Impugnazione del diniego di autotutela

partendo dalla definizione del concetto di autotutela, vediamo quali sono i rimedi esperibili in caso di mancata autotutela da parte dell’Amministrazione

 

1. AUTOTUTELA.

L’istituto dell’autotutela in materia tributaria è stato introdotto dall’art.68, Dpr 287 del 27-03-92, e successivamente, sancito dall’art.2-quater, D.L. 564 del 30-09-94 (convertito, con modificazioni, dalla L. 656 del 30-11-94), e dal D.M. 37 dell’11-02-97.

 

L’art. 68, Dpr 287/92, è stato abrogato dal Dpr 107 del 26-03-01.

 

L’art.2-quater, D.L. 564/94 (Autotutela) prevede che:

1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione.

1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato.

 

Il D.M. 37 dell’11-02-97, all’Art. 1 (Organi competenti per l’esercizio del potere di annullamento e di revoca d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento) prevede che:

1. Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende.

 

Art. 2 Ipotesi di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento:

1. L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro:

a) errore di persona;

b) evidente errore logico o di calcolo;

c) errore sul presupposto dell’imposta;

d) doppia imposizione;

e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.

2. Non si procede all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria.

 

Art. 3 Criteri di priorità

1. Nell’attività di cui all’art. 2 è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso.

 

Art. 4 Adempimenti degli uffici:

1. Nel caso in cui l’importo dell’imposta, sanzioni ed accessori oggetto di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento o della agevolazione superi lire un miliardo, l’annullamento è sottoposto al preventivo parere della direzione regionale o compartimentale da cui l’ufficio dipende.

2. Dell’eventuale annullamento, o rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, è data comunicazione al contribuente, all’organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso nonchè – in caso di annullamento disposto in via sostitutiva – all’ufficio che ha emanato l’atto.

3. Con relazioni annuali, da trasmettere al Segretariato generale, ai relativi dipartimenti e al servizio per il controllo interno, le direzioni regionali e compartimentali evidenziano le cause dei vizi degli atti rilevati nonchè le misure adottate per migliorare l’efficienza dell’attività di accertamento di loro competenza.

 

Art. 5 Richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento:

1. Le eventuali richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento avanzate dai contribuenti sono indirizzate agli uffici di cui all’articolo 1; in caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo e tenuto a trasmetterla all’ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente”.

 

L’AUTOTUTELA TRIBUTARIA si sostanzia nel potere dell’A.F. di annullare d’ufficio o di revocare, anche in pendenza di giudizio e in caso di non impugnabilità, gli atti illegittimi o infondati, nonché di disporre la sospensione degli effetti degli atti che appaiono tali.

 

Il potere di autotutela può essere esercitato dall’A.F. in qualsiasi momento, dato che l’attività di autotutela non è soggetta a limiti temporali di decadenza.

 

L’esercizio di tale potere spetta, senza limiti di tempo, all’ufficio che ha emesso l’atto nonché, in via sostitutiva, “in caso di grave inerzia” all’organo gerarchicamente sovraordinato.

 

Si evidenzia che:

  • la presentazione dell’istanza in via di autotutela non produce alcun effetto sulla decorrenza dei termini di decadenza avverso l’atto impositivo;

  • tale attività non costituisce per il contribuente uno strumento di tutela ulteriore rispetto agli ordinari mezzi di impugnazione;

  • l’infruttuoso decorso dei termini per l’impugnazione non preclude la possibilità di presentare l’istanza di annullamento in autotutela.

 

La richiesta di autotutela:

  • se accolta, porta all’annullamento dell’atto illegittimo con chiusura definitiva della controversia (se in corso) all’annullamento degli atti consequenziali e all’obbligo di restituzione delle somme riscosse sulla base degli atti annullati;

  • in caso contrario, l’iter dell’atto prosegue, con facoltà per il contribuente di:

1) impugnare l’atto di contestazione di sanzioni davanti alla Commissione tributaria provinciale;

2) presentare deduzioni difensive;

3) definire in forma agevolata le sole sanzioni.

 

2. GIUDICI COMPETENTI IN CASO DI DINIEGO (ESPRESSO O TACITO) DELL’UFFICIO.

La Cass., SS.UU., sent. N.16776, depositata il 10/08/05, ha affermato che, sotto il profilo del (presunto) difetto di giurisdizione del giudice tributario, la giurisdizione sul contenzioso in ordine alle impugnazioni proposte avverso il diniego espresso o tacito dell’A.F. a procedere ad autotutela spetta al giudice tributario.

