Problematiche professionali e coperture assicurative per i consulenti tributari (prima parte)

in questo articolo affrontiamo i problemi della responsabilità del consulente in relazione alle sanzioni tributarie irrogate direttamente al consulente stesso ovvero irrogate al cliente e rimborsate al medesimo dal professionista

 

Il professionista deve porsi in condizione di poter risarcire gli eventuali danni causati nell’esercizio della professione, anche mediante adeguata copertura assicurativa.” Questo è il punto di partenza del presente contributo contenuto dell’articolo 14 del codice deontologico della professione di dottore commercialista ed esperto contabile in cui si affronteranno i problemi della responsabilità del consulente in relazione alle sanzioni tributarie irrogate direttamente al consulente stesso ovvero irrogate al cliente e rimborsate al medesimo dal professionista. Si tratta di un panorama purtroppo assai inquietante poiché la copertura assicurativa, come si vedrà, è sostanzialmente inesistente (o quasi).

 

Riferimenti normativi:

D.M. 164 del 1999

D.Lgs. n. 423 del 1995

D.Lgs. n. 472 del 1997

Circolare n. 180/E del 10/07/1998

Circolare 20 giugno 2002 n. 55/E

 

PREMESSA

La professione del Dottore Commercialista è una delle più diffuse professioni liberali italiane, che ha origini antiche quanto l’azienda: il dottore commercialista può, infatti, considerarsi il discendente diretto e più qualificato delle antiche figure di professionista economico-contabile.

Gli incarichi odierni attribuiti al Dottore Commercialista non si limitano più esclusivamente a quelli descritti dall’Ordinamento professionale:

  • amministrazione e liquidazione di aziende, patrimoni e singoli beni;

  • perizie e consulenze tecniche;

  • ispezioni e revisioni amministrative;

  • verifica e indagine sull’attendibilità di bilanci, dei conti, scritture ed ogni altro documento contabile delle imprese;

  • regolamenti e liquidazioni di avarie;

  • funzioni di sindaco e di revisore,

ma hanno assunto, nel tempo, una ben maggiore complessità in conseguenza della crescente industrializzazione del Paese, ma anche e soprattutto a causa dell’incessante modificazione della normativa tributaria sia nazionale che determinata dal recepimento delle Direttive Comunitarie.

Le prestazioni professionali che il Dottore Commercialista può svolgere per conto  dei privati riguardano attività di assistenza e consulenza fiscale, interventi nell’area contrattuale e nell’area economico -finanziaria, nonché assistenza giuridico – commerciale.

Le prestazioni che il Dottore Commercialista può svolgere per conto dell’impresa sono caratterizzate da una crescente specializzazione, soprattutto nell’area finanza e controllo, nell’area amministrativo-contabile, nella revisione e nella consulenza di diritto commerciale, societario e tributario, nonché nel campo delle valutazioni d’azienda e delle operazioni straordinarie.

Ma il Dottore Commercialista interagisce oggi, sempre più frequentemente anche con Enti Pubblici ed Istituzioni. Nei confronti di questi soggetti sono diverse le aree di intervento del Dottore Commercialista, cui è richiesto un qualificato impegno nell’ambito dell’attività di controllo a supporto della gestione pubblica, nell’area progettuale, nell’area amministrativa, finanziaria, in quella della revisione dei conti e, da ultimo, in quella formativa.

Anche la tutela dell’interesse pubblico trova nella categoria professionisti validi e qualificati per le attività relative a consulenze tecniche, civili e penali, in materia economico-aziendale, nonché per le attività di curatore fallimentare, commissario giudiziale e liquidatore.

 

LE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI IN TEMA SANZIONATORIO

Circa una ventina di anni fa fece molto scalpore la vicenda della popolare conduttrice televisiva Mara Venier, che si trovò, suo malgrado, e a sua insaputa, inseguita dal Fisco non per sue colpe personali, ma per il solo fatto di essere stata truffata dal proprio commercialista.

In suo soccorso, e in soccorso di molti altri contribuenti che si trovarono in situazioni analoghe, fu emanata repentinamente emanata la cosiddetta “legge Venier”; questa innovativa normativa stabilì che il contribuente non potesse subire sanzioni tributarie di alcun genere se in grado di dimostrare che la responsabilità dei fatti contestati fosse a carico di un altro soggetto: si tratta della legge numero 423 del 1995.

