mero ausilio all’attività professionale del commercialista, alla stregua del computer o dell’automezzo“. Ha altresì evidenziato che “l’ufficio non ha mai contestato che vi fosse una struttura organizzata, ma solo che l’autonomia dell’attività comportasse di per sè tale organizzazione”. Per la Corte di Cassazione i motivi esposti dal commercialista ricorrente sono fondati .

La Corte di Cassazione già in passato, con la sentenza n.10594 del 9 maggio 2007 ha affermato che il reddito percepito nella qualità di amministratore, sindaco o revisore di società (nel caso di specie presidente del consiglio di amministrazione di una banca) non è soggetta ad Irap anche quando sia esercitata da un libero professionista (nella specie dottore commercialista) che sia soggetto ad Irap in quanto provvisto di un’autonoma organizzazione (non utilizzata però per lo svolgimento dei compiti di amministratore).

I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, osservano che tale presupposto significa che non è soggetto a Irap la parte di ricavo netto risultante dall’esercizio di quella attività (o, come nella specie, dell’attività di sindaco).

Per i giudici di legittimità sono veritiere le seguenti affermazioni:

  • è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto il professionista che svolga attività non autonomamente organizzata;

  • il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito, ricorre quando il contribuente:

  1. sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

  2. impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumgue accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui;

  • costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni .

 

Il pensiero dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha, invece, sostenuto, nella risoluzione n. 78/E del 2009, l’imponibilità dei compensi di sindaco in società commerciali in quanto gli stessi, se rientrano nell’oggetto della professione, concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo. Per i tecnici delle Entrate, infatti, se il “sindaco” di una società è dottore commercialista, i relativi compensi fanno comunque parte della base imponibile Irap, anche se per quell’attività non si avvale della struttura organizzativa dello studio professionale; per effetto del principio di “attrazione”, sono redditi di lavoro autonomo.

L’Agenzia delle Entrate non ha concordato con le osservazioni del contribuente riferendosi appunto alle descritte “eccezioni alla regola”. I redditi prodotti dal commercialista per l’esercizio dell’attività di “sindaco”, pur non avendo le caratteristiche specifiche per essere qualificati come redditi di lavoro autonomo e, in quanto tali, soggetti a Irap, non possono essere considerati separatamente. Per effetto del principio di attrazione, rintracciabile nello stesso articolo 50, comma 1, lettera c-bis, del DPR 917/86 , i compensi in argomento confluiscono quindi, senza distinzione di sorta, nel complesso del reddito professionale prodotto dal commercialista.

 

L’orientamento dei giudici di merito

Con sentenza della CTR di Trieste n.88 del 27 giugno 2011 è stato affermato il principio che non deve ritenersi applicabile l’Irap al professionista che svolga la propria attività prevalentemente nei confronti di un unico committente, con dotazioni non idonei a soddisfare il requisito dell’autonoma organizzazione.

Nel caso in esame la CTR, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine all’orientamento formatosi circa l’applicabilità dell’IRAP sul reddito prodotto dai lavoratori autonomi, ritiene di dover procedere alla concreta valutazione della modalità con cui il ricorrente svolge la propria attività, in quanto il presupposto dell’imposta è “l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazioni di servizi” (art. 2 D.Lgs. 446/97). Dall’esame degli atti, ivi incluso il quadro RE nelle sue varie voci, si evince che il professionista opera presso la propria abitazione, con beni strumentali minimi e senza avvalersi delle prestazioni di dipendenti o collaboratori; in sostanza opera esplicando in prima persona la propria attività senza la gestione di una struttura organizzata. Anzi nel caso in esame, come è stato evidenziato dall’Ufficio accertatore , il ricorrente si trova in una situazione di quasi monocommittenza e tale elemento avvalora l’assunto addirittura di un’autonomia limitata in cui non si realizza, contrariamente a quanto dedotto dall’Ufficio, quell’insieme di fattori che presuppongono la presenza di un’attività autonomamente organizzata. La Commissione ritiene quindi sussistere l’invocato diritto al rimborso dell’IRAP (maggiorata degli interessi relativi) in quanto non dovuta in carenza di un’autonoma organizzazione, come accertato.

 

L’orientamento della Cassazione

I giudici di legittimità con un orientamento consolidato e nella fattispecie, con la sentenza, n. 15803 del 19 luglio 2011, affermano che vi è l’inesistenza delle condizioni di assoggettamento a Irap ed è stato valorizzato “un fatto del prevalente svolgimento di attività sindacale sull’unico sostanziale rilievo della non contestazione, da parte dell’amministrazione, della esistenza di struttura organizzata”.

E’ però accolto parzialmente il ricorso dell’Amministrazione finanziaria fondato sul fatto che il contribuente non ha evidenziato la parte di ricavo netto riferibile all’attività in questione e, soprattutto, non ha fornito la prova dell’inesistenza del requisito dell’autonoma organizzazione; pertanto l’impugnata sentenza va soggetta a cassazione, ma con rinvio ad altra sezione della medesima commissione regionale, per nuova valutazione.

 

25 gennaio 2012

Federico Gavioli