 

Invero l’art .12, c. 2, L. 448/01, ha stabilito che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie”, o relative alle “sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari” e “agli interessi ed ogni altro accessorio”.

 

Secondo la Cassazione La giurisdizione tributaria è così divenuta -nell’ambito suo proprio – una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta di uno specifico rapporto tributario, o di sanzioni inflitte da uffici tributari. Restano così al di fuori di tale giurisdizione solo controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale (art. 7, 5′ c., ultimo periodo, D.Lgs. 546/1992), o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, e di cui la amministrazione riconosce pacificamente la spettanza al contribuente (Cfr. le sentenze di queste Sezioni Unite n. 10725 del 22 luglio 2002; 26 gennaio 2001, n. 8; 4 settembre 2001, n. 11403; n. 7395 del 28 luglio 1998).

La riforma del 2001 ha poi necessariamente comportato una modifica dell’art. 19 del D.Leg. 546/1992; l’aver consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta infatti la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la Amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c.).

Si può in proposito ricordare che queste Sezioni Unite con sentenza n. 14332 del 08/07/2005, hanno ritenuto che ove l’ente impositore, dopo una sentenza non passata in giudicato ad esso sfavorevole, rifiuti di procedere al rimborso delle somme percepite, il relativo contenzioso ricade nella giurisdizione del giudice tributario, senza che possa ravvisarsi -nel caso di specie- una competenza del giudice ordinario (che, come già accennato, subentra solo ove l’ente impositore abbia inequivocabilmente riconosciuto la fondatezza della pretesa del contribuente).

Dunque sussiste nella materia in esame la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito della Amministrazione a procedere ad autotutela; così come ripetutamente riconosciuto dalla giustizia amministrativa (Ord. n. 114 del 28 gennaio 2005 del T.A.R. dell’Emilia-Romagna; sent. n. 519 del 08/04/2005 del T.A.R. Campania)”.

 

In tal senso Cass. SS.UU., n.7388, depositata il 27-03-07, nella quale le Sezioni unite civili della Corte di cassazione – risolvendo un conflitto negativo di giurisdizione,ex articolo 362, 2° comma, del cpc, tra il Tribunale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige e la Commissione tributaria di I grado di Trento – hanno affermato chele controversie relative al rifiuto dell’Amministrazione finanziaria di annullare in autotutela atti amministrativi sono devolute alla giurisdizione delle Commissioni tributarie.

La controversia in esame è scaturita dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un diniego di autotutela relativo a un avviso di liquidazione (e successiva cartella di pagamento), con il quale l’ufficio aveva revocato i benefici fiscali per l’acquisto di terreni agricoli.

La commissione adita dichiarava, con sentenza, il proprio difetto di giurisdizione, osservando che l’esercizio del potere di autotutela, secondo l’articolo 68 del Dpr 27 marzo 1992, n. 287, e il decreto ministeriale 11 febbraio, n. 37, rientrava nell’ambito della discrezionalità amministrativa e non era ricompreso tra le ipotesi di atti impugnabili ex articolo 19 del Dlgs 546/1992.

Veniva investito della questione anche il giudice amministrativo, il quale dichiarava, altresì, l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia in questione doveva essere devoluta alla giurisdizione del giudice tributario poiché, a seguito della modifica legislativa dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992 da parte dell’articolo 12 della legge 448/2001, spettavano alle Commissioni tributarie tutte le controversie relative a tributi di ogni genere e specie.

Da qui, il ricorso per cassazione del contribuente, il quale ha denunciato un conflitto negativo di giurisdizione.

L’Amministrazione finanziaria si è costituita in giudizio sostenendo la giurisdizione del giudice tributario e specificando che, dopo l’attribuzione allo stesso di tutte le controversie concernenti i tributi, ormai erano sottratti a tale giudice solo le controversie che non involgevano direttamente un rapporto tributario, come nel caso di impugnazione di un atto di carattere generale.

Le Sezioni unite, nella motivazione della sentenza, richiamando il proprio precedente (sentenza n. 16778/2005) mettono in evidenza che “la natura discrezionale dell’autotutela tributaria non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, la cui giurisdizione è ora definita mediante la clausola generale, per il solo fatto che gli atti di cui tale giudice si occupa sono vincolati“.