La Suprema Corte di Cassazione è recentemente tornata sull’argomento, con la sentenza numero 25136 del 30 novembre 2009 della sezione tributaria.

Il caso vedeva contrapposti l’Agenzia delle Entrate ed un contribuente il quale si era visto sanzionato per non aver presentato la dichiarazione dei redditi né aver versato le relative imposte. Il contribuente si era difeso spiegando che aveva incaricato il suo commercialista di eseguire questi adempimenti, ma il professionista li aveva omessi per semplice dimenticanza, circostanza, peraltro, confermata dallo stesso consulente.

Il contribuente aveva denunciato il fatto all’autorità giudiziaria, ma l’Agenzia delle Entrate non lo aveva ritenuto sufficiente, poiché non era ancora arrivata una sentenza definitiva a carico del professionista.

I Giudici del Palazzaccio hanno, però, dato ragione al contribuente. È vero, infatti, che la legge del 1995, fra le righe, lasciava intendere la necessità di una condanna definitiva, ma nel frattempo era intervenuta anche una legge successiva, e più precisamente la numero 472 del 1997, che aveva rivisto l’intero sistema delle sanzioni tributarie.

L’articolo 6 della legge 472, infatti, parla di semplice denuncia del terzo responsabile, come nel caso analizzato dalla sentenza citata, ed essendo la legge numero 472 del 1997, una normativa successiva, la sua portata è stata considerata prevalente sulla precedente legge numero 423 del 1995. Il contribuente è stato così esentato da ogni sanzione.

Si sa tra tasse, dichiarazioni, e scadenze varie è sempre più facile dimenticarsi qualcosa nella giunga fiscale, come dimenticare una data importante o saltare un adempimento. E proprio questo il motivo che induce molte persone ad affidarsi ad un commercialista.

Per quanto riguarda la responsabilità del professionista nello svolgimento delle attività di consulenza ed assistenza fiscale, il sistema sanzionatorio non penale, introdotto dal D.Lgs. Numero 472 del 1997, ha disposto – all’articolo 2 – per le violazioni di norme tributarie il principio della “responsabilità diretta ed esclusiva”, secondo il quale “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione“, cioè al soggetto che “ha posto in essere il comportamento trasgressivo rispetto all’obbligo tributario“, vedasi in proposito la circolare ministeriale numero 180/E del 10/07/1998.

Il decreto stesso pone dei limiti in ordine all’individuazione del trasgressore, disponendo che nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa; pertanto in mancanza di dolo, o di colpa, la violazione non è sanzionabile, e che fino a prova contraria si presume autore dell’illecito amministrativo colui il quale ha sottoscritto,, o compiuto, il medesimo.

Il consulente fiscale, come anche il rappresentante legale, o un amministratore, potrebbe essere sanzionato sia in qualità di autore proprio sia in qualità di autore mediato della violazione stessa.

La citata prassi ministeriale numero 180/E precisa, inoltre, che, al fine di poter traslare la responsabilità diretta dell’illecito su un soggetto diverso da colui che ha, ad esempio, sottoscritto la dichiarazione dei redditi e per poter spostare la responsabilità sul consulente, “occorre che sia data prova dell’esistenza di una delega di funzioni che abbia il carattere dell’effettività e cioè che attribuisca al delegato un potere decisionale reale insieme ai mezzi necessari per potere svolgere in autonomia la funzione delegata e che, inoltre, la delega risponda ad esigenze reali dell’organizzazione aziendale e venga conferita a soggetto idoneo allo svolgimento delle mansioni“.

Allorché la responsabilità sia “diretta ed esclusiva” del professionista, la sanzione viene applicata solo se la condotta del soggetto è caratterizzata da dolo o colpa.

