La percentuale di ricarico è uno strumento chiave nell’accertamento fiscale, spesso al centro di calcoli complessi, margini variabili, autoconsumo e merci eterogenee. In questo contesto, logica, prudenza e confronto con il contribuente assumono un ruolo decisivo. Quali sono i reali confini dell’azione dell’Ufficio? Una riflessione utile per imprese e professionisti.
La percentuale di ricarico nell’accertamento fiscale: logiche d’Ufficio, criticità applicative e difese del contribuente
Come è noto, la percentuale di ricarico non è altro che la maggiorazione che l’impresa applica al prezzo di acquisto del bene per determinare il prezzo di vendita.
Calcolo che può diventare complicato per le imprese che, come spesso accade, trattano diverse tipologie di merci, ovvero per quelle aziende a carattere stagionale, o che hanno periodi di saldi e liquidazioni, in cui i margini di ricarico sono notevolmente inferiori.
La metodologia dell’Ufficio: ricarico e costo del venduto
In pratica, quindi, gli Uffici – tenuto conto del fatto che notoriamente i contribuenti determinano i loro prezzi maggiorando il costo di acquisto con la applicazione di una percentuale – procedono, ricorrendone i presupposti di legge, alla determinazione dei ricavi derivanti da vendita di beni attraverso l’applicazione di una maggiorazione sui costi di acquisto.
All’esito dell’istruttoria condotta dai funzionari fiscali, a seguito ad esempio di una verifica o di una richiesta documentale ex art. 32 del DPR 600/1973, una volta calcolato il c.d. “costo del venduto” (pari a: Giacenze iniziali + Acquisti – Rimanenze finali) i maggiori ricavi vengono liquidati sulla base della seguente formula:
CDV x % di ricarico = margine di guadagno
Legittimità dell’utilizzo del ricarico e orientamento giurisprudenziale
Con particolare riferimento all’utilizzo del