proseguiamo l’analisi delle principali problematiche relative all’assicurazione professionale dei consulenti tributari
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SCHEMA ATTUALE DELL’ASSICURABILITÀ.
Alla luce di quanto fin qui esposto esemplifichiamo schematicamente lo scenario dei possibili rischi assicurabili o meno.
Consulenza fiscale
Problemi speciale difficoltà |
Normale attività
di Consulenza |
|
Dolo o
Colpa grave (*) |
Punibilità
Non assicurabilità |
Punibilità
Non assicurabilità |
Colpa lieve |
Non Punibilità
Assicurabilità |
Punibilità
Assicurabilità |
(*) Per colpa grave non assicurabile e direttamente punibile in capo al professionista, deve intendersi la trascuratezza nel’adempimento del proprio incarico con la consapevolezza che ciò comporta o può comportare con estrema probabilità danni al proprio cliente |
Alla luce di quanto sinora considerato il professionista si trova, quindi, nell’impossibilità di assicurare il proprio rischio diretto, per le sanzioni tributarie irrogate nei suoi confronti.
Il professionista si troverà, pertanto, esposto alla possibilità di rispondere, e garantire, con il proprio patrimonio nei confronti dell’amministrazione finanziaria, per l’illecito amministrativo posto in essere, non escludendo la possibilità, ed il rischio, di dover rispondere nei confronti del cliente a titolo di responsabilità contrattuale.
Sono, evidentemente, al contrario assicurabili per la responsabilità civile le sanzioni fiscali inflitte al contribuente – cliente per un errore imputabile al professionista di cui si è avvalso per curare la propria posizione fiscale.
L’ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA PER IL RILASCIO DEL VISTO DI CONFORMITA’
Sicuramente però l’argomentazione inerente le assicurazioni professionali ha subito un’importante accelerazione in seguito all’introduzione nel panorama tributario italiano delle obbligatorietà previste dell’articolo 10 del d. l. numero 78 del 1 luglio 2009, convertito dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009, che ha sancito, al comma 7, l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformità da parte dei contribuenti che intendono utilizzare in compensazione crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto per importi superiori a 15.000 euro annui.
In questa sede non va però sottaciuto come il visto di conformità sia stato introdotto nel lontano 1997, nell’alveo del provvedimento normativo con il quale fu istituita l’attività di assistenza fiscale da parte dei centri di assistenza fiscale e professionisti, e come possa essere apposto oggi relativamente alle diverse tipologie di dichiarazioni reddituali, a partire dal modello dichiarativo semplificato per i lavoratori dipendenti e pensionati, il comunemente noto Modello 730.
Per poter rilasciare il visto di conformità, i professionisti devono ottenere l’iscrizione all’elenco centralizzato dei professionisti legittimati al rilascio e, a tal fine, devono effettuare una apposita comunicazione alla Direzione Regionale competente in ragione del proprio domicilio fiscale, allegando la documentazione richiesta.
Detta comunicazione, disciplinata dall’articolo 21 del D. M. 31 maggio 1999, numero 164 deve contenere le seguenti informazioni:
· richiesta di essere inserito nell’Elenco centralizzato, dell’Agenzia delle Entrate, dei soggetti legittimati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali;
· dati anagrafici, requisiti professionali, numero di codice fiscale e partita IVA;
· domicilio e altri luoghi ove viene esercitata la propria attività professionale;
· denominazione e dati anagrafici dell’eventuale associazione professione nell’ambito della quale il professionista esercita l’attività di assistenza fiscale;
· denominazione o ragione sociale e dati anagrafici dei soci e dei componenti il consiglio di amministrazione e, ove previsto, del collegio sindacale, delle eventuali società di servizi cui il professionista partecipa e delle quali intende avvalersi per lo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale, con l’indicazione delle specifiche attività da affidare alle stesse;
· l’impegno a comunicare eventuali variazioni dei dati, degli elementi e degli altri atti di cui sopra entro 30 giorni dalla data in cui si verificano, ai sensi dell’art. 21, comma 3, D.M. 31 maggio 1999 numero 164.
A tale comunicazione dovranno essere allegati:
1. dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. numero 445 del 2000, relativa all’insussistenza di provvedimenti di sospensione dell’ordine di appartenenza;
2. dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. numero 445 del 2000, relativa alla sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 8, comma 1, del D.M. numero 164 del 1999;
3. attestazione del possesso dell’abilitazione, rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali;
4. fotocopia di un documento d’identità del sottoscrittore;
- copia conforme integrale della polizza assicurativa, ovvero in doppio originale.