Mentre, nei casi di responsabilità del professionista in qualità di “autore mediato”, l’articolo 10 del D.Lgs. numero 472 del 1997 sancisce che chi, inducendo altri in errore inconsapevole, determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale, e che, pertanto, il professionista sarà tenuto al pagamento della sanzione “in luogo” del trasgressore apparente, a patto che sussista la mancanza di consapevolezza del cliente e che il comportamento induca altri in errore, escludendosi, così, la “culpa in eligendo” o “vigilando” del contribuente poiché, se così non fosse, questi non potrebbe essere “liberato” dalla responsabilità, per non aver controllato o scelto opportunamente il proprio consulente.

 Per quanto concerne l’induzione di altri in errore, la relazione ministeriale al succitato D.Lgs. numero 472 del 1997, affermava che “per quanto specificamente riguarda il professionista, non è prospettabile responsabilità per i pareri resi e le indicazioni date nell’ambito della sua attività, se non nei casi di colpa grave“.

Successivamente però il Legislatore, con il D.Lgs. 5 giugno 1998, numero 203, modificando il decreto medesimo, ha introdotto nella norma le seguenti parole: “Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave“, aggravando di fatto la responsabilità del professionista, poiché, al di fuori dei “problemi di speciale difficoltà”, il professionista potrà rispondere in merito a sanzioni tributarie anche in presenza di “colpa non grave“.

Va detto che per “problemi di speciale difficoltà” si intendono argomenti e questioni non disciplinate chiaramente, o espressamente, dalla norma di legge, prive di interpretazioni ufficiali dell’Amministrazione finanziaria e di univoci orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, nonché le “novità” legislative per cui manca una sicura e sufficiente impostazione dottrinale.

Con il termine “colpa grave” si individuano le ipotesi di indiscutibile imperizia o negligenza di comportamento, e di macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari.

Se più soggetti concorrono in una violazione, ogni singolo soggetto soggiace alla sanzione per questa disposta, ex articolo 9 del D. Lgs. Numero 472 del 1997: così che, se, per esempio, il professionista avesse concorso con il proprio cliente – trasgressore al compimento della violazione fiscale, entrambi risponderanno della sanzione prevista, poiché la responsabilità per concorso presuppone che ciascun concorrente apporti un contributo personale alla realizzazione dell’illecito.

Avremo, invece, un concorso esclusivamente morale nei casi in cui il dottore commercialista fornisca al cliente – trasgressore un impulso psicologico, attraverso l’istigazione, alla realizzazione della violazione fiscale.

Il professionista incorrerà, inoltre, in una responsabilità in concorso, nelle ipotesi in cui faccia proprio l’espediente illecito ed indichi concretamente la metodologia per adottarlo, o lo adotti personalmente.

Trascurando però le suesposte fattispecie delittuose il professionista potrà incorrere in sanzioni in caso di mancato, o tardivo, versamento delle imposte, relativamente a obblighi tributari del cliente – contribuente: in tal senso, la legge numero 423 del 1995 prevede che la riscossione delle sanzioni nell’ipotesi in esame sia sospesa nei confronti del contribuente e del sostituto d’imposta, qualora la violazione sia conseguente alla condotta illecita di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, iscritti nei rispettivi albi, in dipendenza del loro mandato professionale.

E, sempre lo stesso D.Lgs. numero 472 del 1997 dispone, all’articolo 6,  che il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono sanzionabili qualora dimostrino che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.

Il consulente fiscale ha, quindi, una precisa responsabilità verso il contribuente e l’Erario: dal semplice errore commesso nella dichiarazione, al parere, il consulente paga anche per l’illecito del cliente ed è coinvolto nel reato se suggerisce l’espediente fuori legge.

Considerando che negli ultimi anni l’attività del consulente fiscale si è sempre più radicata nella vita aziendale dell’imprenditore – cliente, e poichè ormai il consulente partecipa attivamente nella pianificazione dell’attività sotto il profilo fiscale, è il caso delle operazioni straordinarie, della creazione di strutture societarie estere, dei rapporti infragruppo e così via, e fornisce specifici approfondimenti e soluzioni per circostanziate problematiche mediante pareri, non limitandosi a seguire meramente gli adempimenti fiscali classici quali dichiarazione reddituali, versamenti di imposte, ecc., si sono, viepiù ampliati, stante anche l’accresciuta capacità professionale maturata nella categoria, i profili di responsabilità del consulente verso il cliente e verso l’Erario per l’attività di assistenza e consulenza svolta, si tratti del semplice errore nella compilazione della dichiarazione del contribuente o di un parere su un problema più specifico.

