Dichiarazione IVA omessa e recupero dell’imposta a credito

sono diversi i casi per cui la dichiarazione è considerata omessa e quando ciò si verifica, l’Agenzia delle Entrate, oltre ad applicare le sanzioni, risponde “picche” a qualsiasi richiesta di rimborso di una eventuale imposta a credito: è legittimo questo diniego?

La normativa vigente dispone che l’omessa presentazione della dichiarazione Iva annuale è sanzionata applicando una percentuale variabile che va dal 120% al 240% dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione.

Si applica invece la sanzione da 258,00 a 2.065,00 euro quando l’omessa presentazione è imputabile al soggetto che effettua esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l’imposta.

La dichiarazione si considera omessa anche se è presentata con ritardo superiore a 90 giorni; se è redatta su stampati non conformi ai modelli ministeriali, ovvero è resa secondo modalità diverse da quelle prescritte per la categoria soggettiva di appartenenza del contribuente (es. dichiarazione presentata tramite banca o posta, in presenza dell’obbligo di presentazione in via telematica – Circ. AE 25 gennaio 2002 n. 6/E).

Sono quindi diversi i casi per cui la dichiarazione è considerata omessa e quando ciò si verifica l’Agenzia delle Entrate, oltre ad applicare le sanzioni, risponde “picche” a qualsiasi richiesta di rimborso di una eventuale imposta a credito.

Vediamo se sia legittima questa posizione di diniego prendendo in considerazione sia quel contribuente che abbia maturato un credito Iva nella dichiarazione correttamente presentata ma non riportato in quella dell’anno successivo perché omessa, ed anche il caso di colui che non abbia presentato la dichiarazione Iva nell’anno di maturazione del credito, ma abbia poi esposto tale credito al momento della presentazione della dichiarazione successiva.

Riguardo alla prima ipotesi (credito Iva risultante da dichiarazione regolarmente presentata ma non riportato nella dichiarazione successiva perché omessa), la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 8602 del 2 ottobre 1996, citando l’articolo 55 del DPR 633/1972, stabilì che

“…l’inottemperanza all’obbligo della dichiarazione annuale espone il contribuente all’accertamento induttivo e gli preclude la facoltà di portare in deduzione l’Iva versata nel relativo periodo su acquisti di beni e servizi se non registrata nelle liquidazioni mensili o trimestrali, ma non lo priva del diritto di scomputare dalle somme dovute in base a tale accertamento il credito che abbia maturato nel periodo anteriore e per il quale abbia chiesto la successiva detrazione, ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 633/1972.”

 

Ciò anche perché, osserva la Suprema Corte,

“una difforme lettura della disposizione, sarebbe introduttiva di ingiustificata disparità di trattamento, in danno del contribuente che abbia optato per la detraibilità del credito d’imposta nell’anno successivo, anziché per il rimborso immediato…”

Successivamente, la circolare ministeriale, direzione AA.GG. n. 222/E del 30 novembre 2000, sulla base della predetta pronuncia, ammise che il contribuente nel caso prospettato, potesse portare in detrazione non soltanto i versamenti eseguiti e le imposte detraibili ai sensi dell’articolo 19 del DPR 633/1972 risultanti dalle liquidazioni periodiche, ma anche

“il credito maturato nell’anno precedente non chiesto a rimborso e computato in detrazione nel periodo successivo…”.

A maggior ragione non perde il credito riportato a nuovo, chi ometta di rappresentarlo nella dichiarazione annuale immediatamente successiva regolarmente presentata (Corte di Cassazione n. 12012 del 29 marzo 2006).