 

Tale giudice naturale è rappresentato in modo inequivocabile dal giudice tributario, la cui giurisdizione è ormai divenuta, per effetto delle modifiche legislative, una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qualvolta la controversia abbia a oggetto uno specifico rapporto tributario.

 

Tale devoluzione di giurisdizione, concernente la lesione di interessi legittimi, non è in contrasto con l’articolo 103 della Costituzione, il quale riconosce in tale ambito la giurisdizione degli organi di giustizia amministrativa per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Infatti, secondo una costante giurisprudenza costituzionale (cfr, da ultimo, ordinanze n. 165 e n. 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006), non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici.

 

Secondo la Corte, però, il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica, mentre, in caso di giudizio instaurato contro il mero ed esplicito rifiuto di esercizio dell’autotutela, il giudice tributario non potrà entrare nel merito della questione, visto che il provvedimento di autotutela è pur sempre discrezionale per i limiti posti dall’articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E; in quest’ultima ipotesi, il giudice potrà esercitare soltanto un sindacato sulla legittimità del rifiuto per la sua rispondenza o meno all’interesse pubblico (D.M. n.37 dell’11/02/1997; l’articolo 3 del regolamento stabilisce che, nell’esercizio del potere di autotutela, deve essere data priorità “alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso“). In caso contrario, ci sarebbe una indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa e un superamento dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle Commissioni tributarie.

 

Sulla base dei principi sopra enunciati, la Corte ha concluso affermando che, nel caso cui l’atto di rifiuto dell’annullamento d’ufficio contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, il giudice potrà escluderla. Mentre all’Amministrazione finanziaria non resterà che adeguarsi alla pronuncia della Commissione tributaria.

 

In difetto, potrà essere utilizzato il rimedio del ricorso in ottemperanza, di cui all’articolo 70 del D.lgs. 546/1992.

 

Infine, per quanto concerne la riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’articolo 19 del D.lgs. 546/1992, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la problematica non attiene alla giurisdizione ma alla proponibilità della domanda; pertanto, sarà compito della Commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito del suddetto articolo.

 

Secondo i giudici di legittimità, però, la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto nel citato articolo 19 comporterebbe un lacuna di tutela giurisdizionale e la violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 della Costituzione (analoga posizione era stata presa peraltro dalla Corte costituzionale nella sentenza del 6 dicembre 1985, n. 313, nella quale si precisa chela sindacabilità di un atto dinanzi al giudice tributario dipende dalla funzione assolta e dagli effetti prodotti e non dalla sua inclusione nell’articolo 19 sulla base delomen juris)”.

 

Secondo la Cassazione sussiste la giurisdizione tributaria in tema di diniego di autotutela per effetto della c.d. competenza allargatadelle Commissioni tributarie, resa tale in seguito alle modifiche dell’art.2, D.Lgs. 546/92.

 

Secondo l’Art. 2, D.Lgs. 546/92 (Oggetto della giurisdizione tributaria):

1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggettoi tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonchè le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio.Restano esclusedalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art.50 Dpr 602/73, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto.

2. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonchè le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art.63 D.Lgs. 446/97, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonchè le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni.

3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio“.

 

3. DIRITTO SOGGETTIVO DEL CONTRIBUENTE DA TUTELARE.

Secondo la Suprema Corte (sent. n.16776/05), restano “al di fuori di tale giurisdizione solo controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale, o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, e di cui la amministrazione riconosce pacificatamente la spettanza al contribuente”.

 

Secondo la Cassazione, la L.448/2001 “ha poi necessariamente operato una modifica dell’art.19 D.Lgs. 546/92”,nel senso che, avendo consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta “la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art.100 c.p.c.)… Sussiste nella materia in esame la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito dell’amministrazione a procedere ad autotutela; così come ripetutamente riconosciuto dalla giustizia amministrativa”.

 

Tale orientamento è stato affermato dalle SS.UU. nella successiva sentenza n.7388 del 27/03/07.

 

L’art.12, c. 2, L.448/01, configurando la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell’atto impugnato, consente la devoluzione alle Commissioni tributarie anche delle controversie relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, non assumendo alcun rilevo la natura discrezionale di tali provvedimenti, in quanto l’art.103 Costituzione non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, ferma restando la necessità di una verifica da parte del giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’art.19 D.Lgs. 546/92, che non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda.

