La capitalizzazione dei costi di impianto e ampliamento è una scelta a volte controversa: in questo articolo vediamo quali sono i principi contabili italiani e le ragioni sottostanti ai limiti previsti dalla Legge.
Spese di impianto e ampliamento e per migliori su beni di terzi: alcune precisazioni introduttive
La corretta disamina in ordine alle spese di impianto e ampliamento in genere e della spese per migliorie su beni di terzi (dipendendo tali spese dalla rigida legalità redazionale del bilancio, sia in forza della prescrizione normativa ex art 108, comma 1° Tuir, manifestatamente priva di autonomi specifici criteri determinativi e sia in forza del principio della derivazione rafforzata ex art. 83 tuir) deve necessariamente dipartire dallo scrutinio dell’art. 2423bis, punto 2, codice civile, per il quale testualmente: “Si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla chiusura dell’esercizio”, su cui si fonda lo storico ed invariato primato potestativo del principio della prudenza alla base delle varie iscrizioni in bilancio.
Qualsiasi posta patrimoniale-reddituale del bilancio deve essere nella condizione di poter esprimere un’autentica tangibile prospettiva di solvenza nei confronti dei terzi e, quando la posta di bilancio non disponga fisiologicamente di tale idoneità di garanzia, nel senso che non partecipa ad essa, attraverso le ordinarie dinamiche di scambio nel mercato, la prerogativa della tempestiva volturazione in finanza solvibile, la capitalizzazione o l’imputazione a conto economico della posta contabile viene assoggettata a rigide ed inderogabili tutele da parte del legislatore.
Proprio lo scrutinio dell’essenza causale di tali coercitive limitazioni legislative, consente di ricavare agevolmente come la dialettica legislativa tra il principio della prudenza ed il principio della competenza economica, fondata sulla ragionieristica correlazione di costi-ricavi, assegni il primato al primo e non al secondo.
Il principio della prudenza nella redazione del bilancio
Già sul piano testuale tale primato dispone di chiare evidenze, dal momento che mentre in ordine al principio della prudenza il legislatore assume inequivoci toni scritturali con i precisi capisaldi letterali rappresentati da “esclusivamente” e “realizzati” (si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla chiusura dell’esercizio), con riguardo al principio della competenza economica le indicazioni legislative non si preoccupano neppure di connotare in senso autenticamente qualificatorio il principio medesimo.
Lo spazio legislativo ad esso dedicato si esaurisce, infatti, con la sola previsione che gli oneri ed i proventi di competenza non devono temporalmente ritenersi coincidenti con la loro manifestazione finanziaria (art 2423bis, punto 3):
“Si deve tener conto degli oneri e dei proventi di competenza, indipendentemente dalla data del loro incasso o del pagamento”.
Il motivo è stor