I controlli sulle imprese minori

le indicazioni su come si comporterà l’Agenzia nel controllare i contribuenti di “ridotte dimensioni”; in particolar modo, vediamo le problematiche relative all’applicazione degli studi di settore in sede di accertamento

L’esigenza di ottenere concreti e significativi risultati non deve assolutamente comportare che, laddove l’analisi di rischio non sia stata appropriata ed il controllo non abbia consentito la individuazione di violazioni sostanziali adeguatamente provabili, si pervenga a contestazioni di dubbia tenuta giuridica o si insista nelle operazioni ispettive al solo scopo di rilevare violazioni di natura meramente formale”.

E’ questa l’apertura della circolare n. 21/E del 18 maggio 2011 che indica agli uffici gli obiettivi per il corrente anno.

Per fare ciò, “l’analisi di rischio va inoltre focalizzata soprattutto sui comportamenti evasivi che, per loro natura, si prestano ad essere sistematicamente reiterati (ad es., l’omessa contabilizzazione di una parte dei ricavi conseguiti) e determinano quindi una perdita di gettito costante nel tempo. Incidendo su questi comportamenti l’azione di controllo consente infatti di ottenere, oltre al recupero dell’evasione pregressa, anche l’effetto di dissuadere dalla reiterazione delle violazioni e, con esso, quello di incrementare progressivamente il gettito fiscale”.

Analizziamo, quindi, come si svolgerà l’attività di controllo nei confronti delle imprese minori.

 

IMPRESE DI MINORI DIMENSIONI

In linea generale, le attività di controllo effettuate nel 2010 nei confronti delle imprese di minori dimensioni hanno fatto registrare un importante miglioramento qualitativo dei risultati rispetto a quelli del 2009, a fronte di una lieve diminuzione del numero complessivo degli interventi, che non ha comunque intaccato la valenza dissuasiva della complessiva azione di vigilanza sulla macro-tipologia di contribuenti in parola.

Il fattore decisivo del miglioramento è rappresentato dalla attività di analisi del rischio di evasione e conseguente selezione delle posizioni a maggior rischio, che va sempre più potenziata e sviluppata, considerata la vastità della platea dei contribuenti in questione.

Uno specifico impegno, a tal riguardo, è dunque richiesto alla funzione di governo ed analisi delle Direzioni provinciali, in stretta sinergia con l’Ufficio controlli (Area Imprese di minori dimensioni e lavoratori autonomi, ove costituita) e gli Uffici Territoriali, sotto il necessario coordinamento del Direttore Provinciale, il quale è responsabile della qualità delle selezioni effettuate.

 

I percorsi di analisi

La Direzione Centrale, con la nota n. 2011/16980 del 14 febbraio 2011, ha fornito specifici esempi di percorsi di analisi del rischio e selezione – da realizzare mediante gli applicativi informatici d’ausilio messi a disposizione delle Direzioni Regionali e Provinciali – con riferimento a:

a) i soggetti che hanno presentato il modello studi di settore e sono risultati non congrui;

b) i soggetti congrui e “appiattiti” alle risultanze degli studi di settore nonché i soggetti congrui a seguito di adeguamento significativo alle risultanze degli studi stessi;

c) i soggetti che, seppure rientranti nel campo di applicazione degli studi di settore, non hanno presentato il relativo modello (con riferimento a tale platea di soggetti, resta valida l’indicazione della circolare n. 20/E del 2010 riguardante la quota minima di accertamenti da eseguire, pari ad almeno il 5% del totale degli atti previsti per la macrotipologia di contribuenti in argomento);

d) i soggetti che esercitano attività per le quali non risultano applicabili gli studi di settore;

e) i soggetti che hanno evidenziato una perdita per più periodi d’imposta consecutivi.