 

Invero, dal tenore letterale dell’art.19 D.Lgs. 546/92 emerge che il rifiuto di autotutela non rientra tra gli atti impugnabili.

 

A tal proposito, la Cass., SS.UU., n.3698 del 16/02/09, dopo aver affermato la giurisdizione tributaria in tema di rifiuto di autotutela, ha precisato che l’atto con il quale l’amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art.19 D.Lgs. 546/92 e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. Di conseguenza non è possibile ammettere una interpretazione estensiva degli atti impugnabili.

 

Tuttavia, si può provare a verificare se detto rifiuto possa essere assimilato a taluno di quest’ultimi. Per cui si potrebbe verificare una assimilazione di contenuto tra diniego di autotutela e atti impositivi, nel senso di ammettere una funzione mediata o indiretta, di accertare la sussistenza e l’entità del debito tributario. Ciò non contraddirebbe la natura tassativa dell’elenco di cui all’art.19, D.Lgs. 546/92, in quanto la possibilità di estendere le previsioni di cui allo stesso art.19, in via analogica, non farebbe venire meno la limitazione dei casi previsti dalla norma, sul piano sostanziale, in presenza di posizioni giuridiche qualificate.

 

L’interesse del privato, oggetto di tutela, è riconducibile nell’alveo del diritto soggettivo, essendo estraneo alla sfera di influenza dell’amministrazione finanziaria, né affievolito dall’esercizio di un potere normativo (Fantozzi, Russo).

 

Invero, in un contesto caratterizzato dall’abbandono della concezione per la quale lo Stato sarebbe titolare esclusivo della sovranità, e di una conseguente posizione di supremazia, in funzione delle quali l’interesse protetto si configura come puro interesse pubblico, “l’interesse fiscale assume più concretamente i connotati dell’interesse collettivo più che di quello pubblico, e cioè dell’interesse nel quale confluiscono gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella funzione tributaria e non solo quello pubblico dell’ente impositore” (Gallo).

 

Tale diritto soggettivo si sostanzia nella corretta determinazione dell’imposta e quindi si atteggia come diritto a non subire una diminuzione patrimoniale eccedente a quanto dovuto in base alla legge in relazione ad una fattispecie verificatasi in concreto, dove non sussiste un potere discrezionale dell’amministrazione finanziaria (Lupi).

 

L’amministrazione finanziaria ed il contribuente sono in una posizione paritetica di fronte all’obbligazione tributaria che, costituzionalmente, ai sensi degli artt.23 e 53, è sottoposa ad una riserva di legge.

 

Solo nell’eventualità che l’imposizione sia illegittima si configurerebbe il diritto di azione e il diritto soggettivo potestativo all’annullamento dell’atto illegittimo (Tesauro).

 

Di conseguenza, dalla natura vincolata dell’attività impositiva deriva che ogni qual volta il contribuente lamenti un esercizio illegittimo della potestà d’imposizione, così come prevista dalla legge, sorge il diritto soggettivo di tutelare l’integrità del suo patrimonio, attraverso l’impugnazione dell’atto impositivo che si discosta dalla previsione normativa dinanzi al giudice tributario.

 

Ilpotere di autotutela, che comprende i poteri di annullamento d’ufficio, rimozione e convalida degli atti amministrativi invalidi, nonché il potere di revoca e di sospensione degli effetti degli atti medesimi:

  • risponde all’interesse dell’ordinamento (sotto il profilo del buon andamento dell’attività amministrativa);

  • concede al contribuente, in determinate condizioni, di promuovere l’azione della P.A., nel quadro dei rapporti “dialogici” tra soggetti privati e pubblici.

 

L’istituto dell’autotutela tende a garantire i seguenti principi costituzionali:

  • dell’art.97, in base al quale ”i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”;

  • dell’art.53, in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

 

Al contribuente non va richiesto di corrispondere al fisco più di quanto effettivamente dovuto in base alle norme in vigore; cosa che, altrimenti, contrasterebbe con i principi di trasparenza e di giustizia sociale cui si deve improntare ogni attività della pubblica amministrazione.

 

L’autotutela mira alla corretta determinazione dell’imposta, in applicazione dei principi che regolano l’attività impositiva.

