Regime Forfettario nel mirino: il FMI ne chiede l’abolizione, ma le partite IVA forfettarie crescono

Il FMI propone l’abolizione del regime forfettario per sanare distorsioni fiscali e ampliare la base imponibile, mentre i dati del MEF mostrano una crescita record delle adesioni. Un confronto che solleva interrogativi su equità, elusione e futuro della fiscalità italiana. Il dibattito è più acceso che mai.

Regime forfettario nel mirino del FMI: equità fiscale o incentivo alla crescita?

Il Fondo Monetario Internazionale propone l’abolizione del forfettario

abolizione regime forfettario fmiIl Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel suo ultimo rapporto sull’Italia pubblicato lo scorso 29 maggio propone l’abolizione del regime forfettario per ampliare la base imponibile, aumentare le entrate e ridurre le distorsioni del sistema fiscale. Secondo gli esperti del Fondo, l’abolizione di questo regime fiscale agevolato aiuterebbe a risolvere alcuni problemi legati all’equità fiscale e contribuirebbe a limitare le perdite di entrate per lo Stato.

Il regime forfettario, che permette ai lavoratori autonomi che rispettano alcuni requisiti, di corrispondere un’imposta sostitutiva su una base imponibile ridotta in relazione al coefficiente di redditività legato alla tipologia di attività svolta, viene attenzionato rigorosamente per valutare eventuali distorsioni che esso può generare.

Tale regime fiscale, infatti, tende a favorire i soggetti che vi aderiscono rispetto ai dipendenti, generando delle disparità nel trattamento fiscale a parità di reddito. Pensiamo ad esempio al caso di un insegnante che sta valutando se aprire una partita IVA in regime forfettario per svolgere la propria attività o se accettare una proposta di lavoro come dipendente da parte di una scuola.

 

Il confronto tra lavoratore forfettario e dipendente

Se escludiamo dalla valutazione la componente previdenziale e analizziamo solo la  convenienza di tassazione fra IRPEF e imposta sostitutiva, possiamo individuare due scenari differenti ipotizzando un reddito lordo di €10.000:

  1. se l’insegnante sceglie il regime forfettario dovrà corrispondere un’imposta sostitutiva pari a € 10.000*78% (coefficiente di redditività)=€ 7.800*5% (ipotizziamo sia una nuova attività)=€ 390:
  2. se l’insegnante, invece, decide di accettare l’incarico come lavoratore dipendente dovrà versare l’IRPEF pari al 23% e quindi avrà una tassazione pari a € 10.000*23%=€ 2.300.

Osservando questo esempio appare evidente che il regime forfettario ha una tassazione molto più ridotta e la differenza fra i due regimi è pari a €1.910. Il FMI sta cercando di analizzare proprio queste differenze di imposizione per comprendere se sono presenti distorsioni significative.

 

Criticità individuate dal Fondo Monetario

Dalle valutazioni del FMI emerge che l’eliminazione del regime forfettario potrebbe permettere di allargare la base imponibile, sostenere la trasparenza e semplificare il sistema tributario italiano.

Il regime forfettario, inoltre, può favorire pratiche elusive, come la suddivisione artificiale delle attività per mantenersi entro i limiti di accesso o la creazione di partite IVA fittizie in luogo di contratti di lavoro dipendente per avere un risparmio d’imposta, generando degli effetti che sono in contrasto con l’obiettivo, ribadito più volte nel rapporto, di incentivare la crescita, l’innovazione, la produttività e la competitività del sistema imprenditoriale italiano e di contrastare la stagnazione dei salari reali.

 

I dati MEF raccontano un’altra storia

Se da un lato il FMI chiede che il regime forfettario sia abolito, dall’altro i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi delle partite IVA per il periodo d’imposta 2023 pubblicati dal MEF il 27 maggio 2025 mostrano uno scenario completamente diverso.

Le statistiche evidenziano una forte crescita delle adesioni al regime forfettario, anche in seguito all’innalzamento della soglia a €85.000 di ricavi, previsto dalla Legge di Bilancio 2023. Più nello specifico dal rapporto del MEF emerge che:

  • le partite IVA forfettarie in Italia nel 2023 erano pari a 1,9 milioni, ovvero circa il 51% del totale;
  • viene registrato, inoltre, un incremento pari al 6,5% di adesioni rispetto all’esercizio 2022;
  • sono in aumento dell’11,4% anche i redditi medi dichiarati dai forfettari sempre rispetto all’anno precedente.

Se osserviamo i dati complessivi, notiamo che le partite IVA attive in Italia nel 2023 erano circa 3,8 milioni, in aumento dell’1,6%, e più della metà (1,9 milioni) ha optato per il regime forfettario.

Tale incremento può essere dovuto all’innalzamento della soglia di limite per rimanere nel regime da €65.000 a €85.000, oppure all’applicazione di un’imposta sostitutiva del 15% o del 5% nel caso di nuove attività che è molto inferiore rispetto al primo scaglione dell’IRPEF pari al 23%.

Una tensione tra riforma e consenso

Considerando le indicazioni presenti nel rapporto dell’FMI e i dati diffusi dal MEF nello stesso periodo, il regime forfettario continua a essere un tema di grande rilevanza, sia a livello nazionale che internazionale.

Da una parte, le raccomandazioni del Fondo Monetario contribuiscono al dibattito sulle riforme fiscali strutturali; dall’altra, i dati più recenti elaborati dal MEF mostrano un incremento nell’adozione del regime agevolato da parte delle partite IVA, con conseguenze significative sui redditi dichiarati.

La discussione sull’impatto dell’ampliamento delle soglie di accesso al regime forfettario resta quindi centrale, con effetti non sempre favorevoli.

Conclusioni: un equilibrio ancora lontano

Tuttavia, un ritorno sui propri passi appare improbabile, soprattutto nell’attuale contesto, dove cresce la spinta per innalzare il limite d’accesso e permanenza fino a 100.000 euro, nonostante le ulteriori distorsioni che tale scelta potrebbe comportare.

 

Giulia Rancan

Sabato 5 luglio 2025