LE CARATTERISTICHE DELL’ASSICURAZIONE
L’abilitazione al rilascio del visto di conformità e l’iscrizione all’elenco centralizzato sarà subordinata alla verifica dei requisiti sopra richiamati ed in particolare, con riferimento alla polizza assicurativa, sarà verificato che relativamente all’attività di rilascio del visto di conformità, conformemente a quanto previsto dalla nota prot. 2007/49025 della Direzione Centrale Servizi ai contribuenti:
1. il massimale della polizza, come stabilito dall’art. 22 del D.M. 164 del 1999, sia adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di conformità e, comunque, non sia inferiore a euro 1.032.913,80;
2. la copertura assicurativa non contenga franchigie o scoperti in quanto non garantiscono la totale copertura degli eventuali danni subiti dal contribuente, salvo il caso in cui la società assicuratrice si impegni espressamente a risarcire il terzo danneggiato, riservandosi la facoltà di rivalersi successivamente sull’assicurato per l’importo rientrante in franchigia;
3. la polizza assicurativa preveda, per gli errori commessi nel periodo di validità della polizza stessa, il totale risarcimento del danno denunciato nei cinque anni successivi alla scadenza del contratto, indipendentemente dalla causa che ha determinato la cessazione del rapporto assicurativo.
La polizza non dovrà contenere la clausola c.d. “claims made” in quanto la stessa non garantisce le richieste di risarcimento avanzate dopo la scadenza del contratto, anche se gli errori contestati fossero intervenute nel periodo in cui il professionista risultava assicurato.
Si segnala, inoltre, che la polizza non dovrà contenere, in alcun modo, l’indicazione di un modello di dichiarazione specifico, in quanto, i soggetti in possesso dei prescritti requisiti, che avessero già presentato regolare documentazione, saranno legittimati ad apporre il visto di conformità, ove previsto, su tutte le dichiarazione fiscali. L’eventuale limitazione ad uno specifico modello dovrà essere rimossa.
Infine, qualora il professionista svolgesse l’attività nell’ambito di uno studio associato potrà utilizzare, quale garanzia di cui al citato articolo 22 del D.M. numero 164 del 1999, la polizza assicurativa stipulata dallo studio medesimo per i rischi professionali, purché la stessa preveda un’autonoma copertura assicurativa per l’attività di assistenza fiscale, non inferiore a euro 1.032.913,80, a garanzia dell’attività di apposizione del visto di conformità prestata da ogni singolo professionista, e per il quale andranno specificati i dati in polizza, e in linea con le condizioni richiamate, precedentemente ai punti 1), 2), 3). Qualora le suddette caratteristiche non fossero presenti in polizza sarà indispensabile venga effettuata una integrazione della stessa.
Nel caso di studio professionale associato nella polizza dovranno essere, poi, elencati i singoli professionisti che la stessa intende garantire, e questi ultimi dovranno presentare autonoma richiesta abilitativa alla competente Direzione Regionale delle Entrate.
Al riguardo, si specifica che è il singolo professionista ad essere iscritto nell’elenco informatizzato e conseguentemente abilitato al rilascio del visto di conformità, pertanto ogni altro professionista appartenente all’associazione che non sia personalmente iscritto nell’elenco degli abilitati tenuto dalle Direzioni regionali non è autorizzato ad apporre il visto di conformità.
L’Agenzia delle Entrate, verificata la completezza della comunicazione e le caratteristiche dell’assicurazione, provvederà all’inserimento nell’Elenco Centralizzato dei soggetti legittimati dandone contestuale comunicazione agli stessi tramite raccomandata.
Per mantenere la propria iscrizione nell’elenco informatizzato, il professionista abilitato dovrà provvedere, entro trenta giorni dalla data in cui si verificano, a comunicare alla Direzione Regionale competente ogni variazione dei dati comunicati e far pervenire, periodicamente, il rinnovo della prevista polizza assicurativa o l’attestato di quietanza di pagamento qualora il premio relativo alla polizza sia stato suddiviso in rate.
In argomento si ricorda come, recentemente, sia la Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia che la Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte abbiano chiarito che, al fine di mantenere, senza soluzione di continuità, la propria iscrizione nell’elenco informatizzato da parte dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità, i professionisti periodicamente dovranno far pervenire alla Direzione Regionale competente il rinnovo della prevista polizza assicurativa, o l’attestato di quietanza di pagamento, qualora il premio relativo alla polizza sia stato suddiviso in rate.
Il rinnovo e/o la quietanza così presentati consentiranno al professionista di rimanere abilitato e inserito nell’elenco informatizzato dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità ex articolo 35 del citato D. Lgs. numero 241 del 1997.
Stante il tenore delle comunicazioni operate dalle Direzioni Regionali citate le stesse non daranno riscontro al ricevimento di detta documentazione.