 

In tale contesto, l’Amministrazione può annullare d’ufficio un atto nel caso in cui si ravvisino:

  • profili di illegittimità, cioè vizi procedimentali/formali;

  • o di infondatezza, cioè ossia vizi di merito (come ad esempio, per mancanza dei presupposti impositivi; per duplicazione della imposizione).

 

La Cass., SS.UU., n.9669, depositata il 23/04/09, in riferimento all’impugnativa del rifiuto di autotutela, richiamando la sentenza n.16776/05, ha affermato che “queste sezioni unite, con le sentenze 16778/05 e 7388/07, hanno affermato che l’attribuzione al giudice tributario, da parte dell’art.12, 2^ c., L.448/01, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devoluti al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia, indipendente dalla specie dell’atto impugnato ed alla natura discrezionale dell’esercizio dell’autotutela tributaria”.

 

Nella già citata sentenza n.7388/2007 si chiarisce infatti che l’esercizio del potere si autotutela non costituisce un mezzo di tutela del contribuente e che nel giudizio instaurato contro il mero, ed esplicito, rifiuto di esercizio dell’autotutela può esercitarsi un sindacato – nelle forme ammesse sugli atti discrezionali – soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria”.

 

La Cassazione nella citata sentenza ha evidenziato che “la società contribuente, nel caso di specie, impugnando il diniego di autotutela, invoca invece un provvedimento di annullamento degli avvisi di accertamento per gli anni 1989-90-91, non tempestivamente impugnati, che tenga luogo dell’atto di autotutela rifiutato dall’amministrazione, senza oltretutto dedurre l’esistenza di alcun interesse pubblico all’annullamento. E siffatta pretesa è sicuramente improponibile per difetto di una posizione giuridica soggettiva tutelabile in capo al contribuente”.

 

La Cass., SS.UU., con la citata sent. n.9669/09:

  • ha riaffermato (contro l’avversa opinione del giudice di merito) la giurisdizione delle Commissioni tributarie sull’impugnativa del rifiuto di autotutela;

  • che l’esercizio del potere di autotutela non rappresenta uno strumento di garanzia per il contribuente e, pertanto, l’impugnazione del diniego non può sostituire l’impugnazione del merito della controversia mediante il ricorso avverso l’atto impositivo;

  • ha dichiarato l’improponibilità della domanda, che sostanzialmente era volta a promuovere una pronuncia sul merito della controversia, laddove invece avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati (entro il termine normativamente stabilito di 60 giorni) gli atti impositivi emessi dagli uffici.

 

Secondo la stessa impostazione interpretativa dell’Amministrazione, manifestata nellacircolare n. 198/E del 5.8.1998, l’esigenza di salvaguardia dell’ordinamento giuridico, in un ambito strettamente normato e soggetto al principio di legalità qual è quello amministrativo-tributario, può convergere con la salvaguardia degli interessi (in senso atecnico) del singolo.

 

Secondo la pronuncia citata, infatti:

“…. se è vero, a stretto rigore, che l’ufficio ha il potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l’ufficio eserciti tale potere), è tuttavia indubbio che l’ufficio stesso non possiede un potere discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o meno i propri errori.

Infatti, da un lato il mancato esercizio dell’autotutela nei confronti di un atto patentemente illegittimo, nel caso sia ancora aperto o comunque esperibile il giudizio, può portare alla condanna alle spese dell’amministrazione con conseguente danno erariale (la cui responsabilità potrebbe essere fatta ricadere sul dirigente responsabile del mancato annullamento dell’atto);

dall’altro, essendo previsto che in caso di “grave inerzia” dell’ufficio che ha emanato l’atto può intervenire, in via sostitutiva, l’organo sovraordinato, è evidente che l’esercizio corretto e tempestivo dell’autotutela viene considerato dall’amministrazione non certo come una specie di “optional” che si può attuare o non attuare a propria discrezione ma come una componente del corretto comportamento dei dirigenti degli uffici e, quindi, come un elemento di valutazione della loro attività dal punto di vista disciplinare e professionale”.

 

4. CASO DI AUTOTUTELA SU UN RAPPORTO TRIBUTARIO DIVENUTO DEFINITIVO PER DINIEGO DELL’ISTANZA DI CONDONO “LITE PENDENTE”. RICORSO INAMMISSIBILE?

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