La profilatura, ormai, anche di una responsabilità penale del consulente fiscale, che risponde come concorrente, per fatto del contribuente, nel caso in cui abbia indicato le modalità per adottare l’espediente illecito, o, addirittura, lo abbia adottato di persona, pare essere ormai conclamata.

Non si può, invero, professare una generalizzata irresponsabilità dei professionisti, allorché essi con la loro attività condizionino le scelte del cliente; ma è possibile individuare una linea di demarcazione tra la responsabilità, non solo penale e l’irresponsabilità del professionista nell’esercizio della sua attività nel fatto di chi in concreto abbia indicato la strada illecita al contribuente.

Da un punto di vista poi preminentemente tributario e riferentesi alla metodologia di determinazione del reddito di lavoro autonomo tipico di colui che svolge la professione di dottore commercialista non possiamo dimenticare il contenuto della circolare 20 giugno 2002 numero 55/E, secondo la quale l’eventuale sanzione amministrativa comminata dal Ministero del Tesoro a un sindaco di un’azienda di credito sarebbe indeducibile dal reddito di lavoro autonomo. Infatti, secondo tali prassi ministeriale, un costo può essere considerato deducibile dal reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito stesso.

Come chiarito con Risoluzione numero 89 del 12 giugno 2001, il rapporto di correlazione tra costo e reddito non è riscontrabile, in linea di principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente. Di conseguenza, i costi imputabili alle sanzioni irrogate al professionista sono stati ritenuti indeducibili.

Tuttavia in argomento vi è stata recentissimamente una importante inversione di rotta da parte della giurisprudenza di merito.

Infatti a giudizio della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 427/03/10, e concordemente alle tesi di Assonime e dell’Associazione Commercialisti, le sanzioni irrogate dall’Antitrust sono deducibili dal reddito d’impresa, in quanto inerenti ai sensi dell’articolo 109 del Tuir.

La tesi sostenuta dai Giudici di prime cure si basa infatti sul principio che la sanzione ha natura risarcitoria e ha inerenza con i ricavi, ma soprattutto sull’inesistenza nel panorama tributario nazionale di una norma che disponga né la deducibilità né l’indeducibilità delle sanzioni.

La pronuncia dei giudici milanesi assume estrema rilevanza in quanto giunge successivamente ad un recente orientamento della Cassazione, che con la sentenza n. 5050 del 3 marzo 2010 aveva invece affermato l’indeducibilità di tali sanzioni.

Secondo la C. T. P. di Milano, il nodo focale della questione è costituito dal giudizio di correlatività tra costi e ricavi, non tanto verificando la diretta connessione della sanzione ad una determinata componente del reddito, bensì ad una attività «potenzialmente» idonea a produrre reddito, “laddove l’avverbio ‘potenzialmente’ rende ben chiaro il concetto di quelli che sono gli atti illeciti o illegittimi di cui si tratta, ossia quelli che attengono all’abuso di posizione dominante o intese tra le varie compagnie che eludano le norme restrittive della libertà di concorrenza, ossia atti sanzionabili con l’attività dell’Antitrust”.

Sulla base di ciò, il collegio meneghino afferma che la natura di tali sanzioni “non può che essere risarcitorio e non afflittivo”. La multa è finalizzata a riportare le condizioni del mercato ad una maggiore equità, sottraendo all’impresa, attraverso la sanzione, i ricavi conseguiti in violazione della concorrenza.

Da qui i giudici milanesi ricavano la «correlazione» tra i ricavi tassati e l’onere costituito dalle sanzioni antitrust, riconoscendone la deducibilità e accogliendo quindi il ricorso.

Va segnalato che già dieci anni fa la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza numero 370/47/01, aveva ritenuto che le sanzioni antitrust dovessero essere incluse nell’imponibile, e quindi deducibili, in quanto “legate da un nesso di funzionalità” ai ricavi.

Pareri favorevoli alla deducibilità erano giunti in passato anche da Assonime (circolare n. 39/2000) e dall’Associazione dottori commercialisti (norma di comportamento n. 138).