Al contrario, comunicheranno la mancanza della stessa ai professionisti con polizza scaduta, invitandoli a regolarizzare la propria situazione, prima di procedere alla loro sospensione dall’elenco informatizzato dei soggetti abilitati.
ASPETTI CONTABILI
Senza voler indugiare oltre misura su aspetti contabili che non meritano, ovviamente, alcuna attenzione da parte del nostro attento lettore, stante l’evidenza delle stesse, piace comunque ricordare che ai fini I.V.A. le operazioni esenti vadano registrate, nel registro I.V.A. acquisti, e conseguentemente riportate nella dichiarazione annuale, solo se risultano da fattura, ossia da un documento avente le caratteristiche di cui all’articolo 21 D. P. R numero 633 del 1972.
In genere, le assicurazioni, come le banche, non emettendo ordinariamente fatture per le operazioni esenti e rilasciando, quindi, quietanze relative ai premi assicurativi che non risultano da un documento qualificabile ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto come fattura, non andranno, le medesime quietanze, registrate ai fini I. V. A., ne dovranno comparire in alcun quadro della dichiarazione annuale redatta ai fini della medesima imposta.
PROBLEMATICHE ASSICURATIVE NELL’IMPOSIZIONE DIRETTA
In altra parte del presente contributo abbiamo affermato come, nonostante l’ondivaga interpretazione in materia operata dai giudici di legittimità e dai giudici di merito, la posizione assunta in via ufficiale dall’Amministrazione Finanziaria in materia di deducibilità dal reddito di lavoro autonomo delle sanzioni irrogate al professionista per fatto proprio risulta assolutamente netta, chiara, precisa, ma soprattutto univoca in relazione all’indeducibilità dal reddito delle stesse.
Altro discorso invece, almeno a parere dello scrivente, deve essere fatto relativamente alle sanzioni che il dottore commercialista fosse obbligato a ristornare al proprio cliente, al quale fossero state irrogate a causa di una mancanza ovvero a causa di un errore professionale compiuto dallo stesso.
In questa situazione sembra evidente l’inoperatività dell’indeducibilità delle stesse sulla base dell’acclarato principio della correlazione tra costi e ricavi.
In questa situazione sembra evidente l’inoperatività dell’indeducibilità delle stesse sulla base dell’acclarato principio della correlazione tra costi e ricavi. Il professionista erogando la prestazione professionale ha ottenuto un compenso dal proprio cliente, regolarmente assoggettato ad imposizione tributaria, e da tale suo operato, in epoca successiva, vi è stata la generazione di una irrogazione di sanzioni in capo al cliente – contribuente che, rivolgendosi al professionista, anche sulla base del codice deontologico dello stesso, ha proceduto al ristorno di tale sanzione, generando, nel contempo, per lo stesso professionista un costo assolutamente deducibile.
Altra fattispecie di assoluto interesse riguarda invece l’ottenimento da parte del professionista di un rimborso assicurativo a fronte delle sanzioni dapprima irrogate in capo al cliente – contribuente e successivamente ristornate allo stesso da parte del dottore commercialista.
Trattasi di argomentazione che, è bene dirlo immediatamente in fase introduttiva della trattazione della medesima, assolutamente scevra di commenti, in quanto sia a livello normativo che interpretativo, nonchè dottrinale, non si rinviene presa di posizione alcuna in argomento, evidentemente, ed esclusivamente, nel comparto della determinazione del reddito di lavoro autonomo, contrariamente alla determinazione del reddito di impresa.
Infatti in questo caso l’articolo 88, comma 3, lettera a, sono considerate sopravvenienze attive “le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati alla lettera f del comma 1 dell’ articolo 85 e alla lettera b del comma 1 dell’ articolo 86”.
Taluni definiscono tali sopravvenienze “assimilate”, in quanto non correlate a componenti negative imputate a precedenti esercizi. In questa ipotesi ricadono tutte le casistiche riguardanti le polizze “All Risks” o “Danni Indiretti” che indennizzano l’azienda anche per evenienze diverse dalla perdita di beni materiali, quali, ad esempio, i risarcimenti a terzi danneggiati, i risarcimenti per mancato guadagno o altre ipotesi che si possono variamente configurare nella stesura delle polizze assicurative.
Per le sopravvenienze attive di cui sopra, la tassazione avviene nell’esercizio in cui viene contabilizzato il risarcimento assicurativo, come per i ricavi e per le plusvalenze riferite a beni strumentali posseduti da meno di 3 anni.
