Il lavoratore dipendente in malattia può svolgere altra attività lavorativa? La risposta appare scontata, no. Quali sono i rischi disciplinari per il lavoratore che viene scoperto a svolgere altre attività durante il periodo di malattia?
La malattia non professionale si qualifica come un’alterazione dello stato di salute cui consegue un’assoluta o parziale incapacità a rendere la prestazione lavorativa manuale e / o intellettuale dedotta nel contratto di lavoro o nelle intese successivamente intercorse.
Periodo di malattia: divieto di svolgere attività lavorativa
Viste le caratteristiche della malattia, la stessa è, in linea di principio, incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa (o extra-lavorativa) nel corso dell’assenza.
Analizziamo quindi in dettaglio cosa rischia il dipendente che, durante la malattia, presta comunque un’attività lavorativa presso un soggetto terzo rispetto al datore di lavoro.
Il regolamento disciplinare
Le conseguenze a livello disciplinare causate dallo svolgimento dell’attività lavorativa nel corso della malattia dipendono da quanto previsto nell’apposito regolamento interno.
Quest’ultimo è rappresentato dall’insieme delle norme disciplinari (in termini di comportamenti sanzionabili, procedura di contestazione da parte dell’azienda e sanzioni applicabili) previste dalla contrattazione collettiva (nazionale o aziendale) ed eventualmente fissate dallo stesso datore di lavoro.
Il codice disciplinare deve, in particolare:
- avere un contenuto minimo essenziale, rappresentato dalle previsioni legislative in materia e dagli articoli del contratto collettivo di lavoro applicabile relativi alle violazioni e sanzioni disciplinari;
- descrivere in maniera chiara i comportamenti che espongono il dipendente a responsabilità disciplinare (come l’attività lavorativa nel corso della malattia) e le corrispondenti sanzioni.
A tutela della posizione dei lavoratori, il codice disciplinare dev’essere portato a conoscenza dei dipendenti mediante affissione in luogo accessibile a tutti.
Da notare che in mancanza di valida affissione, il datore di lavoro non può adottare alcuna sanzione disciplinare nei confronti dei dipendenti, posto che gli stessi non sono stati resi adeguatamente edotti sulle conseguenze dei loro comportamenti.
Quali sanzioni può applicare l’azienda?
A seconda di quanto disposto nel regolamento interno, la condotta del lavoratore può esporlo alle seguenti sanzioni:
- Ammonizione scritta;
- Multa, pari a quattro ore di retribuzione base;
- Sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per non più di dieci giorni;
- Trasferimento del dipendente ad altra sede o reparto dell’azienda;
- Licenziamento per giustificato motivo soggettivo (con obbligo di preavviso in capo all’azienda) o per giusta causa (senza obbligo di preavviso).
Il licenziamento per giusta causa, in particolare, ricorre a fronte di un comportamento del lavoratore, talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro rendendo, di conseguenza, impossibile la prosecuzione provvisoria del contratto nel corso del preavviso.
Al contrario, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, di minor gravità rispetto al recesso per giusta causa e, pertanto, non idoneo ad impedire la continuazione del rapporto nel corso del preavviso.
Sulla scelta tra licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, conseguente alla condotta del lavoratore, l’azienda deve fare riferimento al citato regolamento interno.
Attività lavorativa nel corso della malattia, rischio licenziamento?
In definitiva, il dipendente che lavora nel corso della malattia può incorrere nel licenziamento, se:
- il datore di lavoro ha adottato un apposito regolarmente disciplinare, portato a conoscenza dei lavoratori;
- l’azienda ha osservato la procedura di contestazione disciplinare;
- il regolamento disciplinare prevede, a fronte dell’attività lavorativa nel corso della malattia, la sanzione del licenziamento;
- il datore di lavoro, alla luce di quanto previsto dal regolamento interno, decide, all’esito della procedura di contestazione disciplinare, di non accogliere le eventuali giustificazioni o difese del lavoratore.
Gli orientamenti della giurisprudenza di Cassazione
Fermo restando che il licenziamento nei confronti del lavoratore che svolge attività lavorativa nel corso della malattia è possibile esclusivamente se tale sanzione è contemplata nel regolamento disciplinare interno, la Cassazione ha avuto modo nel tempo di pronunciarsi sulla questione.
Gli orientamenti della Suprema corte sono quanto mai fondamentali, posto che, pur a fronte di un licenziamento disposto in ottemperanza al regolamento disciplinare, il provvedimento può essere impugnato in giudizio dal dipendente ed esaminato in questa sede dall’autorità giudiziaria nel rispetto dei precedenti pareri degli Ermellini.
Quando è vietata un’altra attività lavorativa?
Venendo al nocciolo della questione, la Suprema Corte ha ritenuto possibile per il dipendente lo svolgimento di altra attività lavorativa nel corso della malattia, a patto che questo comportamento non evidenzi la fraudolenta simulazione dello stato morboso ovvero sia di per sé idoneo a pregiudicare o ritardare la guarigione e il conseguente rientro in servizio dell’interessato (Cassazione sentenza del 13 aprile 2021 numero 9647).
Quando è legittimo il licenziamento?
Sempre la Cassazione ha precisato che l’espletamento di altra attività nel corso della malattia è idoneo ad esporre il lavoratore a responsabilità disciplinare, in ragione di una violazione dei doveri contrattuali di correttezza e buona fede, tale da giustificare il recesso datoriale, quando l’attività svolta è indice di una scarsa attenzione del dipendente alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Nello specifico, la sentenza del giudice di legittimità del 30 ottobre 2018 numero 27656, ha avuto modo di chiarire che in linea di principio, con riferimento allo svolgimento di attività lavorativa nei confronti di terzi, si è “affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia”.
Detto comportamento, ancora la Cassazione, può tuttavia costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove “integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà”. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a:
- Far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione;
- In alternativa, pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore;
con violazione di un’obbligazione che la dottrina inserisce nella categoria dei doveri preparatori e strumentali rispetto alla corretta esecuzione del contratto.
Onere della prova a carico del datore di lavoro e del dipendente
In caso di svolgimento dell’attività lavorativa nel corso della malattia, la Cassazione (sentenza del 28 febbraio 2014 numero 4869) ha affermato che l’azienda ha l’onere di provare l’incidenza della diversa attività nel ritardare o pregiudicare la guarigione, ai fini del rilievo disciplinare di tale attività nel corso della malattia.
Il dipendente, a sua volta, ha l’onere di provare la compatibilità dell’attività con le proprie condizioni di salute e, di conseguenza, l’inidoneità della prestazione ad ostacolare il recupero delle energie lavorative.
Un orientamento contrario (ma recente, sentenza del 26 aprile 2022 numero 13063) della stessa giurisprudenza di Cassazione, pone in ogni caso a carico del datore di lavoro, ai fini del rilievo disciplinare, la prova dell’incidenza della diversa attività lavorativa nel ritardare o pregiudicare la guarigione.
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Paolo Ballanti
Martedì 2 luglio 2024