Concludendo: è ammesso l’utilizzo del credito di una annualità precedente, anche in caso di successiva dichiarazione omessa, come stabilito dall’articolo 5, comma 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.4711 introdotto successivamente alla riferita sentenza 8602 del 1996.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi (mancata presentazione della dichiarazione per l’anno di maturazione del credito e successiva rappresentazione dello stesso nella prima dichiarazione annuale regolarmente presentata), dobbiamo far riferimento alla Risoluzione n. 74/E del 19 aprile 2007, nella quale si osserva che dalla lettura congiunta degli articoli 8 del DPR 322 del 19982 e 19 del DPR 633/19723

“… è possibile desumere che la decadenza del diritto alla detrazione ricorre soltanto nel caso in cui il medesimo non è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Passato inutilmente questo termine il contribuente potrà sempre recuperare il suo credito, ma soltanto attraverso le procedute del rimborso cosiddetto anomalo di cui all’art. 21, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.4

Il che significa: richiesta di rimborso e successivo ricorso alla Commissione Tributaria competente a partire dal novantesimo giorno dal consolidarsi del così detto “silenzio rifiuto”.

Ma fino a quando è possibile presentare la richiesta di rimborso prima che tale diritto si prescriva?

La Corte di Cassazione con sentenza 16477 del 20 agosto 2004 risponde al quesito stabilendo che

“…ove si formi il silenzio-rifiuto sulla domanda impeditiva della decadenza, inizi a decorrere, dalla data della sua formazione, cioè dalla scadenza del termine di 90 giorni, la prescrizione decennale ex articolo 2946 del codice civile”, poiché la legislazione speciale Iva non contiene una specifica disciplina per la restituzione del credito o per il suo rimborso.

In entrambi i casi, il diritto alla detrazione è subordinato all’accertamento dell’esistenza del credito relativo all’anno per il quale la dichiarazione Iva risulta omessa, a norma dell’articolo 55 del DPR 633/1972.

In mancanza dell’attività accertatrice da parte dell’Agenzia – osserva la Commissione di 1° grado di Trento (sentenza n. 67 del 23 dicembre 2008) – e quindi in mancanza di un puntuale riconoscimento del credito vantato, al contribuente non resterebbe che chiederne la restituzione con le modalità previste dall’art. 21 del D.Lgs. 546/1992.

La stessa Commissione, coerentemente al proprio assunto, ha respinto il ricorso del contribuente che aveva lasciato trascorrere inutilmente il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso, limitandosi a riportarlo nella dichiarazione successiva a quella omessa, facendo eccessivo affidamento sulla risoluzione 74/E del 2007 sopra citata.

Ci è difficile condividere la presa di posizione della Commissione trentina per diversi motivi:

  1. E’ evidente che il contribuente che non presenti una dichiarazione a credito lo fa in perfetta buona fede ed a suo danno. Al momento che se ne rende conto, purché entro i termini di legge, rappresenta il credito nella dichiarazione successiva, non avendo la possibilità di chiedere all’Agenzia di attivare la procedura di controllo ai sensi dell’artico 55 del DPR 633/1972, essendo questo un potere riservato alla sola Amministrazione;
  2. Il fatto di rappresentare nella dichiarazione successiva un credito derivante da una dichiarazione omessa corrisponde ad una autodenuncia supplendo così alle carenze di un Fisco che avrebbe dovuto accorgersi ancora prima del contribuente di tale omissione, dando il via ad una immediata procedura di controllo;
  3. In ogni caso la rappresentazione del credito derivante da una dichiarazione omessa dovrebbe essere interpretato come “richiesta di rimborso” anche se non espressa ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. 546/1992. Diversamente opinando, si continuerebbe a dare eccessiva importanza alle formalità a scapito della sostanza.

 

Giampiero Della Nina

6 ottobre 2011

 

NOTE

1 Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale […] dell’imposta sul valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione. Per determinare l’imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite. La sanzione non può essere comunque inferiore a lire cinquecentomila.

2 Art. 8, comma 3: “Le detrazioni sono esercitate entro il termine stabilito dall’articolo 19, comma 1, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 533”.

3 Art. 19, comma 1, secondo periodo: Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.

4 Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.