Questo ultimo tipo di indennizzo potrebbe essere collegato a costi materiali sostenuti dall’impresa, come nel caso di risarcimenti dovuti a terzi, oppure non collegato a costi materialmente sostenuti, come nel caso di risarcimento per perdita di profitto.
A personalissimo parere dello scrivente la soluzione del problema potrebbe essere ricercata non tanto nel tentativo, peraltro opinabile, ma assolutamente gradito al legislatore fiscale, di incastonare nelle metodologie determinative del reddito di lavoro autonomo anche le sopravvenienze attive, quanto nell’ammissione della rilevanza reddituale degli indennizzi percepiti dal professionista in conseguenza del risarcimento assicurativo del danno subito per effetto di errore, o mancanza, professionale commessa.
Le ragioni di questa nostra presa di posizione, che comprendiamo possano essere ritenute piuttosto integraliste, sono da ricercarsi da una parte, nuovamente, nella correlazione costo – ricavo, e dall’altra da ragioni di simmetria impositiva.
A supporto di tali nostre tesi portiamo, rispettivamente, il contenuto di due recenti prassi ministeriali: la circolare numero 38/E del 2010 e la risoluzione numero 106/E del 2010.
Il caso tratteggiato dalla circolare numero 38/E/2010 è quello del riaddebito delle spese da parte del professionista. Infatti il reddito professionale «è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro e in natura percepiti nel periodo d’imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte e della professione» (articolo 54, comma primo del Tuir). Dunque, i proventi rilevanti per la determinazione del reddito professionale non possono che essere solo quelli tipici e, cioè, quelli ottenuti nello svolgimento dell’attività professionale.
Pertanto, è da condividere la posizione dell’Agenzia secondo la quale, ai fini reddituali, le somme incassate per il riaddebito dei costi ad altri professionisti in caso di utilizzo in comune dei locali, quali ad esempio, utenze telefoniche ed elettriche, non costituiscono reddito di lavoro autonomo e, dunque, non rilevano quale componente positivo di reddito per il professionista che le riceve, mentre costituiscono costo inerente all’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, deducibile in base al principio di cassa, per il professionista che materialmente le rimborsa.
Va, d’altra parte, tenuto presente che il professionista al quale sono intestate le utenze potrà dedurre solo una parte delle spese e cioè quella riferibile all’attività da lui svolta e non anche quella riaddebitata o da riaddebitare ad altri. Infatti, precisano alle Entrate la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente all’attività svolta dal professionista e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo.
Si può immaginare il caso di un avvocato al quale sono intestate le bollette che riaddebitano il 30% dei consumi al collega commercialista con il quale condivide lo studio. Se le spese comuni complessivamente sostenute dall’avvocato ammontano a 6.000 euro, questi dedurrà dal proprio reddito professionale soltanto la quota parte di spesa inerente la propria attività pari a 4.200 euro (70% di 6.000), riaddebiterà, invece, al collega la differenza di 1.800 euro (30% di 6.000) emettendo fattura rilevante ai fini Iva, ma non per l’Irpef, con addebito del contributo integrativo e senza applicazione della ritenuta. Il commercialista dedurrà la spesa riaddebitata in fattura soltanto al momento del pagamento, indicandola nel rigo E14 di Unico 2010.
Questo modo di procedere lascia indenne il professionista anche dagli effetti che deriverebbero dall’assunzione totale dei costi e dei pagamenti delle spese riaddebitate in sede di applicazione degli studi di settore.
L’ultima osservazione da fare è che il professionista che non include tra i compensi il riaddebito delle spese ha dei benefici anche ai fini previdenziali, in quanto questi pagamenti non risulterebbero mai inclusi nel contributo soggettivo da versare alle casse.
A medesime conclusioni si giunge, per questa via, relativamente ai rimborsi operati dall’impresa assicuratrice nei confronti del professionista per indennizzarlo dei sinistri subiti. Il costo della sanzione non è rimasto a suo carico o in via assoluta o in via parziale e quindi non potrà essere spesato completamente.
Nella risoluzione numero 106/E del 2010 l’Agenzia delle Entrate ha, invece, affermato la rilevanza reddituale delle spese processuali rimborsate ad un professionista in conseguenza del risarcimento del danno consistente nella perdita di compensi. Tale affermazione appare connessa all’orientamento interpretativo in base al quale sarebbero riconducibili alla nozione fiscale di «compenso» i rimborsi, anche da parte dei clienti, delle spese inerenti all’attività professionale.
Da ciò si può, pertanto, evincere che i rimborsi assicurativi di cui stiamo trattando possono assumere la qualifica di «compenso», ricomprendendosi per conseguenza nel coacervo dei componenti positivi di reddito assoggettabili ad imposizione tributaria.
16 maggio 2011
Mauro Nicola