 

A tali percorsi metodologici ha fatto e farà seguito l’inoltro di liste d’ausilio derivanti da specifiche elaborazioni di dati presenti in Anagrafe Tributaria, tra le quali, in particolare, quelle relative:

a) ai soggetti che hanno evidenziato comportamenti anomali nella gestione delle rimanenze di magazzino;

b) ai soggetti titolari di partita IVA che hanno omesso di dichiarare in tutto o in parte compensi di lavoro autonomo certificati dai sostituti d’imposta nei modelli 770 riferiti ai periodi d’imposta 2006 e 2007;

c) ai soggetti che hanno dichiarato componenti negativi di reddito, rientranti nella categoria dei “costi residuali”, di ammontare significativo;

d) ai soggetti che, pur avendo effettuato operazioni rilevanti ai fini IVA per i periodi d’imposta 2006 e 2007, non risultano aver presentato la relativa dichiarazione essendone obbligati;

e) ai soggetti che, destinatari nel corso del 2010 delle apposite comunicazioni concernenti la rilevata esistenza di anomalie, relative al triennio 2006-2008, degli indicatori economici ricostruiti dai dati dichiarati ai fini degli studi di settore, risultano – dai dati dichiarati per il periodo d’imposta 2009 – non aver mutato il comportamento ritenuto anomalo (come di consueto, il controllo di questi soggetti va sviluppato nella massima misura possibile, selezionando dalle liste di ausilio le posizioni la cui verifica, secondo i criteri già in passato descritti, può garantire la maggiore proficuità, anche a fini preventivi).

 

Tali liste devono integrare, fornendo ulteriori indicatori di rischio, le analisi effettuate dalle Direzioni Provinciali mediante i percorsi metodologici citati in precedenza.

 

Gli studi settore

Larga attenzione viene dedicata dal documento di prassi in esame agli studi di settore.

In quest’ambito va ricordato che con quattro sentenze – nn. 26635, 26636,26637, 26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009) – la Corte di Cassazione ha cambiato il volto alle modalità di utilizzo di tale strumento.

Partendo dalla constatazione che ci troviamo in presenza di presunzioni semplici, lo scostamento non deve essere “qualsiasi“, ma testimoniare una “grave incongruenza“.

E in contraddittorio con il contribuente va “fotografata” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.

Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito, con un’illegittima compressione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e 53 Cost..

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO DALLE SEZIONI UNITE

La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non e ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

 

Gli accessi brevi

Sulla scorta delle linee direttive già contenute nelle circolari n. 13/E del 2009 e n. 20/E del 2010, va tenuto presente che gli accessi brevi vanno prevalentemente finalizzati alla verifica della veridicità dei dati dichiarati ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché al contestuale controllo del rispetto degli “obblighi strumentali” e della regolarità del personale impiegato; tali accessi andranno a sommarsi al controllo capillare effettuato dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’attività di presidio del territorio e, pertanto, il coordinamento con i competenti reparti della Guardia di Finanza rappresenta il presupposto affinché gli accessi vengano articolati sul territorio in modo razionale ed idoneo a consentire gli auspicati effetti di incremento della compliance.

 

L’attività di verifica: le annualità da controllare

Le attività di verifica devono concentrarsi nel corso del primo semestre sul periodo d’imposta 2008, e nel secondo semestre su quello 2009, ferma restando l’esecuzione di attività della specie su uno o più periodi precedenti, in presenza di specifici e circostanziati indizi di evasione.

 

L’attività di accertamento

Per l’attività di accertamento va privilegiato il controllo delle annualità più recenti, compreso il 2009 (quest’ultima annualità a partire dal secondo semestre), fermo restando che, in presenza di elementi relativi a periodi d’imposta precedenti, l’attività va indirizzata anche su questi ultimi.

 

Il coordinamento

La Direzione Centrale invita le Direzioni provinciali a proseguire nei rapporti di collaborazione e coordinamento, oltre che con la Guardia di Finanza, anche con altri enti che svolgono attività ispettiva che possa produrre o innescare attività accertative di competenza dell’Agenzia delle entrate (in particolare l’INPS, la SIAE e i Comuni), che vanno mantenuti e sviluppati in maniera sempre più strutturata.

 

 

15 giugno 2011

Francesco Buetto