Tuttavia, nel corso degli anni la giurisprudenza di merito ha fornito prevalentemente interpretazione contraria, fino alla già citata sentenza n. 5050/2010 della Cassazione. Anche l’Agenzia delle entrate ha mantenuto nel tempo pollice verso alla deducibilità delle sanzioni antitrust (circolare n. 98/2000, risoluzione n. 89/2001, circolare n. 42/2005).

 

LE ASSICURAZIONI PROFESSIONALI

Ecco allora che torna alla nostra memoria un antico adagio del settore assicurativo britannico : le assicurazioni non servono per quello che accade ma per quello che potrebbe accadere !!!

La copertura assicurativa, da un punto di vista professionale non è quindi solo un obbligo deontologico, ma una vera e propria necessità, quando non un obbligo imposto dalla normativa tributaria per poter adempiere a incarichi professionali ricevuti dalla clientela.

Il professionista oculato quindi avrà avuto modo di stipulare un assicurazione di responsabilità civile, che ha il precipuo scopo di tutelarlo dalle richieste di risarcimento da parte del cliente: sanzioni e multe di natura fiscale, perdite patrimoniali per inadempienza ai doveri professionali, negligenza o imperizia durante lo svolgimento dell’attività e così via

Resta inteso che le maggiori imposte richieste dal fisco resteranno, ovviamente, a carico del cliente: anche se l’errore non fosse stato commesso, infatti, l’interessato avrebbe dovuto comunque pagarle.

 

IL DIVIETO DI “ASSICURAZIONE”

Ad oggi, stante quanto sopra esposto risulta praticamente impossibile assicurare i rischi professionali con le cosiddette polizze R.C. professionali, il problema della inassicurabilità delle sanzioni irrogate sulla base del D.L. 472/97 è del tutto irrisolto ed irrisolvibile.

L’Isvap con la circolare numero 246 del 22 maggio 1995 ha ritenuto “il contratto di assicurazione che sollevi l’assicurato dal pregiudizio economico costituito dall’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie sia da considerare … una funzione economico-sociale illecita per contrarietà all’ordine pubblico ex. art. 1343 C.C. … in tal modo risulterebbero violati i principi di personalità ed afflittività … in relazione al potere deterrente delle sanzioni amministrative riguardo ai comportamenti futuri dei soggetti interessati”.

L’Isvap in conseguenza di quanto sopra scritto, ritiene inassicurabile il rischio rappresentato dall’applicabilità di sanzioni amministrative.

Ancora l’Isvap in una sua comunicazione del 24 luglio 2000, prot. 67335, rispose negativamente ad un quesito di un professionista che domandava se un eventuale appendice ad una polizza esistente che prevedesse “qualora in forza di provvedimenti legislativi, venissero intestate ed inflitte al professionista anziché al cliente, sanzioni, ammende o multe di natura fiscale per l’attività professionale svolta dall’assicurato, per prestazioni professionali svolte dall’assicurato stesso nei confronti del cliente, la garanzia s’intende estesa anche nei confronti del professionista con le stesse modalità e gli stessi limiti in cui sarebbe stata applicabile verso il cliente”, ovvero si domandava se per una determinata violazione commessa dal contribuente – cliente per la quale fosse prevista una sanzione da € 100, e che in virtù del D.Lgs. numero 472 del 1997, fosse stata inflitta al professionista, la polizza assicurativa avesse mantenuto indenne quest’ultimo almeno sino alla concorrenza della predetta sanzione.

Nel caso specifico l’Isvap sottolineò l’introduzione del principio della personalità della responsabilità in base al quale in ogni caso chiamato a rispondere della condotta posta in essere, fosse l’autore della violazione, cioè il professionista, invece del contribuente, come avveniva in passato.

Con il varo del D.Lgs. numero 472 del 1997 è stato evidenziata la diretta responsabilità dell’illecito del commercialista, consulente del lavoro, ecc. incaricato di svolgere la propria attività per conto del contribuente, stravolgendo così la regola che riteneva il contribuente come unico responsabile per gli adempimenti fiscali relativi al proprio patrimonio.

 

9 maggio 2011

Mauro Nicola