Nel processo tributario, il raddoppio del contributo unificato previsto per impugnazioni respinte o inammissibili si applica esclusivamente ai giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione, in quanto equiparati al processo civile.
Nei gradi di merito tributari, tale misura non trova applicazione, confermando una distinzione tra i due ambiti. Una lettura approfondita chiarisce implicazioni e ambiti di applicazione.
Nel giudizio tributario non si applica la norma ex art. 13, comma 1-quater, DPR n. 115/2002, che prevede il raddoppio del contributo unificato nel caso di impugnazione dichiarata inammissibile o respinta dal giudice.
Infatti, in caso di impugnazione dichiarata inammissibile o respinta dal magistrato la parte soccombente ammessa al patrocinio a spese dello Stato è tenuta a versare l’ulteriore importo previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del DPR n. 115/2002, quando il giudice dia atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti per l’irrogazione di tale sanzione (Cassazione).
La natura giuridica del Contributo Unificato
L’art. 13, comma 1-quater, del DPR 115/2002 recita che quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.
La debenza di tale doppio contributo è legata alla esistenza di due presupposti ossia la pronuncia di una sentenza di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell’appello di cui il giudice deve dare attestazione; l’obbligo della parte ricorrente di versare il contributo unificato il cui accertamento spetta all’amministrazione finanziaria (cfr. Cassazione n. 9660/2019).
Sul tema una precedente pronuncia del giudice delle leggi ha chiarito che la norma in questione fa riferimento esclusivamente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato nel processo civile, mentre quello tribu